venerdì 31 dicembre 2010

Fiat protagonista del 2010 dell'automobile


Il 2010 dell’automobile è stato un anno all’insegna della Fiat e, più precisamente, dei mutamenti fatti al suo interno che hanno avuto un riflesso importantissimo sia sul mondo del lavoro italiano sia nella vita stessa del Paese. Le nuove regole introdotte dal suo amministratore delegato, Sergio Marchionne, hanno infatti coinvolto sindacati, imprenditori e politica. Ma procediamo con ordine. Il 2009 si era chiuso con l’anticipazione al Governo del nuovo piano industriale della Fiat. L’annuncio fu di un investimento di 8 miliardi di euro in due anni e della produzione di 11 nuovi modelli di auto tra le quali il nuovo Fiat Doblò, l'Alfa Romeo Giulietta, la nuova Fiat Panda e la nuova Lancia Ypsilon. Sugli impianti italiani Marchionne annunciò che a Mirafiori sarebbero state confermate le attuali linee di produzione, lo stesso sarebbe accaduto a Melfi, mentre a Cassino si sarebbe aggiunta la realizzazione della Giulietta. Su Pomigliano Marchionne accennò ad alcune difficoltà ed alla "necessità di programmare una nuova piattaforma". Termini Imerese sarebbe stata abbandonata dalla Fiat alla fine del 2011. L’inizio del 2010 vede anche la nascita del secondo polo automobilistico italiano. Il prestigioso e storico marchio Pininfarina, leader del design automobilistico italiano, si è smembrato ed ha ceduto un suo importantissimo ramo alla De Tomaso Automobili. L’accordo fu firmato proprio il 31 dicembre 2009 da Paolo Pininfarina e Gian Mario Rossignolo. L’affare fu concluso sulla base di 2 milioni di euro necessari per il rilancio dell’azienda. L’attenzione ritorna subito su Termini Imerese poiché sin da gennaio si comincia a discutere alle alternative. L’iniziativa parte da Simone Cimino, presidente fondo di private equity Cape Natixis, per riconvertire il complesso per la produzione di veicoli di piccole dimensioni con alimentazione ecologica che sarebbero usati in zone che richiedono un’alta valenza ecologica o turistica. Una settimana dopo, a metà del mese di gennaio, l’allora ministro per le Attività Produttive Claudio Scajola crea un "tavolo dell’auto" con la creazione di una task force per esaminare le soluzioni legate al futuro dell’insediamento industriale di Termini Imerese. Nel frattempo i lavoratori protestano in maniera anche clamorosa. Alcuni di loro, 14 della Delivery Email, azienda dell'indotto, salgono per cinque giorni e quattro notti sul tetto del capannone dello stabilimento, a 20 metri di altezza. Nei primi giorni di febbraio arriva una vera e propria doccia fredda per l’intero settore dell’auto: al vertice europeo di San Sebastian in Spagna si decide che nessun incentivo sarà più disponibile per l’acquisto delle automobili nel 2010. Nei primi giorni di marzo l’advisor incaricato per Termini Imerese, Invitalia, annuncia che sono 18 le proposte di interesse giunte. Comincia la preparazione una short list, cioè la selezione delle offerte più affidabili. A fine mese trapelano le prime indiscrezioni sul piano di sviluppo della Fiat, che prevederebbe un graduale spostamento della produzione dall’Italia verso l’estero. Un piano che Marchionne avrebbe ufficialmente presentato il 21 aprile. Scoppiano le prime polemiche. La presentazione del piano industriale della Fiat viene preceduto, nei primi giorni del mese di aprile, dalla nomina di John Elkann presidente della Fiat al posto di Luca Cordero di Montezemolo. Dopo una lunga attesa, finalmente, l’amministratore delegato Sergio Marchionne espone il piano: gli obiettivi del 2010 prevedono ricavi per 50 miliardi di euro, un margine operativo fra 1,2 e 1,3 miliardi, un utile netto intorno al pareggio e un indebitamento industriale netto intorno ai 5 miliardi. Sul fronte della produzione in Italia si prevede un investimento di 26 miliardi di euro, ai quali ne vanno aggiunti quattro in ricerca e sviluppo. Un impegno di 30 miliardi di euro, due terzi dell’investimento globale della Fiat e, di questi, 700 milioni di euro per Pomigliano d’Arco. La produzione chiuderà a Termini Imerese entro la fine del 2011 mentre a Mirafiori aumenterà da 100.000 a 170.000 unità ed a Cassino saranno prodotte entro il 2014 oltre 400.000 vetture. L’impegno è quello di mantenere le radici della Fiat in Italia anche se l’integrazione operativa con Chrysler è importantissima. Un piano B è pronto qualora governo e sindacati si opponessero ai progetti della Fiat ma, ha precisato Marchionne, «non è un piano molto bello». In ogni caso non è previsto alcun taglio al personale. L’obiettivo è quelli di produrre in Europa, tra Fiat, Lancia e Alfa Romeo, 34 nuovi modelli e 17 restyling. Una nuova city car sarà presentata nel 2013 e un modello di segmento B arriverà nel 2012. Nel 2013 toccherà ai restyling di Croma, Multipla e Ulisse. Ci sarà un incremento della produzione italiana dalle attuali 650.000 auto a quasi 1 milione e mezzo del 2014, insieme a 250.000 veicoli commerciali. Di queste ne verrà esportato il 65% a fronte del 40% attuale. L’obiettivo è vendere in Italia 6 milioni di auto, «il minimo richiesto per essere un global player competitivo». Alfa e Lancia sono rimaste al di sotto degli obiettivi e, quindi, entro il 2012, l'Alfa Romeo sarà presente sul mercato americano, probabilmente con una spider. L'obiettivo della Fiat è arrivare a un totale di 3,8 milioni di vetture prodotte: 2,2 milioni di Fiat, 0,5 milioni di Alfa, 0,3 milioni di Lancia, 0,5 milioni di veicoli commerciali; 0,1 milioni di Jeep e 200mila di contract manufacturing. Per raggiungere questi obiettivi di produzione la Fiat intende attuare il pieno utilizzo degli impianti. Marchionne ha infatti precisato: «I sei stabilimenti Fiat italiani hanno funzionato ben al di sotto della loro capacità» e quindi occorrono «misure correttive» a partire dagli accordi sindacali che «non sono più adeguati, dobbiamo ridefinirli». Nel giro di sei mesi avverrà il tanto atteso scorporo. Il settore delle auto sarà diviso dal resto delle attività del gruppo. Da un lato Fiat e Chrysler, dall’altro Iveco, CNH e motori e cambi di FPT. Nasceranno due diverse aziende, anche se saranno messe in atto una serie di sinergie per tutta una serie di attività. In entrambe le nuove società l’azionariato rimarrà immutato e, dunque, il controllo resterà alla famiglia Agnelli. A maggio la Sata di Fiat Group Automobiles a San Nicola di Melfi in provincia di Potenza, una delle fabbriche di automobili più produttive del mondo, sforna la 5 milionesima vettura prodotta nello stabilimento, una Punto Evo 1.4 da 105 CV Emotion, 5 porte, di colore rosso. Nello stesso mese suona il campanello d’allarme per lo stabilimento Fiat di Pomigliano d’Arco. Marchionne lancia infatti un ultimatum: «I tempi stanno diventando stretti. Il protrarsi della trattativa con i sindacati ha già provocato lo slittamento degli investimenti necessari per l'avvio della produzione. In assenza di un accordo che offra adeguate garanzie potrebbe diventare inevitabile riconsiderare il progetto per la produzione della futura Panda. Nei giorni successivi si susseguono gli incontri e, alla fine, Fim, Uilm, Fismic e Ugl firmano il documento sullo stabilimento di Pomigliano d’Arco proposto dalla Fiat. Il successivo 22 giugno si sarebbe tenuto il referendum di ratifica tra i lavoratori. La Fiom ribadisce invece il suo netto rifiuto alle proposte della casa torinese. Prosegue intanto nell'Unione Europea la flessione delle vendite di automobili, che è del -9,3% rispetto all’anno precedente. La Fiat ha venduto, sempre a maggio, poco più di 90 mila vetture pari a -7,8%. Poco dopo la metà di giugno i lavoratori di Pomigliano d’Arco si esprimono in linea generale a favore dell’accordo siglato il 15 giugno tra la Fiat e Fim, Uilm, Fismic e Ugl con questi risultati: 2888 si per una percentuale del 62,2 %, 1673 no con una percentuale del 36%, 59 bianche e 22 nulle. Le urne si erano aperte alle 8,00 e chiuse alle 21,00. Le sezioni erano 10. Hanno espresso la loro preferenza 4642 lavoratori su 4881 aventi diritto, circa il 95%. Il referendum non risolve tutti i problemi e nel mese di agosto in diverse fabbriche italiane della Fiat i lavoratori entrano in stato di agitazione: quelli di Mirafiori, della Magneti sospensioni di Rivalta, dell'Iveco di Pregnana Milanese a Rho. Nel resto del mondo automobilistico, nei primi giorni di agosto, la Volvo diventa ufficialmente “cinese”. La Ford, precedente proprietaria del marchio svedese, consegna tutti gli asset della Volvo alla Geely Holding Zheijang, per un controvalore di 1,8 miliardi di dollari. La Chrysler, intanto, chiude il secondo trimestre del 2010 con un utile operativo di 183 milioni di dollari, in crescita del 28% rispetto ai primi tre mesi dell'anno. In aumento anche i ricavi, +8% a 10,5 miliardi di dollari. Nel secondo trimestre Chrysler ha ridotto le perdite a 172 milioni di dollari contro i 197 milioni del primo trimestre. La disponibilità di cassa è salita, alla fine di giugno, a 7,8 miliardi di dollari, grazie al contributo positivo del cash flow del secondo trimestre di 474 milioni di dollari. «L'utile operativo nel secondo trimestre – dichiarò un soddisfatto Sergio Marchionne - conferma che il Gruppo Chrysler sta procedendo in linea con gli obiettivi annunciati il 4 novembre 2009, fermo restando il fatto che uno straordinario lavoro si prospetta davanti a noi. Secondo le attese, il 2010 si sta concretizzando come un anno di transizione e stabilizzazione. Il gruppo deve continuare il proprio percorso di crescita con rigore, massima disciplina e focalizzazione sugli obiettivi. Tutto procede secondo le attese per un aumento della quota Fiat in Chrysler al 35%». E sempre ad agosto la Pininfarina rafforza la sua presenza in Cina attraverso la definizione un accordo per l’apertura di un Centro Sviluppo Prodotto a Shanghai. Due accordi preliminari prevedono anche collaborazioni con la Tsinghua University di Pechino e la Tong Ji University di Shanghai. A settembre avviene il tanto atteso scorporo della Fiat: da un lato, in Fiat ci sono Fiat Group Automobile, Maserati, l’85% della Ferrari, la partecipazione in Chrysler, la componentistica (Magneti Marelli, Teksid e Comau) e i motori prodotti da Powertrain; dall’altro, in Fiat Industrial, ci sono invece CNH (macchine agricole), Iveco (camion) e FPT Industrial & Marine (attività di motori e trasmissioni per autovetture e veicoli commerciali leggeri). Le aziende Fiat riprendono l’attività all’insegna della cassa integrazione, il direttivo di Federmeccanica da mandato al presidente Pierluigi Ceccardi di comunicare il recesso dal contratto nazionale dei metalmeccanici che avverrà l’1 gennaio 2012. Mentre le relazioni tra Fiat e sindacati cominciano a rasserenarsi la frase di Sergio Marchionne «La Fiat potrebbe fare di più se potesse tagliare l’Italia, nemmeno un euro dei 2 miliardi di utile operativo previsto per il 2010 arriva dal nostro Paese», pronunciata nella trasmissione di Rai 3 "Che tempo che fa" condotta da Fabio Fazio, fa scoppiare un diluvio di proteste e scatena mille preoccupazioni. Marchionne, però, aggiusta velocemente il tiro: «Quello che ho cercato di fare è molto semplice: parlare con chiarezza. Quando dico che l'Italia, per il gruppo Fiat, è un'area in perdita, non significa che vogliamo andarcene dal Paese, come molti hanno voluto interpretare. Lo sforzo che stiamo facendo va esattamente in direzione opposta. Ignorare i problemi, o peggio ancora nasconderli sotto un facile ottimismo, è il rischio più grande che possiamo correre». Intanto le vendite della auto in Italia e in Europa calano ancora. Le ultime del mese di dicembre riguardano Termini Imerese che, grazie ai progetti della De Tomaso di Gian Mario Rossignolo, che produrrebbe auto di lusso, e della Cape Rev di Simone Cimino, che punterebbe sulle macchine elettriche. L’incontro finale avverrà il prossimo 15 gennaio. E riguardano anche lo stabilimento Fiat di Mirafiori dove, dopo una lunga trattativa ed una serie di scioperi, il 23 dicembre l’accordo viene siglato. Anche questa volta senza la partecipazione della Fiom e con le critiche della Cgil.
(Fonte: www.automania.it - 28/12/2010)

