lunedì 31 gennaio 2011

Il futuro di Lancia dipende dalla nuova Ypsilon. Elisabetta Canalis scelta come testimonial.


Il futuro di un marchio è nelle mani di un solo modello. Succede in casa Lancia, dove l'amministratore delegato del Gruppo Fiat, Sergio Marchionne, scommette sulla nuova Ypsilon 5 porte per rilanciare un brand che è ormai legato a doppio filo con quello americano Chrysler (la Chrysler 300 sarà la nuova Lancia Thema e la 200 sarà la Lancia Flavia). "Questa vettura deve essere perfetta sotto ogni suo aspetto", ha detto l'amministratore delegato al portale polacco "Rz.Pl" durante una tavola rotonda al Salone di Detroit. E la dichiarazione non è casuale. Con la chiusura di Termini Imerese, la nuova Ypsilon verrà costruita in Polonia nello stesso stabilimento in cui viene prodotta la 500. "Sappiamo che l'unione tra la stilistica italiana e la qualità polacca è positiva", ha aggiunto Marchionne, spiegando che l'obiettivo aziendale è oltrepassare le 100mila unità l'anno.
(Fonte: www.omniauto.it - 17/1/2011)

E' di Elisabetta Canalis il volto scelto per lo spot della nuova Ypsilon, il modello da cui dipende gran parte del rilancio del marchio Lancia e che verrà presentato in anteprima mondiale al Salone di Ginevra (1-13 marzo). La conferma arriva dall'America, dove è in corso di lavorazione lo spot pubblicitario e dove l'ex velina è particolarmente nota per via della sua relazione con l'attore di fama internazionale George Clooney. E' infatti probabilmente anche per questo che il Gruppo Fiat l'ha notata. Di fatto con l'alleanza Fiat-Chrysler il Lingotto è legato a doppio filo con gli Stati Uniti e si trova a dover affrontare una scommessa importante: vendere i modelli Fiat quest'anno e quelli Alfa Romeo l'anno prossimo. Non stupisce quindi che il Lingotto continui a legare l'immagine dei propri marchi a quella di celebrità di fama internazionale, come già accaduto con Uma Thurman, Richard Gere e Carla Bruni. Ed anche nel caso della nuova Lancia Ypsilon la creatività è firmata dall'agenzia Armando Testa. Sebbene ancora non ci siano immagini del set, Melchiorre Rino Drogo, responsabile della comunicazione Fiat e Lancia, ha confermato che Elisabetta Canalis ha iniziato le riprese nei giorni scorsi sulle coste di Los Angeles, dove la classe e lo stile di una giovane donna sulla spiaggia è stata associata all'immagine della Ypsilon di oggi e soprattutto di domani.
(Fonte: www.omniauto.it - 19/1/2011)

domenica 30 gennaio 2011

Fiat, nel 2010 superati tutti i target: ricavi a 56,3 miliardi e utile a 600 milioni


Il gruppo Fiat ha superato nel 2010 tutti i target, che già erano stati rivisti al rialzo, e le attese degli analisti: il dato emerge dal bilancio, presentato stamane al consiglio di amministrazione. Al termine del cda il sono stati annunciati ricavi in rialzo del 12,3% a 56,3 miliardi di euro, un utile della gestione ordinaria per 2,2 miliardi (da 1,1 miliardi nel 2009), rispetto ad attese pari a 1,94 miliardi, e un utile netto pari a 600 milioni contro gli 848 milioni di perdite del 2009. In calo da 4,4 a 2,4 miliardi l'indebitamento netto. La liquidità è salita a 15,9 miliardi da 12,4 miliardi a fine 2009. Dopo la diffusione dei risultati di fine esercizio, il titolo del Lingotto, piuttosto volatile nel corso della mattinata, segnava un calo del 3,18% a 7,15 euro. Debole anche Fiat Industrial (-1,31% a 10,07 euro), mentre Exor cedeva lo 0,6% a 23,15 euro. In mezz'ora i calo si è ridotto all'1,15%.
Marchionne: soddisfatti e vogliamo migliorare. L'ad della Fiat Sergio Marchionne ha definito soddisfacente la performance operativa del gruppo nel 2010. Parlando in conference call con gli analisti finanziari sui dati dell'anno appena trascorso, ha sostenuto che Fiat S.p.A. e Fiat Industrial si impegneranno per migliorare nel 2011. E ha aggiunto, rispondendo a una domanda di un analista: "Non posso restringere i campi delle possibili attività nell'M&A (fusioni e acquisizioni societarie, ndr). Non sarebbe saggio da parte nostra provare a prevedere cosa succederà, l'unica cosa che so è che Fiat deve esserci". E sulla possibile estensione degli accordi sindacali già raggiunti a Mirafiori e Pomigliano anche ai due stabilimenti di Melfi e Cassino, Marchionne ha detto: "Su Cassino e Melfi non si può prevedere cosa succederà nel 2011. Dipenderà dal rinnovo dei modelli" prodotti negli stabilimenti.
I risultati 2010. Il gruppo Fiat ha registrato nel 2010 ricavi pari a 56,3 miliardi di euro, in crescita del 12,3% rispetto al 2009. Il consensus degli economisti prevedeva un utile netto intorno ai 455 milioni, rispetto a perdite nette per 848 milioni nel 2009, e un risultato della gestione ordinaria positivo per 2,17 miliardi. I business dell'automobile e dei relativi componenti (Fiat post-scissione) hanno conseguito ricavi pari a 35,9 miliardi di euro (+9,8% rispetto all'anno precedente). Cnh, Iveco e le relative attività Powertrain (Fiat Industrial) hanno registrato ricavi di 21,3 miliardi di euro (+18,8%).
Fiat Auto. Fiat Group Automobiles ha chiuso il 2010 con un utile della gestione ordinaria pari a 607 milioni di euro (470 milioni nel 2009). I ricavi sono pari a 27,9 miliardi di euro, in crescita del 6% rispetto al 2009 (+0,5% a cambi costanti). L'effetto della contrazione dei volumi delle vetture (-8,2%) è stato compensato dal consistente incremento delle vendite di veicoli commerciali leggeri (+27%).
Dividendo complessivo di 155,1 milioni. Il Cda di Fiat intende proporre all'Assemblea degli azionisti il pagamento di un dividendo complessivo di 155,1 milioni di euro: 151,6 milioni di euro escludendo le azioni proprie ad oggi detenute. La proposta di distribuzione del dividendo sarà così articolata: 0,09 euro per azione ordinaria, per un importo totale di 98,3 milioni di euro (94,8 milioni di euro escludendo le azioni proprie ad oggi detenute); 0,31 euro per azione privilegiata, per un importo totale di 24,8 milioni di euro; 0,31 euro per azione di risparmio, per un importo totale di 32 milioni di euro.
Obiettivi 2011. Fiat conferma gli obiettivi finanziari del piano 2010-2014 presentato nell'aprile scorso. In particolare, per il 2011, sono stati fissati i seguenti target: ricavi di circa 37 miliardi di euro per Fiat e di circa 22 miliardi di euro per Fiat Industrial; utile della gestione ordinaria di 0,9-1,2 miliardi di euro per Fiat S.p.A. e di 1,2-1,4 miliardi di euro per Fiat industrial; indebitamento netto industriale di 1,5-1,8 miliardi di euro per Fiat S.p.A. e di 1,8-2,0 miliardi di euro per Fiat Industrial. "E' prevista una crescita sostanziale dei programmi di investimento - spiega il Lingotto - in particolare per Fiat nei confronti dei livelli anomali e particolarmente bassi del 2010, con il ripristino di un livello di investimenti normalizzato per tutti i settori. Lavorando per il conseguimento degli obiettivi, Fiat S.p.A. e Fiat Industrial continueranno a implementare la strategia di alleanze mirate, al fine di ottimizzare gli impegni di capitale e ridurre i rischi".
Risultati Ferrari. Nel 2010 Ferrari ha realizzato ricavi per 1,919 miliardi di euro, in crescita del 7,9% rispetto al 2009 e un utile della gestione ordinaria di 303 milioni di euro (15,8% dei ricavi), a fronte dell'utile di 238 milioni di euro del 2009 (13,4% dei ricavi). I ricavi - spiega la nota - sono stati ottenuti principalmente grazie ai maggiori volumi di vendita, trainati dalle nuove vetture 458 Italia e 599 Gto, e al positivo contributo del programma "personalizzazioni". In particolare, le vendite del 2010 hanno beneficiato dell'arrivo su tutti i mercati della vettura 458 Italia e della conferma del successo della Ferrari California, modelli che complessivamente costituiscono l'87% delle consegne totali. Molto positive anche le vendite della serie limitata 599 Gto.
(Fonte: www.repubblica.it - 27/1/2011)