giovedì 30 dicembre 2010

Chrysler utilizzerà il cambio TCT di Fiat


Il matrimonio tra Chrysler e Fiat prosegue felicemente e quello odierno è soltanto un altro quotidiano giorno di convivenza: nulla di strano, dunque, se un’indiscrezione ha confermato che la trasmissione automatica-robotizzata doppia frizione dello scaffale del Lingotto sarà utilizzata anche da alcune autovetture americane. Dal 2013, infatti, accanto al nuovo cambio automatico sequenziale ad otto rapporti, che il Gruppo Chrysler utilizzerà sulle automobili di maggiori dimensioni (come, ad esempio, la nuova berlina di segmento F, Chrysler 300), scelto per una filosofia di limitazione di consumi ed emissioni di anidride carbonica, verrà utilizzato anche il nuovo cambio robotizzato sviluppato da Fiat Powertrain Technologies e codificato con la sigla alfanumerica C636: si tratta di una trasmissione doppia frizione a secco, che offre sei rapporti, che pesa circa 80 chilogrammi e che riesce a gestire e sopportare sino a 350 Nm di coppia massima (architetture meccaniche, dunque, a quattro cilindri o a sei cilindri). Il nuovo cambio, che all’interno della gamma Alfa Romeo viene denominato TCT, sarà disponibile per le automobili di segmento C e di segmento D commercializzate negli Stati Uniti e in Canada: nella lista, tanto per citare alcune delle vetture che ne verranno dotate, sono comprese le nuove Chrysler 200 (che pare non arriverà in Europa), Jeep Compass restyling, Alfa Romeo Giulietta, Chrysler/Lancia Delta e Alfa Romeo Giulia. Non si esclude, infine, che anche le utilitarie di segmento B, come la nuova Lancia Ypsilon (che diventerà Chrysler) e la nuova Alfa Romeo MiTo, possano essere equipaggiate con il cambio automatico doppia frizione in Nord America. Ma perché aspettare tanto, cioè sino al 2013, per rendere disponibile una tecnologia che viene già utilizzata qui, in Italia, in Europa?
(Fonte: www.motorionline.com - 27/12/2010)

mercoledì 29 dicembre 2010

Automotive News: per Fiat Freemont esordio a Ginevra e commercializzazione da giugno (anche 4x4 e 2.0 Multijet 170 cv)


Chrysler Group commercializzerà in Europa il nuovo Dodge Journey con il marchio Fiat. Lo hanno riferito ad Automotive News fonti interne al gruppo torinese aggiungendo che il minivan sarà commercializzato con il nome Freemont. Il Freemont, spiega il sito europeo della rivista, è un elemento chiave del piano Fiat-Chrysler di Sergio Marchionne volto a tagliare i costi di sviluppo e aumentare l'utilizzo degli impianti delle due case. Il Freemont sarà una versione rebrandizzata del nuovo Dodge Journey svelato al Salone di Los Angeles nel mese di novembre e caratterizzato da piccoli ritocchi nel design degli esterni, dalla rivisitazione degli interni e dalla modifica delle sospensioni. Fiat farà debuttare il Freemont al salone dell'auto di Ginevra a marzo per poi lanciarne le vendite in Europa a giugno. Chrysler ha lanciato le vendite del Dodge Journey in Europa nel 2008. Nei primi 10 mesi, le vendite europee sono calate del 20% a 5.792 unità secondo la società di ricerche britannica Jato Dynamics. Il Freemont sarà dotato del propulsore diesel Fiat da 170 cv e 2 litri di cilindrata, prima applicazione di un motore Fiat in un veicolo Chrysler. Sull'attuale Journey è montato un diesel da 140 cv e 2,0 litri di cilindrata fornito da Volkswagen. Il Freemont sostituirà il Fiat Ulysse, che la casa torinese ha smesso di costruire questo mese. L'anno scorso, Fiat ha venduto 1.956 Ulysse. Per Fiat il Freemont avrà un maggior potenziale di vendita rispetto all'Ulysse perché offrirà la trazione integrale, di cui l'Ulysse non era dotata, avrà un motore diesel più potente dell'attuale Journey e potrà avvalersi dei 5.000 concessionari della rete di vendita europea della Fiat. Il Freemont sarà esportato in Europa dalla fabbrica messicana della Chrysler a Toluca, dove si producono sia il Dodge Journey che la Fiat 500 per il Nord America. Secondo i dati di Jato Dynamics, il Dodge Journey si è piazzato l'anno scorso al sesto posto nella classifica delle vendite dei minivan con 8.395 unità commercializzate, il 62% in più rispetto al 2008. Il segmento dei monovolume di grandi dimensioni in Europa è stato dominato dalla Ford S-Max e dal Ford Galaxy con vendite nel 2009 rispettivamente per 42.991 e per 26.103 unità.
(Fonte: http://europe.autonews.com - 27/12/2010)

martedì 28 dicembre 2010

Gli aspetti più controversi dell'accordo su Mirafiori


Trentasei pagine più allegati. Il contratto di Mirafiori, destinato per unanime ammissione di tutti i protagonisti a modificare radicalmente il sistema di relazioni industriali in Italia, sarà sottoposto a referendum a gennaio, probabilmente tra il 18 e il 20 del mese. "Pomigliano è stato un sasso che ha cominciato a rotolare lungo un pendio pieno di neve. Mirafiori lo dimostra", dice il leader del Fismic, Roberto di Maulo, capofila dei sindacati favorevoli all'intesa. "Di Maulo ha ragione - risponde Giorgio Airaudo della Fiom - e per questo vogliamo provare a fermare la valanga. Il rischio è un modello aziendalista in cui i sindacati vengono usati come fornitori del consenso alle tesi dell'impresa".
Ecco i punti principali dell'accordo della discordia.
Orario di lavoro - Nella nuova società in joint-venture tra Fiat e Chrysler (che nascerà nel 2012) saranno possibili 4 tipi di orario a seconda delle esigenze produttive. Oltre all'attuale con due turni di 8 ore al giorno per cinque giorni alla settimana (5 per 2), è previsto uno schema con l'introduzione del turno di notte su cinque giorni lavorativi (5 per 3) e un altro schema con il turno di notte su sei giorni compreso il sabato (6 per 3). Al momento del passaggio da un sistema all'altro, "l'azienda avvierà un esame con i sindacati". La procedura dovrà durare "al massimo 15 giorni", dopodiché l'azienda applicherà l'orario da lei prescelto. Al momento del passaggio dal sistema "5 per 3" al sistema "6 per 3", "le parti valuteranno anche l'eventuale sperimentazione, per un periodo non inferiore ai 12 mesi" di uno schema che prevede turni di 10 ore (due al giorno) per sei giorni alla settimana. I lavoratori che lavoreranno dieci ore per quattro giorni potranno riposare i successivi tre. L'azienda avrà mano libera sugli straordinari: potrà ordinare ai lavoratori fino a 120 ore all'anno (oggi sono 40) e contrattare con i sindacati altre 80 ore per ogni lavoratore. I sindacati favorevoli sottolineano che "il ricorso massiccio ai turni di notte e agli straordinari produrrà un incremento in busta paga fino a 3.700 euro lordi all'anno". I contrari osservano che "far lavorare per 10 ore consecutive una persona in linea e poi chiedere anche l'undicesima ora di straordinario mette a rischio la salute".
Pause e mensa - Le tre pause di ciascun turno di lavoro saranno di 10 minuti ciascuna per un totale di 30 minuti. Oggi la loro durata complessiva è di 40 minuti. I dieci minuti lavorati in più verranno monetizzati: 45 euro lordi al mese. La pausa mensa (mezz'ora) non sarà a fine turno, ma la questione verrà nuovamente discussa quando nascerà la joint-venture con Chrysler. Nel caso di turni di 10 ore, le pause rimarranno invece di 40 minuti complessivi. Il nuovo sistema di pause entrerà in vigore dal 4 aprile 2011. Per i sindacati favorevoli "con i nuovi metodi di lavoro la fatica è minore e dunque il taglio di dieci minuti di pausa non è così grave". Per i contrari "anche la riduzione delle pause può diventare un rischio per la salute, così come dimostrano le più recenti indagini mediche".
Malattia e assenteismo - L'accordo collega assenteismo e malattia. Quando il tasso di assenteismo è giudicato eccessivo (il 6% a luglio 2011, il 4% a gennaio 2012, il 3,5% dal 2013) non si paga il primo giorno di malattia a chi si sia ammalato subito prima di un giorno di riposo o di ferie, negli ultimi 12 mesi. Sono escluse patologie gravi. "Un sistema per colpire i furbi", dicono i sindacati favorevoli. "Se un lavoratore è ammalato lo stabilisce il medico, non il caposquadra", ribattono i contrari.
Contratto e scioperi - "Il nuovo contratto non aderisce al sistema confindustriale" e dunque non prevede l'elezione dei delegati di fabbrica. Solo i sindacati firmatari possono nominare dei rappresentanti aziendali. I sindacati che sciopereranno contro l'accordo potranno essere puniti con l'annullamento dei permessi. L'azienda inoltre rinuncerà a trattenere le quote di iscrizione dalle buste paga (scaricando sul sindacato l'onere di raccogliere i soldi). I lavoratori che sciopereranno contro l'intesa potranno essere licenziati. Ognuno di loro avrà personalmente firmato il nuovo contratto al momento della nascita della joint-venture.
(Fonte: www.repubblica.it - 27/12/2010)