sabato 29 gennaio 2011

Fiat Freemont, un déjà-vu intelligente


L’annunciata presentazione della Fiat Freemont al Salone di Ginevra 2011 (3-13 marzo) ha suscitato un autentico “vespaio” di commenti fra sostenitori e detrattori. Molti si sono scagliati contro un’operazione estetica che si limita ad applicare il marchio torinese alla rinnovata Dodge Journey, senza valutare che dietro a questo primo modello Fiat-Chrysler per l’Europa c’è qualcosa di più di un semplice ritocco che sa di déjà-vu. Qui di seguito vi spieghiamo i perché di una scelta che presenta invece solide basi commerciali.
UN MULTISPAZIO AL POSTO DI TRE - In primo luogo occorre ricordare che la Fiat Freemont assolve ad un fondamentale compito strategico- commerciale: riempire in maniera veloce ed economicamente vantaggiosa il vuoto lasciato in gamma dall’uscita di produzione di Fiat Ulysse, Multipla e Croma, multispazio che già da tempo stentavano a reggere la sfida delle concorrenti. Affidandosi alla produzione messicana della Journey la Casa torinese è immediatamente in grado di aggiungere ai propri listini un crossover grande con 7 posti, trazione anteriore o integrale e dotazioni degne della concorrenza. Quest’ultima si traduce soprattutto in Volkswagen Sharan, Ford Galaxy, Renault Espace e Citroen Grand C4 Picasso, che però non dispongono delle quattro ruote motrici. Per trovare una 4x4 che si avvicini alle dimensioni della Fiat Freemont (489x188x172 cm) occorre invece rivolgersi al segmento dei SUV come Qashqai+2, Mitsubishi Outlander, Peugeot 4007/Citroen C-Crosser e Mercedes Viano.
MOTORE E RETE DI VENDITA FIAT - Il vantaggio del 4x4, dei 7 posti e delle proporzioni "importanti" potrebbe giocare a favore della Fiat Freemont, soprattutto sui mercati del Centro-Nord Europa. A seguito dell'addio di Dodge al Vecchio Continente e in una sorta di staffetta già pianificata la Fiat Freemont va quindi a sostituire la Journey sul mercato europeo ed italiano, dove comunque non ha avuto una grande diffusione (3.554 esemplari dal 2008 al 2010). Da non trascurare è poi il network di concessionarie e officine autorizzate su cui può contare Fiat, elemento fondamentale per le vendite, come insegna l’esperienza Fiat Sedici/Suzuki SX4. Altra carta vincente di Fiat Freemont sarà il Multijet 2.0 da 170 CV, primo motore Fiat trapiantato su un modello nordamericano destinato al Vecchio Continente.
IN ATTESA DELLE MONOVOLUME SERBE - Il pianale della Dodge Journey, a sua volta derivato dall'ancora meno nota Chrysler Pacifica e dalla Dodge Avenger, è utilizzato come base di partenza per traghettare nel modo più logico e profittevole il carente listino MPV di Fiat verso la nuova fase industriale prevista dal piano strategico 2010-2014. A partire dal 2012 comincerà infatti nello stabilimento serbo di Kragujevac la produzione dei due modelli “LO”, sostitute di Multipla, Idea e Musa che puntano a sfidare anche la nuova Ford C-Max. Più che un semplice modello di transizione, la Fiat Freemont si appresta quindi a ricoprire il ruolo strategico di “avamposto” americano in Europa, modello pronto comunque a sostenere le vendite e l’immagine di Fiat nell’importante segmento dei monovolume.
(Fonte: www.omniauto.it - 26/1/2011)

venerdì 28 gennaio 2011

Fiat: Dombreval e Valente nuovi collaboratori di Formica



Thierry Dombreval e Romano Valente sono entrati a far parte della squadra di Andrea Formica, CEO del brand Fiat e responsabile anche delle vendite di Chrysler in Europa e della funzione Commercial per la gestione delle attività di vendita per i brand Fiat, Alfa Romeo e Lancia. La casa automobilistica ha così confermato le indiscrezioni di stampa precisando che Dombreval e Valente "collaboreranno con Formica". Dombreval, 63 anni, ha lavorato per Ford, Renault e Toyota. In Toyota Motor Europe è stato in particolare capo di Formica, approdato in Fiat dalla casa giapponese lo scorso settembre. Il manager francese affiancherà Formica nel marketing e nelle vendite dei brand del gruppo nei principali mercati europei. Valente, che arriva da Hyundai Italia, di cui era vicepresidente, si occuperà degli altri Paesi europei. Le vendite di Fiat, Alfa Romeo e Lancia sono diminuite nel 2010 del 17% a circa 1,04 milioni di unità nei 27 Paesi UE + EFTA con una quota calata al 7,6% dall'8,7% secondo i dati ACEA.
(Fonte: www.ilsole24ore.com - 19/1/2011)

giovedì 27 gennaio 2011

Intervista ad Andrea Formica: "Ora Fiat deve andare oltre la 500"