lunedì 27 dicembre 2010

Mirafiori, l'accordo in dieci punti


Sono dieci i punti dell'accordo firmato dai sindacati (ad eccezione della Fiom) e dalla Fiat per lo sviluppo dello stabilimento di Mirafiori. L'intesa prevede un investimento da oltre un miliardo di euro attraverso una joint venture tra Fiat e Chrysler. Ma di fatto esclude dalle rappresentanze sindacali la Fiom-Cgil, che non l'ha sottoscritta. Al posto delle Rsu torneranno a esserci le Rsa.
- un investimento in joint venture tra Fiat e Chrysler per oltre un miliardo di euro;
- la produzione a regime di 280mila vetture l'anno di Suv Chrysler e Alfa Romeo;
- il pieno utilizzo degli impianti su sei giorni lavorativi;
- il lavoro a turni avvicendati che mantiene l'orario individuale a 40 ore settimanali;
- la crescita del reddito annuo individuale di circa 3.700 euro per la maggiore incidenza delle maggiorazioni di turno;
- la possibilità di lavorare il 18esimo turno solo con il pagamento dello straordinario;
- il mantenimento della pausa per la mensa nel turno fino a che la joint venture non andrà a regime;
- la salvaguardia dei malati reali e un intervento volto a colpire gli assenteisti, al fine di tutelare coloro che hanno assiduità e puntualità nella prestazione;
- la compensazione di oltre 32 euro mensili per l'assorbimento della pausa di 10 minuti, resa possibile dal minore affaticamento del lavoro con l'introduzione della nuova ergonomia;
- il mantenimento di tutti i diritti individuali oggi esistenti e il loro miglioramento attraverso la prossima stesura di un Contratto Collettivo su molti punti migliorativo del Ccnl Metalmeccanici (scatti di anzianità, paga base, premio di risultato, ecc.).
(Fonte: www.corriere.it - 23/12/2010)

domenica 26 dicembre 2010

Caradisiac: la Chrysler 200 in vendita in Europa con il brand Fiat?


Secondo quanto riportato dal sito Caradisiac, la nuova Chrysler 200 potrebbe essere commercializzata in Europa con il brand Fiat. La vettura dovrebbe debuttare sul mercato europeo nel 2012, in sostituzione dell’attuale Croma. Il Lingotto avrebbe deciso di effettuare questa operazione di re-badging con il brand Fiat perché la 200 berlina, essendo sostanzialmente la versione restyling della Sebring, non è un modello adatto ad adottare il brand Lancia, in quanto non abbastanza lussuoso. Come evidenziato dalla ricostruzione grafica in alto, la berlina Fiat che dovrebbe derivare dalla Chrysler 200 si differenzierà da quest’ultima per gli interventi estetici al frontale, mentre la differenza più rilevante con la gemella statunitense sarà l’adozione di motori diesel. Infatti, i motori a benzina 2.4 da 173 CV e 3.6 V6 da 283 CV saranno affiancati in Europa dalle unità MultiJet con potenze comprese tra i 120 e i 170 CV. La nuova berlina di Fiat dovrebbe essere prodotta nell’impianto americano in Michigan e proposta al prezzo base di 22.000 euro circa. Inoltre, nel 2013 dovrebbe essere disponibile anche nella variante cabriolet che deriverebbe dalla Chrysler 200 Convertible.
(Fonte: www.caradisiac.com - 20/12/2010)

sabato 25 dicembre 2010

venerdì 24 dicembre 2010

I primi teaser delle nuove Ypsilon, Thema e Phedra negli auguri natalizi di Lancia


Un gessetto disegna su una lavagna la calandra di un'auto. C'è il nuovo logo Chrysler, anzi no: è quello Lancia. Sono le sequenze della newsletter per gli Auguri di Buone Feste che anticipano le forme delle nuove Lancia, quelle che vedremo nel 2011 e che segneranno la rinascita del marchio italiano alla luce dell'alleanza Fiat-Chrysler. La prima nuova Lancia sarà la Ypsilon 5 porte che arriverà a giugno (e che verrà venduta in contemporanea con la Ypsilon attualmente in commercio) e poi a seguire, sempre durante il secondo semestre 2011, arriveranno nelle 200 concessionarie nazionali di Lancia (che entro il 2014 saranno completamente rinnovate) i modelli di derivazione Chrysler: una monovolume e un'ammiraglia. Novità di cui si anticipano le linee nel messaggio di auguri che riprende il tema della "lavagna", che Lancia ha utilizzato per allestire il proprio stand allo scorso Motor Show. "Ogni innovazione è l'inizio di un percorso", recita il primo messaggio, seguito da "Le nostre linee sono strade mai tracciate prima", una ovvia allusione alla rinascita di Lancia che ha assorbito Chrysler (indirettamente presente anche con la scritta tradotta in inglese). "Un nuovo orizzonte, tre nuove Lancia", si legge sotto, dove stavolta si allude alle nuove Lancia Ypsilon, Thema e Phedra che molto prababilmente debutteranno a Ginevra (3-11 marzo 2011). Infine, "Buone Feste e Felice 2011".
(Fonte: www.omniauto.it - 17/12/2010)

giovedì 23 dicembre 2010

Fiat Freemont, il crossover che viene dall’America


Si chiamerà quasi certamente Fiat Freemont il nuovo crossover che il costruttore italiano è pronto a lanciare tra qualche mese, ovvero dopo il debutto in anteprima mondiale programmato al prossimo Salone di Ginevra. La vettura rientrerà nell’ottica di collaborazione tra Fiat e Chrysler e sarà una derivazione della Dodge Journey, che è stata appena sottoposta ad un restyling. Non si tratterà quindi di un modello nuovo, bensì di un “rebranding” con alcune novità che renderanno l’offerta più adatta al pubblico europeo rispetto all’originale, pensata espressamente per il mercato americano. A cambiare sarà pertanto l’offerta dei motori, con la sicura presenza delle migliori unità che il gruppo Fiat può attualmente offrire sia per quanto concerne l’alimentazione a benzina che per quanto riguarda quella diesel. Modificati, rispetto alla Dodge Journey, dovrebbero essere anche gli interni, oltre alla dotazione specifica per i mercati d’Europa in cui la Freemont verrà venduta. Con l’arrivo di questo crossover Fiat chiuderà finalmente un buco nella propria gamma in un segmento in cui la concorrenza è già intervenuta da parecchio con proposte più o meno di successo. Resta ovviamente il dubbio su se, e come, la Freemont riuscirà ad adattarsi ai gusti dell’esigente pubblico europeo ed è qui che si gioca la partita più importante per il suo successo.
(Fonte: www.oneauto.it - 17/12/2010)

mercoledì 22 dicembre 2010

Le strategie vincenti di Renault e Volkswagen, modelli per Marchionne


La Borsa, più dei dati sulle immatricolazioni, è il termometro migliore per comprendere lo stato di salute di un gruppo automobilistico e le aspettative dei mercati. Lo si è visto, per esempio, nei giorni scorsi quando Piazza Affari ha praticamente ignorato il forte calo delle vendite della Fiat in Italia (anche ieri titolo in rialzo e vicino ai massimi dell’anno). In questo momento, però, sono Renault e Volkswagen a calamitare più degli altri l'attenzione. Cominciamo dai francesi. Ieri Le Figaro, seppur con un eccesso di ottimismo, ha segnalato che la società registrerà nel 2010 un utile netto di circa 3,3 miliardi, grazie ai risultati positivi di Nissan (di cui detiene il 44% e con la quale è alleata da 10 anni) e alla cessione di parte della quota nei camion Volvo. In realtà, quando il presidente Carlos Ghosn tirerà le somme, il risultato sarà positivo e gli obiettivi, prefissati dodici mesi prima, tutti raggiunti. «Ma non evidenzieremo utili nella misura riportata dal quotidiano», avverte una fonte, abbassando così la bandiera a scacchi sul toto-profitti. La stagione d’oro di Renault, che ha nell’Eliseo l’azionista di riferimento con il 15% (un esempio virtuoso di convivenza), trova i suoi riscontri nel boom che la casa sta vivendo su alcuni mercati emergenti (Russia, Brasile e India) grazie soprattutto alla controllata Dacia, che ha iniziato a sfornare modelli dotati di un certo appeal e non solo robusti e capaci di accontentare le esigenze di mobilità e portafoglio. Renault, comunque, chiuderà un buon anno anche perché beneficia dell'andamento positivo di Nissan, il marchio globale del gruppo che continua ad avanzare in particolare negli U.S.A. . Nissan, inoltre, farà da battistrada dell’Alleanza sul fronte elettrico (la berlina Leaf è pronta a debuttare) sul quale Ghosn ha scommesso la bellezza di 4 miliardi di investimenti. Insomma, all'uscita di un anno sicuramente complicato per tutto il mondo dell’auto e nonostante la riduzione degli incentivi sul mercato domestico, Ghosn vede ripagata la sua strategia internazionale. L'auspicio, in tutta sincerità, è che la casa francese riprenda la bussola in tema di design e torni, come sta fattivamente cercando di fare da qualche anno, a proporre auto appaganti anche alla vista. Eccoci ora a Volkswagen e all’accoppiata di vertice costituita dal settantatreenne Ferdinand Piëch, presidente del consiglio di sorveglianza e ispiratore dell’exploit del gruppo, e da Martin Winterkorn, l’amministratore delegato-stratega che lo stato maggiore di Wolfsburg intende confermare fino al 2016. Al di là dell’effetto positivo derivato dall’economia tedesca, tornata a fungere da «locomotiva», quello che si prepara a diventare (nel 2018) il primo costruttore mondiale di auto, vede premiata la politica degli investimenti sulla gamma modelli, passati da 28 a 65 per tutti i 9 marchi, coprendo a 360 gradi l’offerta, furgoni e camion inclusi. Nessuna sovrapposizione, tutto funziona a meraviglia. Tanti marchi, insomma, che condividono ( come nel caso dell’Alleanza Renault Nissan), piattaforme avanzate, beneficiando così delle economie di scala. Con un valore aggiunto: essersi accaparrati una coppia d'assi nel design, ovviamente «Made in Italy»: Walter de' Silva e Giorgetto Giugiaro con tutta la sua Italdesign. I nuovi investimenti e le 50mila assunzioni nel mondo annunciate la dicono lunga sulla voglia di primato di Piëch e Winterkorn. Un ruolo non indifferente nello sviluppo verticale di Volkswagen lo si deve ai sindacati che hanno creduto nei piani di rilancio dell’azienda (nel '93 a Wolfsburg i conti erano in rosso, mentre ora i tedeschi possono permettersi di investire 51 miliardi entro il 2015). Sergio Marchionne, con la Chrysler e i marchi del gruppo Fiat, punta a recuperare il tempo perduto prima del suo arrivo e a presentarsi nel 2014 con una realtà competitiva (3 milioni di auto su tre architetture principali, come ricordato da Harald Wester, AD di Alfa e Maserati in un incontro a Londra) e le fabbriche «girare» nel modo voluto. Anche a costo di cedere alle lusinghe di Piëch e rinunciare all’Alfa.
(Fonte: www.ilgiornale.it - 14/12/2010)

martedì 21 dicembre 2010

La filiera italiana dell'auto ha retto alla crisi, ma i player nazionali sono troppo piccoli