"Se va bene la Fiat, il resto è tutto più facile". Detta così sembra un salto nel passato. Un passato lontano quando "tutto quello che andava bene alla Fiat, andava bene al paese". Ma il senso invece è completamente diverso. Soprattutto se a parlare è Andrea Formica, ad di Fiat Automobiles e responsabile delle vendite di tutti i marchi del gruppo, uno degli uomini nuovi della squadra di Marchionne. Il manager che dovrà trovare la formula magica per piazzare solidamente sul mercato i nuovi modelli ma soprattutto quelli attuali. Gli unici che potranno traghettare la casa torinese nel 2012, quando finalmente arriveranno le prime vere grandi novità come la nuova Panda, la monovolume a 5 e 7 posti, la Giulia e la nuova Delta. E così, la domanda che ormai si fanno in molti è come farà la Fiat a superare questa fase con così pochi modelli. Ora le auto bisognerà ricominciare a venderle. E anche fare i conti con la nuova immagine della Fiat globalizzata. Con quale strategia commerciale? Con quali obiettivi? Adesso che ci sono pure Chrysler, Dodge, Jeep come cambierà la percezione e l'immagine del marchio. "Nessuno vuole cambiare o tradire l'immagine del marchio Fiat che si riassume sempre nella formula "soluzioni semplici e divertenti per la guida di tutti i giorni". Oggi il prodotto che rappresenta questa filosofia è la 500".
Quindi dipendete molto dalla 500?
"Diciamo che è il centro di gravità del marchio. Molte delle decisioni devono passare attraverso la 500. È un prodotto apprezzato ovunque, che ha visibilità e personifica il marchio. La prova è che quando siamo dovuti entrare in nuovi mercati, il primo modello a cui abbiamo pensato è stato la 500. Quello che dobbiamo fare da adesso in poi è andare oltre la 500".
Bene, ci dica allora cosa c'è "oltre la 500".
"Dobbiamo tornare a parlare di Fiat e dei suoi prodotti. Questa è la partita e per questo dobbiamo scendere in campo. Quest'anno attraverso una semplificazione della gamma e la trasparenza dei prezzi. Nel 2012 con una sequenza di nuovi prodotti che pensiamo possano ridare competitività e desiderabilità al marchio".
Allora, cominciamo proprio dal 2011. Quale sarà la gamma da qui alla fine dell'anno?
"Usciranno di produzione Croma, Multipla, Ulysse, Seicento e Punto Classic che nel 2010 valevano complessivamente circa 50 mila unità. Ma questo non ci preoccupa perché potremo focalizzare l'interesse sui modelli esistenti e sul Freemont, il nuovo crossover Fiat in vendita dal prossimo trimestre. Un'auto che ci consentirà di competere anche in un settore, per altro in grande crescita, dove eravamo assenti".
Ma perché abbandonare anche la Multipla? A mettere sei posti in quattro metri siete stati i primi.
"Nel futuro non è escluso un ritorno della Multipla. O almeno a un concetto del genere. Nel 2012 arriverà un modello che al momento si chiama L0 che potrebbe anche rappresentare un'evoluzione molto moderna di quella tipologia di prodotto".
Resta però una fondamentale debolezza della Fiat nel cosiddetto segmento C, quello della Bravo, per intenderci.