Le scelte di Marchionne, dopo l'annuncio dato venerdì che la newco per Mirafiori fra Fiat e Chrysler nascerà fuori da Confindustria in attesa di uno specifico contratto per l'auto, restano sullo sfondo. I rapporti tra il Lingotto e i sindacati, senza il cui accordo l'investimento a Mirafiori non si farà, rimangono la vera incognita con cui l'intero mondo dell'automotive italiano dovrà confrontarsi. Intanto, però, i grandi fornitori che realizzano i motori, i vetri, gli interni, i freni e la meccatronica chiudono un anno in cui le cose potevano andare peggio. E iniziano a progettare un futuro che non sarà semplice, data la riconfigurazione in corso delle mappe mondiali dell'automotive. Secondo un'analisi di Roland Berger e di Lazard questo settore ha replicato in maniera fedele il comportamento dell'intera industria italiana. Le imprese hanno tenuto meglio rispetto ai competitor internazionali grazie a una dimensione media minore che, unita all'abilità di lavorare bene sul circolante, ha permesso una maggiore elasticità nel controllo dei costi e dell'organizzazione interna. Questa virtù, però, rischia di trasformarsi ora in un handicap, perché le nostre aziende hanno minori mezzi con cui finanziare lo sviluppo che, soprattutto nella giovane Asia, ma anche nell'emergente Sud America e nei vecchi Stati Uniti, sarà a tratti impetuoso. «L'analisi - spiega Roberto Crapelli, capo di Roland Berger nel nostro paese - è stata compiuta su circa 500 aziende internazionali, 40 delle quali sono italiane». A livello internazionale nel 2010 il fatturato complessivo mondiale è tornato ai livelli precrisi e la profittabilità si è attestata a un buon 6 per cento. Interessante la dinamica, fra 2007 e 2009, sulla capacità di essere redditizi a livello industriale. Nel 2007 l'Ebit mondiale era pari al 5,7%, quello dei produttori europei al 6,6% e quello degli italiani al 3,6 per cento. Dunque i produttori italiani, nell'anno prima della recessione, guadagnavano meno degli altri. Il terremoto però ha fatto più macerie fuori dal nostro paese. Nel 2009 l'Ebit mondiale è diventato dell'1,4% (perdita secca di quasi quattro punti e mezzo), quello europeo è sceso a -1,1% (perdita di quasi otto punti) mentre quello italiano si è fermato a -0,1%, limitando l'erosione di competitività a tre punti e mezzo. Per quanto concerne i fatturati italiani, ci vorranno ancora tre-quattro anni perché tornino ai livelli precrisi. «Quasi tutte le aziende italiane considerate - nota Crapelli - hanno un fatturato inferiore al mezzo miliardo di euro. Dunque, sono più piccole dei concorrenti. Calcoliamo che, nei prossimi dieci anni, per assecondare i loro piani di espansione i 500 player mondiali abbiano bisogno in tutto di 130 miliardi di euro. Che significano debito e capitali freschi. Per quanto concerne gli italiani, data la loro struttura finanziaria e la loro dimensione, è evidente che il denaro debba andare soprattutto a patrimonio». Dunque, anche in questo comparto si pone la questione della cessione dei diritti di proprietà. Anche perché, nello scenario di Roland Berger e di Lazard, gli obiettivi strategici fissati a dieci anni dai vertici delle imprese italiane sono raggiungibili soltanto con una forza finanziaria e patrimoniale che oggi non c'è. Prendiamo i ricavi e le produzioni ottenuti sui mercati del futuro. Oggi la Cina vale il 2% dei loro fatturati e l'1,5% della loro produzione, l'India lo 0,5% sia di fatturato sia di produzione e il Brasile il 4% del fatturato e il 2% della produzione. L'obiettivo è salire al 10-14% in Cina, all'8-11% in India e al 7-9% in Brasile. Gli investimenti nei Bric dovrebbero passare da una somma equivalente al 14% del fatturato a una somma pari al 39 per cento. «Sulle prospettive di questi fornitori - riflette Andrea Marinoni, che in Roland Berger si occupa di automotive - naturalmente influiranno le scelte di Fiat, che oggi si stima pesi per un terzo sulle loro commesse». Il problema non è solo se Fabbrica Italia, che peraltro è già stata "spacchettata" stabilimento per stabilimento, si realizzerà o no. La questione è anche rappresentata dalle scelte di acquisto di una Fiat-Chrysler sempre più globale: con chi si rifornirà? Anche nella migliore delle ipotesi Fabbrica Italia sembra una soluzione ponte per tre-quattro anni. L'urgenza di internazionalizzazione e di rafforzamento patrimoniale per queste imprese va perseguita indipendentemente da quanto capiterà a Fiat nei prossimi mesi.
(Fonte: www.ilsole24ore.com - 13/12/2010)

lunedì 20 dicembre 2010

Il restyling della Jeep Compass arriverà in Italia in aprile


È un restyling di sostanza quello effettuato dalla Jeep sulla Compass, modificata nel design degli esterni (ora più simili a quelli della Gran Cherokee) e dotata di un equipaggiamento ancora più ricco sia sul piano della sicurezza sia su quello dell'offroad.
Nuovo look - Basta un'occhiata per notare le differenze estetiche rispetto al modello precedente. Il frontale è stato rivisto completamente, a cominciare dai gruppi ottici trapezoidali al posto dei vecchi tondi; le tradizionali feritoie ora sono più corte e cromate e il cofano presenta una lieve bombatura che contribuisce a rendere più morbide le forme. Rimangono invariati i passaruota, mentre cambiano i cerchi di lega da 17" e, al posteriore, oltre all'aggiunta di uno spoiler e di luci a Led, è stato ridisegnato il paraurti.
Motori - Sotto il cofano la Compass disporrà di due 4 cilindri a benzina, uno di 2 litri da 160 CV, l'altro di 2.4 litri da 175. In Italia è previsto anche l'arrivo di unità a gasolio: un 2.2 CRD da 163 CV (136 CV per la versione a due ruote motrici), in sostituzione del vecchio 2.000 di origine Volkswagen. Per i benzina sarà disponibile un cambio manuale a 5 marce o automatico a variazione continua CVT2; un manuale a 6 rapporti equipaggerà invece le versioni diesel. Equipaggiamenti - Nuovi rivestimenti per i sedili, bracciolo centrale e volante multifunzione contribuiscono a rendere gli interni più eleganti e confortevoli rispetto al passato. E le versioni statunitensi offrono di serie anche apertura e avviamento keyless, cruise control, climatizzatore e sistema multimediale Uconnect.
Offroad - Per quanto riguarda il fuoristrada, la Compass avrà tre tipi di trazione: anteriore, integrale Freedom Drive I e integrale Freedom Drive II. Quest'ultima sarà dotata del pacchetto "Off-Road" con cambio CVT2L a marce ridotte, assetto rialzato, gomme all-terrain e scivoli inferiori. In Italia l'avvio della commercializzazione è previsto per il prossimo aprile, a un prezzo ancora da definire.
(Fonte: www.quattroruote.it - 14/12/2010)

domenica 19 dicembre 2010

Camusso (Cgil): "Marchionne disprezza l'Italia, ma dimentica che qui è monopolista"


«Marchionne deve smetterla di disprezzare l'Italia. E non per gli aiuti che la Fiat ha ricevuto in tanti anni. Ma perché questo Paese ha permesso alla Fiat di essere monopolista, gli ha garantito un grande mercato interno e un importante portafoglio marchi, tra cui quello dell'Alfa Romeo. Grazie a tutto questo la Fiat di Marchionne ha potuto scalare la Chrysler». Susanna Camusso, segretario generale della Cgil da poco più di un mese, sta tornando a Milano dopo aver partecipato alla manifestazione del Pd. La sfida con Marchionne sarà la sua prova del fuoco da leader della Cgil. Lei non sarà la "signora del no", ma su tutto vuole trattare rispettando le regole del gioco e non facendosele imporre dagli altri. Chiama in causa la Confindustria: «Spetta alla Marcegaglia invitare Cgil, Cisl e Uil a un confronto sull'eventuale contratto nazionale dell'auto. Non può essere la Fiat a scriverlo perché è nei fatti un monopolista e nemmeno la Federmeccanica che non rappresenterà più il settore». Non teme l'ennesimo accordo separato, quanto «la balcanizzazione delle relazioni industriali». Definisce «falsa e sbagliata» l'accusa di Marchionne alla Fiom che bloccherebbe lo sviluppo. «La riprova? Il Nuovo Pignone è un'azienda leader mondiale e lì la Fiom è largamente il primo sindacato».
Lei dice che Marchionne disprezza l'Italia. In realtà chiede solo garanzie per gli investimenti. Invece dovrebbe essere riconoscente a vita nei confronti dell'Italia?
«Non è una questione di riconoscenza. Dico che è il patrimonio costruito nel tempo che gli può permettere di giocare nel mondo. E dico anche che quel patrimonio è stato largamente svalorizzato negli ultimi anni. La Fiat dovrebbe confrontarsi con la Volkswagen che oggi è in condizioni di investire 44 miliardi di euro e programmare 50 mila assunzioni. Se poi Marchionne, con le sue critiche, intende porre il problema della mancanza di una politica per l'auto da parte di questo governo, ha ragione da vendere. Ma è un altro discorso e, allora, non può scaricare tutto sui lavoratori e far saltare il sistema delle garanzie per i lavoratori stessi».
Marchionne ha chiesto alla Marcegaglia di indicargli quali sono le ragioni che rendono conveniente un investimento in Italia. Provi a rispondere anche lei.
«C'è un motivo tra tutti: il mercato europeo. La Fiat non può pensare di diventare un giocatore mondiale andandosene dall'Europa. Così Marchionne contraddirebbe se stesso. I suoi concorrenti americani sono molto presenti nel mercato europeo».
La Fiat potrebbe rafforzarsi in Polonia o in Serbia.
«Ma non aveva spiegato che dovevamo fare come la Germania? ».
Comunque la Fiat è pronta a investire 20 miliardi di euro a condizione che i sindacati firmino un accordo per modificare l'organizzazione del lavoro.
«Per ora ci sono i 700 milioni per Pomigliano e un miliardo per Mirafiori. Continuiamo a non vedere il piano "Fabbrica Italia". È un piano che per ora non esiste. Ha ragione il segretario della Cisl Bonanni: prima gli investimenti e poi le ricadute sul lavoro».
La Confindustria è vittima o "complice" di Marchionne?
«Sono vere entrambe le cose. Per un verso è vittima perché la mossa di Marchionne indebolisce il sistema di rappresentanza della Confindustria. Ma nello stesso tempo questa situazione non è altro che la conseguenza della destrutturazione delle regole avviata con l'accordo separato sul modello contrattuale. Nasce tutto da lì».
L'uscita della Fiat da Confindustria sarà temporanea, come dicono, o definitiva?
«Mi pare che abbia tanta voglia di non tornare indietro. Ma spetta a Confindustria chiamare al tavolo i sindacati per scrivere, eventualmente, il nuovo contratto per l'auto. Seguendo la strada già tracciata all'epoca delle liberalizzazioni: non più il contratto Telecom, per esempio, ma quello nazionale del settore telecomunicazioni. Se non si avvia un confronto di questo tipo c'è il rischio che si metta in discussione il cosiddetto "tavolo per la crescita". Tra l'altro producendo un danno verso tutte le altre organizzazioni di imprese. La responsabilità sarebbe della Confindustria».
Dunque la Fiom ci sarà al tavolo per il contratto dell'auto?
«Prima si deve stabilire cos'è il contratto dell'auto. Se è un nuovo contratto nazionale serve una discussione aperta, non predeterminata. Servirebbe un po' di decenza per il rispetto delle regole».
Teme un altro accordo separato?
«Non temo nulla se non la balcanizzazione del sistema contrattuale».
(Fonte: www.repubblica.it - 12/12/2010)

sabato 18 dicembre 2010

Così lo "tsunami-Marchionne" sconvolge le relazioni industriali


Lo "tsunami-Marchionne" ha colpito prima i sindacati e con l'annuncio della Fiat-Chrysler di uscire, seppure temporaneamente, dall'associazione degli industriali, ora tocca alla Confindustria. Perché il nuovo contratto di lavoro per il settore dell'auto, marca uno spartiacque nelle relazioni tra le parti. Cambieranno i contratti e le altre regole del gioco. Ci sarà un effetto a valanga. Nulla sarà più come prima anche a Viale dell'Astronomia. Che subirà lo smacco dell'uscita del suo associato più prestigioso, il simbolo stesso del capitalismo italiano: la Fiat. Quella che per decenni ha dettato la linea della lobby industriale, guidandola, per un biennio, in prima persona con l'Avvocato Agnelli e "designando" più d'una volta il presidente. È un mondo che cambia. "Si passa - dice Giuseppe Berta, storico dell'industria all'Università Bocconi di Milano - da un'epoca nella quale la globalizzazione era uno scenario di riferimento per le relazioni industriali, a un'epoca in cui la globalizzazione entra e plasma anche le relazioni industriali". Uno shock per l'apparato confindustriale. Ma pure per i vertici che mercoledì si riuniranno prima nel Comitato di presidenza e poi nel Direttivo. Perché del "patto di New York", quello siglato con Marchionne sul contratto per l'auto con annessi l'uscita e il rientro della Fiat in Confindustria, Emma Marcegaglia non ne ha ancora parlato negli organismi direttivi. Per la prima volta in maniera plateale il manager Marchionne (perché uno dei "padroni" iscritti a Confindustria non avrebbe mai potuto farlo) sostiene che essere parte o meno dell'associazione è "un dettaglio". La crisi di rappresentatività che negli ultimi decenni si è scaricata in profondità sulle confederazioni sindacali a causa della frammentazione dei rapporti di lavoro, ora appartiene pure agli industriali. D'altra parte i segnali erano già da tempo affiorati: il malessere crescente dei piccoli, la voglia dei grandi pubblici alcuni ancora monopolisti (Eni, Enel, Poste) di pesare di più nelle decisioni, lo scontro frequentissimo nei territori (Venezia, Genova, Napoli, solo per fare alcuni esempi) per la lotta ai vertici delle associazioni locali. L'economista Giulio Sapelli ha parlato di "delegittimazione" della Confindustria dopo lo strappo di Marchionne che al Financial Times ha fatto venire in mente Margaret Thatcher. La "Lady di ferro" abbatté le resistenze dei minatori di Arthur Scargill, Marchionne vuole sconfiggere la Fiom dell'emiliano Maurizio Landini. Ma c'è dell'altro. C'è quello che Marco Revelli, politologo all'Università del Piemonte Orientale, descrive come "un pesantissimo siluro che Marchionne ha lanciato alle forme di rappresentanza nazionale", alla Confindustria innanzitutto. Continua Revelli: "L'amministratore delegato della Fiat interpreta nella forma più spietata la logica di un capitalismo ormai transnazionale. Un capitalismo che non accetta più la rappresentanza nazionale. Questa è davvero quella che Luciano Gallino ha chiamato "l'impresa irresponsabile". Un'impresa che non vuole più essere vincolata dai patti. È un'operazione di destabilizzazione del sistema delle relazioni industriali". Rimarrà un cumulo di macerie. Dove Marchionne porterà le relazioni industriali non è per nulla chiaro: se verso il modello a stelle e strisce con un sindacato fortemente coinvolto nelle logiche aziendali (come in Italia vorrebbe Roberto Di Maulo, il leader del Fismic, il "sindacato giallo" in Fiat) oppure nella Germania dove, a parte la logica partecipativa, le aziende possono uscire dall'associazione imprenditoriale e anche dall'applicazione del contratto. La via al cosiddetto "opting out" che già nel 1998 la "Commissione Giugni" propose per riformare il sistema contrattuale introdotto nel 1993. "Certo - spiega Carlo Dell'Aringa, professore di economia politica alla Cattolica di Milano - la rottura c'è stata ed è un fatto dirompente. Marchionne segnerà una discontinuità e il contratto nazionale perderà di peso. Si va verso un decentramento della contrattazione". Un modello che potrebbe andare bene ai grandi (come la Fiat o i gruppi pubblici) che si faranno di fatto il loro contratto, ma meno - probabilmente - alle aziende di piccole dimensioni. Il contratto nazionale oggi "protegge" i piccoli dalla presenza del sindacato, ma una volta che prevarrà il contratto aziendale accetteranno la presenza dei rappresentanti dei lavoratori? Difficile immaginarlo perché la mossa di Marchionne apre anche allo scenario senza regole, dove prevarranno i rapporti di forza. Che, in una fase di crisi permanente come questa, sono tutti a favore delle imprese. Aziende senza sindacato, insomma. In questa partita la Fiom rischia sempre più di stare fuori. Marchionne ha fatto chiaramente capire che ormai il suo obiettivo, non secondario, è questo. Nello stesso tempo lo strappo del manager italo-canadese ha messo a nudo la fragilità dell'accordo separato del 2009 sulla contrattazione, firmato da tutti tranne che dalla Cgil. "Nasce tutto da lì", è la tesi di Susanna Camusso. Da lì, invece, per Cisl e Uil si deve ripartire. "Quello di Marchionne - sostiene Giorgio Santini, prossimo segretario generale aggiunto della Cisl - è solo uno degli scossoni di assestamento. Dietro l'angolo non c'è il modello americano ma uno sviluppo della contrattazione decentrata". Paolo Pirani, segretario confederale della Uil, spiega che la vera anomalia è il contratto dei metalmeccanici rimasto fedele all'idea del "contratto di classe" che tiene insieme tutti: dall'informatico all'operaio della catena. "Con il contratto dell'auto i metalmeccanici si adeguano agli altri settori". Le conclusioni di Berta: "La verità è che manca una vera leadership. Servirebbero personalità con una storia, con carisma, con peso politico. Invece non ci sono, né tra i sindacati né nella Confindustria. Che celebra il suo centenario nella maniera più infausta".
(Fonte: www.repubblica.it - 13/12/2010)

venerdì 17 dicembre 2010

Nominato il cda di Fiat Industrial: arrivano Bombassei, Liberatore, Milone, Padoa-Schioppa, Perissinotto e Zhao


Conto alla rovescia per il debutto di Fiat Industrial. Oggi c’è la stipula dell’atto di scissione, i cui effetti giuridici decorreranno dal primo gennaio, il 3 gennaio la data prevista per l’inizio delle negoziazioni in Borsa del titolo. Nel frattempo, Fiat ha nominato il cda della nuova società (che include Iveco, Cnh e una parte di Powertrain): un board caratterizzato da sei consiglieri indipendenti e una forte internazionalizzazione, che diverrà operativo con effetto dalla data di efficacia della scissione ed avrà scadenza in concomitanza dell’assemblea convocata per l’approvazione del bilancio d’esercizio 2011. Il presidente del nuovo consiglio è Sergio Marchionne, l’ad di Fiat-Chrysler. Al suo fianco siedono John Elkann, il presidente di Fiat Group, e Gianni Coda, ad e direttore generale di Fiat Group Purchasing con la responsabilità degli acquisti di tutto il Gruppo Fiat. Quindi gli indipendenti (secondo i requisiti previsti dal Codice di Autodisciplina delle società quotate) Alberto Bombassei, Robert Liberatore, Libero Milone, Tommaso Padoa-Schioppa, Giovanni Perissinotto e John Zhao. Quest’ultimo, cinese, è il vicepresidente della Legend Holding, che controlla Lenovo, il colosso informatico che ha acquisito la divisione Personal Computer di Ibm. Zhao (un master in Business administration della Kellogg School of Management presso la Northwestern University, e un doppio master in Fisica e Ingegneria elettronica della Northern Illinois University) è anche fondatore e ceo di Hony Capital, una delle prime società di private equity cinese. In precedenza, ha operato come venture capitalist nella Silicon Valley e ha ricoperto le cariche di presidente e ceo di diverse società dell’It-tech. Alberto Bombassei è presidente e ad di Brembo ed è consigliere di Italcementi, Atlantia, Pirelli & C., Cioccolella, Nuovo Trasporto Viaggiatori. È inoltre vicepresidente di Confindustria, con delega per le relazioni industriali, affari sociali e previdenza. In passato è stato presidente di Federmeccanica, del Gruppo Anfia Componenti e vicepresidente dell’Ancma. Tommaso Padoa-Schioppa, economista, bocconiano (più master al Mit di Boston) è stato ministro dell’Economia nel governo Prodi II. In precedenza è stato direttore generale per l’Economia e la Finanza dell’Unione Europea, vicedirettore generale di Bankitalia, presidente della Consob. E ancora, dopo l’incarico ministeriale, è stato presidente del Comitato monetario e finanziario internazionale dell’Fmi, membro del comitato esecutivo della Bce. Oggi è advisor per le questioni economiche del premier greco George Papandreou, oltre che presidente del Notre Europe (l’istituto di studi europei fondato da Jacques Delors). Giovanni Perissinotto è amministratore delegato del Gruppo Generali, presidente del Consiglio di sorveglianza di Generali Investments, membro del Consiglio di gestione di Intesa Sanpaolo, amministratore di diverse società del Gruppo Generali (fra cui Banca Generali, di cui è presidente) e non appartenenti al Gruppo quali Pirelli & C. Libero Milone, una carriera in Deloitte&Touche (è stato presidente di Deloitte Italia), è presidente della società di risorse umane Jobnet. È inoltre presidente onorario di Protiviti (Italia), il gruppo multinazionale che si occupa di consulenza direzionale e presidente dell’organismo di vigilanza della Weather Investments, nonché membro dell’Audit Committee del World Food Program. Infine Robert Liberatore. Ha lavorato dieci anni al Congresso degli Stati Uniti, in Chrysler (è anche stato consulente della casa di Detroit nei primi mesi 2010 per gli affari Istituzionali). È membro dell’ente pubblico americano Gmf (German Marshall Fund); amministratore del National Democratic Institute e dell’Atlantic Council, del Federal City Council, nonché presidente del cda di Faith and Politics Institute. Intanto, sempre ieri, la questione del contratto Fiat e dell’eventuale uscita della newco per Mirafiori da Confindustria è stata al centro del direttivo dell’associazione degli industriali, che oggi, con la consulta dei presidenti, dovrebbe dare una risposta «di sistema». Diversi imprenditori avrebbero espresso «preoccupazione» e, sostenendo la linea tenuta dal presidente Emma Marcegaglia, chiederebbero al Lingotto di «scoprire le carte». Sul punto Marcegaglia potrebbe incontrare di nuovo Marchionne martedì prossimo.
(Fonte: www.lastampa.it - 16/12/2012)

giovedì 16 dicembre 2010

Nostra proposta per la Nuova Stratos: comprare i diritti e farla produrre da Maserati (vedi Alfa 8C Competizione)


I margini per la trattativa sono decisamente vincolanti. “Siamo disposti a produrla in serie limitata qualora venga confermato l’interesse”, misurabile attraverso il semplice conteggio di prenotazioni ed anticipi. Durante l’evento stampa organizzato presso l’autodromo Paul Ricard i tecnici Pininfarina hanno dunque posto le condizioni affinché la nuova Stratos sviluppi una progenie, fertile com’è la bellezza dell’esemplare realizzato per l’imprenditore tedesco Michael Stoschek. Restano tuttavia da chiarire le modalità con cui ottenere le necessarie Ferrari 430 Scuderia. La presentazione stampa ha inoltre coinciso con la pubblicazione delle prime immagini che raffigurano la nuova Stratos in livrea Alitalia e che mostrano il suo abitacolo, anch’esso ispirato alla 430 Scuderia ma decisamente peculiare nella conformazione delle portiere. Queste ultime, prive di materiale fonoassorbente, consentono infatti di ricavare un pozzetto in cui sono alloggiati i caschi.
(Fonte: www.autoblog.it - 14/12/2010)

mercoledì 15 dicembre 2010

Maserati, fuga da Modena?