"È previsto il lancio della nuova Bravo nel 2013. Nel frattempo però nello stesso segmento, all'interno del gruppo, è arrivata la Giulietta. In questo caso l'accoglienza è stata lusinghiera ed entro quest'anno saranno già 100 mila le unità vendute. Dobbiamo però pensare anche ad uscire da queste divisioni tradizionali dei veicoli. Esistono infatti dei trend globali che trascendono queste caratteristiche. Il downsizing, per esempio, sta cambiando la segmentazione tradizionale. Così come le forme. Basti pensare al successo della Qashqai di Nissan che non appartiene a nessun segmento e che è stata capace di attrarre clienti di ogni genere e con esigenze diverse".
Fra quanto tempo avrete finalmente una gamma completa?
"Sempre per quanto riguarda Fiat già dal prossimo anno potremo competere su molti fronti. Ci sarà la nuova Panda, la monovolume L0 e a seguire, all'inizio del 2013, la nuova Punto, la nuova Bravo e la Citycar".
Torniamo al presente. Uno dei problemi degli automobilisti continua ad essere il prezzo. È possibile che ancora oggi bisogna lottare per un listino trasparente? Quanto costa un modello lo si scopre solo quando si fanno i preventivi dal concessionario. Insomma, sembra davvero un nervo scoperto dell'intero settore.
"Vorrei che Fiat diventasse il campione della trasparenza. Dobbiamo creare un flusso che sia il più lineare possibile fra la comunicazione del prodotto e l'effettivo acquisto. E soprattutto il cliente dovrà avere la chiara percezione del valore di ciò che compra. Sotto questo punto di vista gli incentivi hanno falsato molto il rapporto con il prezzo finale sempre diverso da cliente a cliente".
Giusto. Ma concretamente come vi state muovendo?
"Abbiamo già lanciato l'operazione "Punto Mylife", ovvero la vendita dell'auto con allestimento completo a 9.900 euro. Un prezzo trasparente con nessuna sorpresa finale. La risposta del mercato è stata ottima con il 70 per cento dei concessionari e dei clienti che ha apprezzato moltissimo l'iniziativa. È un'operazione che stiamo per estendere al resto della gamma e agli altri marchi. Già a marzo sarà in vendita la Bravo Mylife e subito dopo la Panda Mylife"
Intanto, però l'auto sembra sempre più lontana dai desideri dei giovani. State pensando a come riportarla al centro degli interessi delle nuove generazioni?
"Oggi l'auto compete con molti altri interessi che prima non esistevano. Così, i desideri delle nuove generazioni vengono soddisfatti diversamente. Il fenomeno dei voli low cost, per esempio, ha cambiato la geografia dando una grande accessibilità a molti luoghi prima irraggiungibili. Detto questo , il rapporto emotivo e l'interesse per l'auto rimangono. I giovani conoscono le macchine e ne parlano. Noi in questa fase dobbiamo essere in grado di sviluppare proposte di mobilità coerenti con le loro esigenze".
Oggi ci sono le minicar che stanno diventando un fenomeno. Che effetto stanno avendo sui giovani?
"Non ritengo siano una soluzione. Sono solo delle "commodities" e non trasmettono emozioni. E poi c'è il problema della mancanza di requisiti di sicurezza, guidabilità, economicità che un'auto deve avere. Per questo bisognerebbe cambiare l'attuale regolamentazione europea sui pesi che oggi rappresenta il vero ostacolo alla sicurezza. Se si trovasse una soluzione più adeguata e senza compromessi alla mobilità dei giovani penso che questi si riavvicinerebbero all'automobile".
(Fonte: www.repubblica.it - 24/1/2011)