La Maserati fuori da Modena? Per un appassionato di motori è folle solo pensarlo, ma è proprio questo quello che ora temono i sindacati. D'altra parte, passione per i motori o no, Marchionne pensa a far quadrare i bilanci e nel nuovo scacchiere mondiale Fiat-Chrysler ora è tutto possibile. Non è un caso che i sindacati siano preoccupati. Anzi, preoccupatissimi: "C'è grande incertezza, l'azienda è latitante, non risponde alle nostre richieste e cerca di evitare ogni incontro - spiega Claudio Mattiello, della Fim-Cisl di Modena - abbiamo forte preoccupazione per l'azienda e il marchio storico legato indissolubilmente alla città abbiamo bisogno di risposte, di risposte su una progettualità di risanamento che sta coinvolgendo la Fiat e che non può ignorare la Maserati". Si sa, dopo l'acquisto da parte della Fiat dello stabilimento ex Bertone (con il suo spettacolare reparto verniciatura che fa sembrare antiquati tutti gli altri) si è sparsa la voce di un trasferimento della Maserati. Ma ora c'è dell'altro: si parla di incrementare la produzione della casa del Tridente fino a 50.000 vetture all'anno. Il che, tradotto, significherebbe la matematica fuga dagli attuali stabilimenti che non riuscirebbero mai e poi mai garantire questi ritmi produttivi da record. "Bisogna capire cosa significa 'altro sito produttivo'- spiega infatti Mattiello - una cosa è l'allargamento della Maserati nel territorio modenese, tutt'altro discorso invece è la produzione fuori dal territorio modenese. Le ultimi voci circolanti vanno in questa direzione e ci preoccupano molto". Come finirà? Vedremo. La partita è aperta.
(Fonte: www.repubblica.it - 13/12/2010)

martedì 14 dicembre 2010

Fiat investirà 450 milioni di Euro per un secondo stabilimento in Brasile


Mentre discute i termini del possibile investimento a Mirafiori, la Fiat si prepara ad annunciare il raddoppio in Brasile: a giorni potrebbe arrivare l'annuncio di un investimento da 1 miliardo di reais (poco meno di 450 milioni di euro) per una nuova fabbrica nel paese sudamericano. Lo ha annunciato ieri un portavoce della Fiat Automoveis, correggendo le indiscrezioni pubblicate il giorno prima dal quotidiano economico locale Valor, che scriveva di un possibile intervento della Chrysler. La nuova fabbrica del gruppo torinese dovrebbe ricevere incentivi fiscali previsti per la regione Nordest dal governo del presidente uscente Lula. L'annuncio del nuovo stabilimento di Jaboatao dos Guararapes, città satellite di Recife, dovrebbe essere dato martedì prossimo dal presidente della Fiat latinoamericana, Cledorvino Belini, nel corso di una visita a Pernambuco con lo stesso Lula e il governatore Eduardo Campos. La Fiat brasiliana, prima sul mercato nazionale, vuole anche ampliare la produzione di Betim, alle porte di Belo Horizonte, dove vuole passare entro il 2014 dalle attuali 750 mila vetture all'anno a 950 mila unità. L'investimento per il secondo impianto di automobili rientra nel piano da 10 miliardi di reais che Fiat ha annunciato per il periodo 2011-2015; il 70% di essi riguarderà il settore auto. A Jaboatao si produrrà probabilmente la Nuova Uno, lanciata con successo sul mercato sudamericano in maggio. La casa torinese è da anni leader di mercato in Brasile, testa a testa con il gruppo Volkswagen; il paese sudamericano dovrebbe diventare il primo mercato per il Lingotto, superando l'Italia (a tutto novembre Fiat ha venduto in Brasile 560mila autovetture e 140mila veicoli commerciali). Fiat Auto dispone anche di un impianto in Argentina, a Cordoba, e di uno stabilimento di motori che aveva rilevato da Chrysler ancor prima dell'intesa del 2009. L'azienda italiana non è l'unica a scommettere sul Paese sudamericano, il cui boom ha attirato investimenti da tutti i big mondiali. Secondo le previsioni diffuse qualche giorno dall'associazione dei costruttori brasiliani Anfavea, la produzione di auto dovrebbe raggiungere l'anno prossimo il massimo storico di 3,63 milioni di auto, con un incremento del 5% rispetto al 2010.
(Fonte: www.ilsole24ore.com - 11/12/2010)

lunedì 13 dicembre 2010

Newco Mirafiori: domande e risposte


Qual è il primo impatto della costituzione di una newco per la joint venture Fiat-Chrysler su Mirafiori?
Come ogni nuova attività, la newco al momento della costituzione non è iscritta ad alcuna organizzazione imprenditoriale. L'intenzione di Fiat è di applicare ai lavoratori trasferiti nella newco un contratto collettivo aziendale ma non il contratto nazionale dei metalmeccanici.
Quali vincoli del contratto metalmeccanici Marchionne vuole superare con un accordo ad hoc per l'auto?
Per ottenere il massimo utilizzo degli impianti Marchionne intende aumentare il numero dei turni fino a 18 settimanali. Inoltre chiede 120 ore procapite all'anno di straordinari al sabato da utilizzare senza contrattazione invece delle attuali 40. Prevista la riduzione delle pause a fronte di migliori condizioni di lavoro. Infine, la clausola di responsabilità che prevede penali per i sindacati che non rispettino gli accordi sottoscritti.
Il contratto di Mirafiori sarà identico a Pomigliano?
Non è detto. La logica è di trovare il corretto equilibrio fra tutele per i lavoratori ed esigenze di produzione di ciascun stabilmento che si confronta su segmenti diversi del mercato globale. Pomigliano può essere la base per Mirafiori, ma con anche adattamenti specifici.
Cosa accadrà alla busta paga dei dipendenti di Mirafiori una volta creata la newco?
Nelle trattative interrotte il 3 dicembre l'ipotesi era la seguente: paga base come nel contratto metalmeccanici, più le indennità Fiat, la parte non detassata del premio di risultato e la quattordicesima distribuita in tredicesimi. In questo modo la paga base sarà maggiore di quella del contratto metalmeccanici e agisce su tutte le maggiorazioni e su tutti gli istituti. Gli scatti di anzianità saranno trasferiti nel superminimo individuale e il lavoratore avrà diritto ad altri 5 scatti biennali al 5% della nuova paga. Una tantum di 500 euro, in attesa di definire i nuovi parametri del premio di risultato.
L'orario di lavoro aumenta?
No. Le ore di presenza in fabbrica restano 40 a settimana. Si riducono però le pause da 40 a 30 minuti al giorno. Ma solo a fronte del miglioramento delle condizioni di lavoro. Quali vantaggi per gli addetti? Un operaio che nel 2009 ha percepito 23.500 euro lavorando su 10 turni, con il passaggio a 15 turni ne guadagnerebbe 27mila che salgono a 28.200 con 18 turni.
Cosa accadrà quando sarà definito un contratto nazionale per il settore auto?
La newco Fiat-Chrysler avrà un contratto collettivo nazionale e di conseguenza entrerà in Confindustria. Il contratto nazionale presumibilmente verrà applicato a tutti i siti automobilistici in Italia.
Il nuovo contratto dell'auto potrebbe essere applicato ad aziende diverse da Fiat?
Si, anche se al momento Fiat è l'unico produttore in Italia e dunque si può parlare di contratto mono-aziendale. L'assetto prevede comunque il doppio livello: uno nazionale di settore che garantisce trattamenti uniformi e uno aziendale per cogliere le specificità che collegano la retribuzione ad obiettivi condivisi di crescita della produttività.
Perché Fiom si oppone?
Teme lo smantellamento del contratto nazionale dei metalmeccanici.
(Fonte: www.ilsole24ore.com - 11/12/2010)

domenica 12 dicembre 2010

Nel 2011 la rete italiana Jeep aumenterà del 16%


Quali saranno gli sviluppi per il brand Jeep che nasceranno dall’alleanza tra i Gruppi Fiat e Chrysler? Lo ha spiegato Luca Napolitano, responsabile mercato Italia Jeep, al Motor Show di Bologna. “Il 2011 sarà l’anno più importante del progetto triennale di rilancio. Abbiamo lavorato con determinazione sulla strategia di distribuzione, con un piano di incremento della copertura territoriale. La nuova rete italiana Jeep conterà su 60 concessionari e 100 showroom, il 16% in più rispetto ad oggi”. Un lavoro certamente impegnativo, ma fondamentale per accogliere le previste novità di prodotto in arrivo nel 2011. Già introdotti il 2.2 TD da 163 CV su Patriot e il 2.8 common rail da 200 CV su Cherokee, Jeep ha presentato al Motor Show l’anteprima nazionale della nuova Grand Cherokee benzina, le cui vendite scattano proprio in questi giorni. Napolitano ha poi anticipato che a gennaio esordirà il nuovo Wrangler (vera icona del brand, disponibile nelle versioni Rubicon e Sahara anche sull’Unlimited), a febbraio toccherà al restyling del Patriot, ad aprile sarà la volta della rinnovata Compass e a giugno sarà lanciata la variante TD di Grand Cherokee. “Il marchio Jeep - ha concluso Napolitano - è sinonimo di libertà, è l’originale che negli anni 40 ha inventato il 4x4 e che da 70 anni è fedele al suo linguaggio stilistico”.
(Fonte: www.lastampa.it - 7/12/2010)

sabato 11 dicembre 2010

Marchionne: il metano avrà la precedenza su ibrido ed elettrico anche negli U.S.A.