mercoledì 26 gennaio 2011

Freemont/Journey, Lancia/Chrysler: storia del “badge engineering”, il gioco dei marchi


Le sinergie tra Lancia e Chrysler, di cui si fa un gran parlare da qualche mese, hanno posto all'attenzione di molti la questione del valore del brand. In questa sede ci asterremo da un'analisi delle scelte strategiche in casa Fiat-Chrysler (se ne dice già troppo), concentrandoci sullo sviluppo di questa particolare tecnica produttivo-commerciale, ricordandone i casi più eclatanti.
LA NASCITA - Tutto iniziò negli U.S.A., patria della catena di montaggio e dell'automobilismo “pragmatico” per eccellenza. In terra americana, negli anni '20 del Novecento, la Nash Motor Company proprose sul mercato la “Light Six”, un modello già prodotto con marchio Ajax, senza variazioni evidenti, se non la sostituzione dei loghi Ajax con il marchio Nash. L'episodio, che pare legato ad un improvviso guizzo di orgoglio di Charles Warren Nash in persona, ha dato il “La” ad una delle più abusate tecniche dell'automobilismo di massa: il "badge engineering". Un'arma a doppio taglio che negli anni ha mietuto vittime illustri che, con il Secondo dopoguerra, con la diversificazione dei mercati ai due lati dell'Atlantico e con la motorizzazione di massa nel Vecchio Continente, fu definitivamente sdoganata in campo internazionale. Prescindendo da casi sporadici, possiamo senza ombra di dubbio definire l'inglese BMC come il primo, grande, gruppo automobilistico ad aver applicato su larga scala i concetti del badge engineering. Seppur ormai lontani negli anni, resta ben impresso nella mente di ogni appassionato la “danza” di marchi con cui era proposto un prodotto di grande serie come la MINI. Al debutto, nel 1959, la piccola utilitaria d'Oltremanica era proposta con i marchi Austin, Morris e successivamente in Italia, Innocenti (rispettivamente con il nome di “Seven” e “Mini Minor”), gemelle, che differenziavano essenzialmente per il grado di finitura. Ma prima della declinazione italiana, già nel 1961, a queste versioni originarie si affiancarono altre due “gemelle” con i marchi Riley e Wolseley. Questa nuova coppia, con un terzo sgradevolissimo volume applicato in coda - ed un frontale più elaborato – venne proposta con i nomi rispettivi di Elf e Hornet. Sulle vicissitudini della BMC (poi British Leyland e, quindi, Rover Group), e sull'uso esteso e spregiudicato che questa fece del badge engineering, ci siamo soffermati più volte. L'intera gamma del colosso inglese, fino agli anni Ottanta, si basava su pochi modelli declinati svariate volte in marchi differenti, situazione che è perdurata anche dopo la prima crisi (in cui, tra le altre, si videro delle Innocenti IM3 e Regent, tutti cloni italiani di modelli del Gruppo) e quindi durante la gestione Honda. Di questo periodo si ricordano le Triumph Acclaim e le Rover serie 200 e 400, che nei vari step evolutivi erano identificabili come gemelle delle Honda Accord, Concerto e Civic, con poche differenze identificabili essenzialmente nelle finiture e in pochi altri particolari, oppure – in senso inverso – la declinazione Honda della Land Rover Discovery 1, che i giapponesi conobbero come Honda Crossroad.
LA REALTA' AMERICANA - Intanto sull'altra sponda dell'Atlantico il badge engineering era diventato la norma. La causa scatenante fu la crisi che disorientò i costruttori americani negli anni Settanta, impreparati davanti all'invasione orientale e, soprattutto, obbligati a correre ai ripari inventandosi il segmento delle “compact” e delle “sub-compact”. Impacciata nella realizzazione di automobili compatte, Detroit si rivolse direttamente all'Europa, usufruendo delle proprie controllate nel Vecchio Continente. Esemplare, al riguardo, l'esperienza GM che importò sul suolo americano dapprima le vetture della tedesca Opel (GT 1900 e Kadett Coupè in primis), salvo poi effettuare vari e curiosi rebadge, di cui fu protagonista la stessa Kadett, nelle sue evoluzioni distribuita come Chevrolet Chevette, Pontiac 1000, Le Mans e Asuna, nonchè – sfruttando la corrente dei marchi giapponese – Isuzu Kadett Opel (commercializzata dalla rete Buick). Quello di GM verso il badge engineering fu un vero e proprio amore, espressosi anche con le sportive Pontiac e Chevrolet per il mercato americano e con il rinnovo delle gamme Vauxhall, per il Regno Unito, Holden , per l'Australia e Chevrolet per Brasile e America Lantina. Negli anni Settanta questi brands proposero nei rispettivi mercati gamme omologabili in gran parte a quella della tedesca Opel, che divenne di fatto il “centro di sperimentazione” per le compatte del colosso di Detroit. Di derivazione Opel erano anche gli ultimi modelli della defunta Saturn, le Cadillac Cimarron (Opel Ascona) e Catera (Opel Omega), derivata Saab è stata la recente erede della vecchia Cimarron, ovvero la BLS. Ancora, negli anni Novanta, la partner coreana Daewoo proponeva una versione aggiornata della Kadett, che da anni produceva per il mercato interno, la Nexia. Proprio Daewoo ha recentemente subito sui principali mercati, la sostituzione del proprio marchio con il brand è diventato Chevrolet. Tra l'altro è singolare come la doppia losanga di Detroit sia anche scesa