Nel presente e nell’immediato futuro di Fiat e Chrysler c’è molto spazio per il metano. A ribadire una visione strategica che già era stata annunciata da Sergio Marchionne in vista dell’arrivo dei nuovi modelli italo-americani sul mercato U.S.A. ci sono ora numerose dichiarazioni di altri responsabili della Casa torinese, tutti pronti a scommettere sull’esperienza accumulata dal gruppo in seno all’alimentazione a gas naturale. Lo stesso CEO di Fiat e Chrysler ha sottolineato i vantaggi del metano rispetto alla trazione elettrica, una tecnologia più economica e che non presenta i “troppi problemi” delle auto a batterie. Marchionne ha anche recentemente dichiarato che la leadership di Fiat nel settore gas metano da autotrazione è una “risorsa chiave per l’ingresso nel mercato U.S.A.”.
GAS, PRIMA DELL’ELETTRICO - Anche al Motor Show di Bologna la Fiat ha tenuto a sottolineare come la presenza della 500EV prototipo rappresenti solo una vettura laboratorio che dimostra le capacità tecniche e la possibilità di produrre una piccola elettrica per gli Stati Uniti, ma che “il metano rappresenta la soluzione più rapida, economica e credibile alla riduzione dei consumi e delle emissioni”, offrendo “maggiore autonomia e costi di trasformazione inferiori”. A conferma di questa posizione ufficiale ci sono anche le dichiarazioni che Constantinos Vafidis del Centro Ricerche Fiat ha rilasciato ad Automotive New, secondo cui “il gas naturale è adatto al mercato U.S.A., soprattutto nel trasporto pubblico dove i mezzi vengono riforniti in una stazione centralizzata”.
LEADERSHIP FIAT - Questa ottimistica visione di un mercato nordamericano dell’automobile pronto ad accogliere le Chrysler e le Fiat a metano deriva anche da una posizione di predominio in Europa che ha portato la Casa italiana a detenere l’80% del mercato delle auto a metano e il 55% di quello dei veicoli commerciali leggeri. Se a questo si aggiunge che gli Stati Uniti d’America risultano fra i primi produttori di metano al mondo, si può ammettere che questa di Fiat sia una sorta di scelta obbligata, utile per mantenere e ampliare la leadership raggiunta a livello continentale.
RETE U.S.A. DA AMPLIARE - Una delle chiavi su cui punta Marchionne è quello della economicità di progettazione e realizzazione, che secondo i dati diffusi da Fiat-Iveco si traducono in un costo aggiuntivo di 2.200 euro per il metano, 2.500 euro per il diesel e quasi 6.000 euro per le ibride. Uno dei problemi che dovrà affrontare il gruppo Fiat-Chrysler è quello della rete distributiva nordamericana del metano, attualmente limitata a 1.300 stazioni di rifornimento (contro le 782 italiane) che servono 110.000 veicoli circolanti (oltre 600.000 in Italia) e si contrappongono ai 160.000 distributori di benzina. Basti dire che l’unico modello venduto a listino negli U.S.A. con l’impianto a metano è la Honda Civic GX.
FIAT 500 E DOBLO’ A METANO SCOPRONO L’AMERICA - I modelli più importanti per questo sbarco americano delle Fiat-Chrysler a gas naturale sono probabilmente l’attesa 500 a metano e la Doblò Natural Power, destinata entro breve ad arricchire la gamma del neonato marchio RAM. Da non sottovalutare è anche il settore delle flotte aziendali che, una volta superato il problema della distribuzione non capillare, potrebbe prevedere l’utilizzo di Chrysler 200 e Dodge equipaggiate con serbatoi di metano. Ancor più importante è il mercato dei veicoli commerciali leggeri, che potrebbe contribuire a diffondere l’uso del gas compresso nelle flotte e presso le ditte di autotrasporto che potrebbero così dimezzare i costi d’esercizio.
(Fonte: www.omniauto.it - 7/12/2010)

venerdì 10 dicembre 2010

Il SUV Maserati su base Jeep potrebbe montare un inedito V8


Maserati si appresta a proporre un modello assolutamente inedito nella sua gamma, uno sport utility basato sulla nuova Jeep Grand Cherokee. Il SUV del Tridente, come annunciato da Sergio Marchionne in prima persona, verrà prodotto nella fabbrica di Jefferson North, a Detroit. E porterà al debutto una serie di interessanti novità. La trasposizione in serie di un progetto, che affonda le sue radici ai tempi del prototipo Kubang del Salone di Detroit del 2003, servirà a dare man forte alla gamma di Modena, soprattutto su mercati come quello U.S.A., dove gli sport utility di prestigio continuano a riscuotere successo. La SUV Maserati, vale la pena ricordarlo, nascerà sul nuovissimo pianale della Grand Cherokee, che è stato sviluppato quando Chrysler era ancora nelle mani di Mercedes. La medesima moderna piattaforma, su cui nascerà anche la sport utility Alfa Romeo, si troverà dunque sotto il vestito della prossima Mercedes ML, attesa a breve scadenza sui mercati internazionali. La proposta del Tridente comunque, verrà sensibilmente differenziata dalla Grand Cherokee in virtù di sostanziosi interventi sulle sospensioni e su tutti gli altri elementi in grado di contribuire ad un handling che sia in linea con il resto dell’offerta Maserati. Prima di accogliere la produzione del nuovo modello, la fabbrica di Jefferson North subirà verosimilmente una serie di adattamenti. Per quanto riguarda la gamma motori, il SUV Maserati potrebbe portare al debutto un’offerta molto interessante. Oltre ad un V6 della nuova famiglia Pentastar, di cui è stato presentato finora il solo capostipite - un moderno 3.6 aspirato -, potrebbe vedere la luce un inedito 8 cilindri. Questo plurifrazionato non sarà né un’unità di derivazione Ferrari, come le attuali del Tridente, né tantomeno un derivato HEMI, ma più probabilmente un’unità di nuova concezione, più simile al Pentastar (soprattutto per l’aspetto dei consumi e delle emissioni) che alle unità già citate. Il debutto dello sport utility Maserati dovrebbe avvenire nel corso del 2013.
(Fonte: http://blog.caranddriver.com - 7/12/2010)

giovedì 9 dicembre 2010

Ralph Gilles conferma la nuova generazione della Dodge Viper


La scorsa estate, la storica muscle car americana, Dodge Viper, dopo diciotto anni di commercializzazione, è stata allontanata dalla produzione. Il segno dell’arrivo degli italiani del Gruppo Fiat? No: semplicemente, si sta preparando la strada per la nuova generazione, che dovrebbe essere ultimata e presentata nel corso del 2012. Sino ad oggi, tuttavia, nessuno s’era preso la briga di confermare o smentire la notizia dello sviluppo dell’automobile sportiva: ci ha pensato Ralph Gilles, Presidente e Amministratore Delegato della casa automobilistica statunitense, che ha messo alcuni puntini, su quelle “i” che ne avevano bisogno. Gilles, infatti, ha assicurato che il management del Gruppo Chrysler ha approvato e dato il via alla realizzazione della nuova generazione della supercar Dodge Viper, ma s’è affrettato a limitare le indiscrezioni, nettamente: la nuova Viper non sarà realizzata sulla base di nessuna altra automobile. Qualche settimana fa, infatti, alcune voci avevano asserito che la coupé americana sarebbe stata messa a punto sulla piattaforma di Alfa Romeo 8C Competizione e che la matita sarebbe stata ispirata proprio dall’affascinante coupé del Biscione. Altre, invece, volevano che il pianale e l’influsso venissero da un’altra parte d’Italia, cioè da Maranello, dalla casa automobilistica Ferrari. In realtà, la muscle car Viper sarà un progetto a sé stante. Così assicura Gilles. Tuttavia, una parte di verità nelle chiacchiere sulla nuova generazione di Dodge Viper c’è: il Chief Executive Officer del costruttore ha ammesso che per lo sviluppo della sportiva ci si sta affidando e ci si affiderà all’esperienza dei tecnici di Fiat S.p.A. Potrebbe essere vera, concreta, allora, la possibilità che Dodge Viper sia dotata della tecnologia Multair (controllo delle valvole elettro-idraulico) del comparto Fiat Powertrain Technologies. Gilles ha fatto intendere, inoltre, che la nuova generazione di Viper sarà dotata di sistemi di sicurezza, come il controllo di stabilità, prima mai utilizzati. Il design della vettura? Sarà quello classico: cofano anteriore lungo, abitacolo arretrato, terzo volume ristretto.
(Fonte: www.ultimogiro.com - 2/12/2010)