in campo sull'erede della Lada Niva che nell'Europa dell'Est è nota come Chevrolet Niva. Seppur lontani dall'integrazione Made in GM, anche le holding Ford e Chrysler si dedicarono “con passione” a questa tecnica. Da ricordare in Ford le declinazioni con marchio Mercury dell'intera gamma americana, con i cammeo della Capri, divenuta negli anni Settanta “Mercury Capri” e della più recente Cougar. Sul campo dei SUV la mente torna alla Maverick, semplice rebadge della notissima Nissan Terrano. Tra l'altro, il rapporto tra Ford e le case orientali, si espresse al meglio negli anni Novanta, quando l'integrazione con Mazda fu spinta ai massimi livelli: un'intera famiglia di compatte per il marchio USA e l'insolita Mazda 121 del '96, gemella della Ford Fiesta. Chrysler, la terza tra le Big Three, impantanatasi negli anni Settanta con l'affare Simca (divenuta Chrysler France), cercò di far fruttare queste sinergie realizzando dapprima uno scambio di marchi tra Europa e U.S.A. (le vecchie Simca, divennero Chrysler e/o Plymouth), rinnovando la gamma con un prodotto trasversale come la 1307 – che però non giunse mai nel ricco mercato Nordamericano – e soprattutto con un'autentica world car come la Horizon, commercializzata in mezzo mondo e venduta con i marchi Simca, Chrysler, Dodge e Plymouth (prima di rinascere come modello Peugeot- Talbot). Da non dimenticare, poi, gli accordi tra la Casa di Detroit e DeTomaso, che condussero alla realizzazione di una particolare versione della coupè Dodge Omni (tecnicamente derivata dalla Horizon), con motore da 1.7 litri (di derivazione Volkswagen) e commercializzata con il nome “Dodge De Tomaso” e, soprattutto, che generarono l'insolita “Chrysler's TC by Maserati”, una sorella della LeBaron e prodotta a Lambrate con il curioso logo di un Tridente inserito nel Pentagono della Casa americana.
NEL VECCHIO CONTINENTE - Con Chrysler e De Tomaso torniamo ad affacciarci al mercato europeo, dove la British Leyland, seppur la più nota nel campo, era comunque in buona compagnia. Non si può sorvolare sui primi trent'anni di vita della Seat, che sotto il controllo Fiat aveva una gamma notoriamente “clone” rispetto a quella torinese. Fiat che, tra l'altro, si era già espressa negli anni Trenta e Quaranta, in un'analoga operazione con la francese Simca, a cui seguirono la tedesca NSU e la Steyr-Puch, nonché la polacca FSO, la russa Lada e la yugoslava Zastava. Se Lada regalò una vita lunghissima alla Fiat 124, la piccola casa austriaca Steyr Puch, invece, si dedicò al rebadge della Nuova 500, che presentava, rispetto all'omologa Fiat, finiture migliori e motorizzazioni più prestazionali. Nel novero di chi, con accordi di collaborazione a vario titolo realizzò rebadge di modelli Fiat c'è il gruppo PSA, con cui Fiat vanta decenni di collaborazioni nel campo dei veicoli commerciali (gestiti dalla società Sevel) e da cui la Casa torinese ha attinto due generazioni di monovolume, nate in PSA e ribattezzate sotto l'egida Fiat/Lancia. La Renault, invece, produsse – per forniture militari – la TRM500, un gemella della Nuova Campagnola e, in operazioni analoghe si cimentarono la Citroen (clonando la Volkswagen ILTIS) e la Peugeot che, con la sua P4 produsse una versione francese della Mercedes G, già nota in Austria con marchio Steyr-Puch. La Germania vide anche la nascita di uno dei suoi modelli di punta, la Volkswagen Polo, da un rebadge “in famiglia”. La prima generazione della Polo, infatti, derivò da un riposizionamento della piccola Audi 50. Mentre l'utilitaria dei Quattro Anelli non ebbe praticamente eredi (fino ad oggi), la Polo ha generato una lunghissima progenie di modelli attraverso quasi quattro decenni.
BADGE ENGINEERING: UNA NECESSITA' - E con il gruppo VAG chiudiamo la nostra panoramica. Quelli elencati sono frutto di una semplice selezione in un universo di episodi interessanti che riguardano l'argomento. La lettura ci da la misura di quanto il badge engineering sia una tecnica antica, rodata e, soprattutto, necessaria. L'automobile è un prodotto industriale di indubbia complessità, per il quale il contenimento dei costi rimane un punto cardine. Tuttavia qualche dubbio sull'efficacia di questa tecnica rimane, rimane essenzialmente in termini di immagine. Se non altro perchè, ad un indagine sommaria, non si può sorvolare sul un concetto fondamentale, ovvero che il badge engineering è un processo complesso e pericoloso. Ha regalato indubbi vantaggi all'industria, per esempio nel settore dei veicoli commerciali e industriali, in cui le caratteristiche tecniche acquisiscono importanza primaria rispetto ad altro, ma allo stesso modo ha mietuto vittime spesso anche illustri e di notevole peso: l'industria automobilistica americana “tradizionale”, caduta negli ultimi due anni sotto il suo stesso peso, ne è il grave esempio. Tuttavia sembra che l'industria riesca sempre meno a prescindere da questa soluzione, soprattutto in un mercato come quello attuale, costantemente stressato dalla concorrenza, dalle normative di omologazione e dai giochi mediatici e che, soprattutto, vede nelle zone più ricche del Pianeta trend sempre più orientati intorno allo zero.
(Fonte: www.omniauto.it - 22/1/2011)