mercoledì 8 dicembre 2010

Il Lingotto a stelle e strisce. Diktat dei mercati a Marchionne


Fiat Auto esce da Confindustria e abbandona il contratto dei metalmeccanici. Sono i simboli di un'èra che si chiude. Un pezzo di storia dell'industria manifatturiera italiana giunge a una svolta. Ma ormai non è una vicenda tutta italiana, né tantomeno una partita solo sindacale. E' significativo che uno dei prossimi atti si svolga a New York: in settimana ne parleranno qui Emma Marcegaglia e Sergio Marchionne. L'ambientazione geografica è un po' casuale (si tiene qui la riunione annua del Consiglio per le relazioni Italia-Usa), tuttavia serve a sottolineare quanto il futuro di Mirafiori, Pomigliano e altri stabilimenti si giochi proprio negli Stati Uniti. In una sfida dove gli attori principali diventano l'Amministrazione Obama, Wall Street, e ancor più il sindacato metalmeccanico United Auto Workers (Uaw). Quella flessibilità che l'amministratore delegato di Chrysler-Fiat chiede ai suoi operai italiani, da lui la pretendono i mercati finanziari. Paradossalmente nella parte dell'azionista esigente c'è proprio il sindacato americano, che non può ratificare "favoritismi" o rigidità particolari nella parte italiana dell'azienda. Le scelte di Marchionne, da cui dipenderà la sopravvivenza di questo gruppo, sono comprensibili solo in questo scenario. Visto dagli Stati Uniti, e con un'attenzione alle tendenze globali del mercato dell'auto. Perché la stessa industria americana è tutt'altro che certa di poter uscire dal tunnel conservando delle dimensioni significative. In un mercato mondiale che tra il 2008 e il 2009 ha visto "scomparire" ben dieci milioni di autovetture vendute, dove la Cina ha bruciato i tempi ed è balzata di prepotenza al primo posto tra i produttori, dove un'auto europea su quattro ormai è prodotta nei paesi dell'Est (perfino i cinesi sono andati a investire in Serbia), la velocità del cambiamento dà le vertigini. Un sistema paese che non può adottare il modello cinese o indiano (perché non ha quella competitività sui costi), non riesce a inseguire il modello tedesco, dove alti salari e forte sindacalizzazione sono consentite da una straordinaria leadership tecnologica. Accadono così vicende come quella che sta agitando in queste ore la svedese Volvo: ceduta dalla Ford ai cinesi della Geely, si vede spalancare la possibilità di vendere 300.000 auto in più in Cina, ma a condizione di costruire là i prossimi tre stabilimenti. L'Amministrazione Obama per salvare pezzi importanti di industria manifatturiera ha seguito fin qui una strategia bipolare. Da una parte tenta di "fare la Germania", per esempio investendo sull'auto elettrica con General Motors (Volt) e Tesla. Dall'altra tenta di "fare un po' anche la Cina", con i sindacati costretti ad accettare per i nuovi assunti a Detroit un salario dimezzato (14 dollari l'ora), portandoli cioè allo stesso livello della manodopera non sindacalizzata degli Stati del Sud (Alabama, Mississippi) dove ci sono molte fabbriche giapponesi e tedesche. La via bipolare è complicata, siamo a metà del guado, lo stesso Obama è tutt'altro che sicuro di farcela. Chrysler-Fiat è un pezzetto di questa strategia del sistema-America. Ne subisce tutti i vincoli. Non solo perché Marchionne è un canadese-americano per cultura e formazione, ma perché precisi accordi guidano le sue prossime mosse. Fiat Auto al momento ha il 20% della Chrysler. Nel 2011 potrà ottenere "gratis" un ulteriore 15%, poi avrà l'opzione di salire fino al 51%. Il "gratis" è molto relativo, però. Occorre prima che Chrysler rimborsi interamente i debiti contratti con i governi americano e canadese all'epoca della bancarotta. Quindi servono nuovi capitali. Uno studio diffuso a Wall Street dalla Barclays indica il possibile tracciato. Marchionne negozia con le banche nuovi finanziamenti che gli consentano di ridurre gli oneri del debito (alcuni dei vecchi prestiti avevano tassi fino al 20%). Vende l'Alfa Romeo, o più probabilmente quota in Borsa la Ferrari. Qui un'ipotesi interessante è il collocamento alla Borsa di Hong Kong, la piazza finanziaria più importante per l'accesso ai capitali cinesi. Quotarsi a Hong Kong può consentire un prezzo "di favore" perché vista dall'Estremo Oriente la Ferrari verrebbe valutata più come un'impresa del settore lusso che non come una casa automobilistica. E' uno squarcio interessante su quel che resta una possibile vocazione manifatturiera italiana: nell'altissima qualità. In ogni caso, alla fine Fiat Auto raccoglierebbe i fondi necessari a diventare l'azionista di maggioranza della Chrysler. E' quello che desidera. Il noto "teorema Marchionne" era nato prima ancora della recessione, a maggior ragione lui lo sostiene adesso: in questo mondo una casa automobilistica non sopravvive sotto i sei milioni di unità prodotte all'anno. L'America gli è necessaria. Anche Obama non vede l'ora che Marchionne diventi l'azionista di controllo, vuole vendere la sua quota e ripetere così l'operazione Gm: quel collocamento in Borsa è andato bene e il governo ha potuto dimostrare al contribuente americano che il salvataggio si è concluso senza costi, addirittura con un profitto. Per reperire i nuovi finanziamenti, Marchionne deve convincere i mercati che la sua strategia è sostenibile. Ivi compresa per la parte italiana. E' qui che lo scorporo dei vari stabilimenti, la loro trasformazione in tante Newco (nuove società) "vergini", l'uscita dalla Confindustria e quindi la non applicazione del contratto nazionale metalmeccanici, diventano mosse obbligate. In questo caso i diktat dei mercati finanziari hanno una dimensione sorprendente, se vista dall'Italia. Il maggiore vincolo su Marchionne non è qualche gigante cattivo della speculazione. No, il peso massimo qui è proprio il sindacato Uaw. Che continua a detenere ad oggi il 68% delle azioni ordinarie Chrysler. E non vede l'ora di venderle, sperando anche lui di ripetere l'ottima uscita dalla Gm: in quel caso la confederazione Uaw ha incassato una plusvalenza di 2,9 miliardi di dollari. Il sindacato dei metalmeccanici americani ha accettato di fare sacrifici pesantissimi per salvare Chrysler. Oltre ai salari dimezzati per i nuovi assunti, anche pensioni e assistenza sanitaria hanno subìto tagli dolorosi. Ha perfino sottoscritto l'impegno vincolante a non fare una sola ora di sciopero fino al 2014. Questo sindacato-azionista considera impresentabile per i suoi iscritti un progetto strategico che conceda ai metalmeccanici italiani garanzie e rigidità abbandonate qui negli Usa. La via delle Newco, l'addio al contratto nazionale, sono strappi traumatici alla luce della cultura sindacale italiana, della storia del nostro movimento operaio, della nostra tradizione politica. Ma ormai la Fiat Auto è in gran parte una storia americana, le cui regole si decidono qui.
(Fonte: www.repubblica.it - 6/12/2010)

martedì 7 dicembre 2010

Motor Trend diffonde in anteprima le foto ufficiali della Chrysler 300C


Il debutto della Chrysler 300C si avvicina, essendo previsto per il Salone di Detroit a gennaio, e iniziano a circolare le prime immagini del modello definitivo che, curiosamente, non arrivano dalla stessa Chrysler, ma sono state divulgate in anteprima dal sito Motor Trend. Ormai, la nuova Chrysler 300C non ha quasi più segreti: nell'ultimo periodo è stata sorpresa durante delle riprese per un video promozionale e da un nostro lettore in Italia che ne avevamo mostrato anche gli interni. La grossa berlina americana sarà in vendita negli U.S.A. nei primi mesi del 2011 con due motori, il 3.6 V6 Pentastar da 284 CV e il 5.7 V8 Hemi, abbinati a un nuovo cambio automatico e alla trazione posteriore. Per il mercato nordamericano, inoltre, sarà disponibile anche una versione a quattro ruote motrici. Secondo Motor Trend, diversamente da quanto avviene per la serie attuale, per la nuova generazione non sarebbe prevista una versione familiare della Chrysler 300C. Con un aspetto massiccio, evoluzione di quello dell'attuale modello, la nuova Chrysler 300C arriverà anche in Italia con il marchio Lancia. Secondo le indiscrezioni, l'erede della Thesis si differenzierà solo per la mascherina con il classico scudo della Lancia e pochi altri dettagli. Affianco al motore 3.6 V6 a benzina ci saranno anche i più potenti motori turbodiesel del gruppo Fiat. La nuova berlina Lancia sarà in vendita dal prossimo autunno.
(Fonte: www.motortrend.com - 3/12/2010)

lunedì 6 dicembre 2010

Fiat potrà salire al 51% di Chrysler anche prima del 2013


Fiat potrà esercitare l'opzione per salire al 51% di Chrysler anche prima del periodo fissato per l'opzione, cioè tra il 2013 e il 2016, sempre che sia stato interamente pagato il debito con i governi statunitense e canadese. "Fiat avrà il diritto di esercitare in tutto o in parte un 'Incremental Equity Option' o un'opzione call alternativa in qualunque momento prima dell'inizio dell''Incremental Equity Exercise Period', se l'esercizio si verifica durante o dopo il 'Government Loan Termination Day'", dice il testo dell'accordo disponibile sul sito del Tesoro statunitense. L'Incremental Equity Option è quella che consente di acquistare un ulteriore 16% di Chrysler da parte di Fiat. L'Incremental Equity Exercise Period è il periodo che va dall'1 gennaio 2013 al 30 giugno 2016. Il Government Loan Termination Day significa la data in cui i prestiti del Tesoro U.S.A. e del governo canadese sono stati ripagati interamente, considerati anche i ricavi dell'eventuale contemporaneo esercizio dell'opzione call da parte di Fiat e dopo che tutti gli impegni sottostanti sono conclusi. Fiat lunedì sera ha diffuso una nota per ricordare i punti salienti dell'accordo su Chrysler, che però non indicava questa possibilità. Fiat detiene il 20% di Chrysler e prevede di raggiungere nel 2011 gli obiettivi previsti dall'intesa, che le consentiranno di ricevere gratuitamente un ulteriore 15% della società U.S.A. .
(Fonte: http://it.reuters.com - 3/12/2010)

domenica 5 dicembre 2010

Marchionne rivoluzionario come Mattei, ma (in Italia) non sa creare consenso


Perché Fiat ha lanciato l'ennesimo macigno nello stagno Italia? Perché Sergio Marchionne, l'amerikano, continua ad agitarsi, a scatenare polemiche, a fare l'antipatico invece che lisciare il pelo a destra e manca? Perché il Lingotto rovescia clamorosamente il tavolo delle trattative sul futuro di Mirafiori, ovvero sulla stessa esistenza di un baricentro produttivo per l'impero Fiat? Per orientarsi su una delle battaglie economiche più affascinanti degli ultimi anni, forse è il caso di partire da alcune cifre. Ecco le più importanti in sintesi: a Torino, Fiat vuol passare dalle 120 mila auto (da 12 mila euro l'una) prodotte nel 2010 a 250/280 mila da sfornare nel 2014 (da 25 mila euro l'una). Si tratterebbe di un raddoppio quantitativo e qualitativo poiché a Mirafiori fra un paio d'anni si fabbricherebbero Suv compatti con marchio Jeep e Alfa Romeo e la nuova berlina Alfa Romeo. Più della metà dei pezzi andrebbero esportati, buona parte negli Stati Uniti che resta il mercato più esigente e difficile al mondo. In 2/3 anni Fiat e Chrysler investirebbero a Torino un fiume di denaro: più di 1 miliardo di euro. Il più grosso investimento dal 1994. Cosa offre in cambio Marchionne? Aumenti del 20% netto delle paghe (fra i 3.500 e i 4.200 euro l'anno ovvero fra 250 e 300 euro netti in più al mese) grazie al terzo turno notturno e al sabato mensile di lavoro in straordinario. Cosa chiede in cambio Marchionne? Una riduzione dell'assenteismo e l'impegno a non scioperare durante gli straordinari. Se quest'ultima condizione fosse violata scatterebbero delle sanzioni contro il sindacato che indice l'agitazione. Ma la clausola più forte non è strettamente economica, è di "agibilità". Marchionne ha previsto che la nuova società che prevede di fondare assieme a Chrysler per la gestione della Nuova Mirafiori stia fuori dal sistema Confindustria. Quindi che abbia un suo contratto diverso da quello nazionale firmato fra Confindustria e i sindacati confederali. Ed è questo il nodo che ha fatto saltare il tavolo, nonostante fossero già state concordate 70 - settanta - pagine di accordo. In sintesi: Fim-Cisl e Uilm-Uil non hanno accettato di lasciare l'orbita Confindustria- Confederazioni. Qui entriamo sul terreno minato dei riflessi politico-sindacali della trattativa. E al momento si possono solo elencare una serie di elementi che fanno capire quanto sia difficile muoversi nella "Cristalleria Italia": 1) l'alta burocrazia confindustriale ha sempre visto con preoccupazione la richiesta di Marchionne di farsi il proprio contratto auto ma certo non può dare spago agli osservatori più maligni che parlano della nascita di un asse di fatto Confindustria-Fiom; 2) la Fiom, in difficoltà di fronte ai soldi offerti dalla Fiat e alla qualità delle vetture ipotizzate da Marchionne, aveva ammorbidito i toni ma - al momento - over gestire una scomoda alleanza con Fim e Uilm dopo averle accusate di eccessiva vicinanza all'azienda; 3) Fim e Uilm dopo aver accusato la Fiom d'essere un partito, le danno ragione; 4) la Cgil che nei giorni scorsi aveva fatto forti pressioni sulla Fiom affinché travasse un'intesa con Marchionne, si trova scavalacata a sinistra da Fim e Uilm (e Confindustria?) ; 5) Marchionne, che per una volta aveva presentato l'investimento a Torino senza suscitare alcuna polemica (e infatti i giornali ne avevano parlato pochissimo senza sottolinearne l'importanza per l'economia italiana) ora dovrà fronteggiare l'accusa d'essere inaffidabile e di voler portare tutta l'auto all'estero. Morale. Forse ha ragione quel professore universitario, grande estimatore del progetto marchioniano, che a margine dei convegni ripete ossessivamente la stessa considerazione: Marchionne ha la stoffa di un rivoluzionario come Mattei, però non ricorda che Mattei rompeva, sì, vecchi equilibri italiani, ma sapeva creare consenso. Molto consenso. In Italia, non in America.
(Fonte: www.ilmessaggero.it - 3/12/2010)