martedì 25 gennaio 2011

Ecco la Fiat Freemont: primo, storico frutto dell'alleanza Fiat-Chrysler


Eccola: svelata la Fiat Freemont, una delle novità più importanti dell'anno e, probabilmente, dell'ultimo decennio. La macchina in se non conta quasi, quello che fa la storia e che qui importa è che questa macchina - a proposito sarà commercializzata nella seconda metà del 2011 - è una Fiat che nasce da una costola del Dodge Journey ed è soprattutto il primo veicolo Fiat frutto della partnership con Chrysler Group. Una tappa storica, quindi, che dà letteralmente fuoco alle polveri della pioggia di novità che il Gruppo Fiat presenterà entro tre anni con un intreccio di pianali, fabbriche e motori mai visto prima. E basta guardare questo Freemont (prodotto nello stabilimento messicano di Toluca, lo stesso dove nasce la 500 per il mercato americano) per capire il discorso: la macchina - e non c'è bisogno di essere esperti per capirlo - è una Dodge ma la meccanica è tutta Fiat: il motore è infatti il 2.0 Multijet da 140 CV o 170 CV) abbinati a un cambio manuale. Per ora l'unica versione disponibile è questa, con trazione anteriore, poi arriveranno anche le versioni 4x4 con le motorizzazioni 3.6 benzina V6 da 276 CV, questo della famiglia "Pentastar" del Gruppo Chrysler. Non solo, Fiat ha stravolto l'assetto della macchina, rivoluzionando sospensioni e sterzo, ora più preciso e diretto, mentre si è fatto anche un grande lavoro per insonorizzare l'abitacolo. Certo, si potrà discutere a lungo sull'eccessiva somiglianza fra la Freemont e la Journey ma d'altra parte nessuno si è mai scandalizzato in passato per il fatto che Fiat Ulysse, Peugeot 807, Citroen C8 e Lancia Phedra fossero la stessa macchina. Largo quindi a questo singolare Crossover che fra l'altro si sposa perfettamente con l'immagine di auto pratica, comoda e simpatica di una Fiat: è lungo 489 cm, ha una larghezza di 188 cm e grazie al passo migliore della sua categoria (289 cm) regala uno spazio record, che si traduce in 7 posti standard con una vera terza fila di sedili spaziosi, facilmente accessibili grazie all'apertura a 90° delle portiere. Con un semplice movimento i sedili della terza fila possono essere abbattuti scomparendo completamente sotto il pavimento e creando un vano di carico regolare. Non mancano poi i "child booster" (solo sulla seconda fila), il geniale sistema che grazie a cuscini di rialzo, consente la corretta seduta dei bambini, un bagagliaio che arriva fino a 1.461 litri. In ogni caso, se il design fra Journey e Freemont è identico, l'abitacolo è diversissimo: sul crossover Fiat la plancia è avvolgente con elementi cromati, la strumentazione è tutta nuova, consì come la console centrale e l'uso di materiali soft touch. Dalla filosofia Dodge arriva in compenso un allestimento ricchissimo che prevede già sull'allestimento base i 7 posti, il climatizzatore automatico a tre zone, sistema keyless entry, cruise control, trip computer avanzato, sistema di monitoraggio della pressione pneumatici (TMPS), fendinebbia e radio touch screen con schermo a colori e comandi al volante. Il tutto con un listino che andrà da circa 25 mila euro in su. Insomma, una bella macchina da famiglia formato convenienza, che arriva pure al momento giusto visto che la mai capita Croma va in pensione proprio nello stesso periodo in cui debutta il Freemont.
(Fonte: www.repubblica.it - 24/1/2011)

lunedì 24 gennaio 2011

Prime immagini della Ferrari FF: trazione integrale e... portellone


L'erede della 612 Scaglietti si chiama Ferrari FF ed è tutta un'altra macchina. A Maranello hanno scelto di cambiare formula: la nuova gran turismo quattro posti è una shooting brake a trazione integrale. Una Ferrari come mai s'era vista prima. O quasi, considerando le one off (Panther Westwinds su base Daytona) e gli esercizi di stile del passato (330 GT di Vignale).
Fastback - La linea, molto elegante e raffinata, è frutto della sinergia tra Pininfarina e il Centro stile Ferrari diretto da Flavio Manzoni (ex Volkswagen). Al di là della linea e, soprattutto, della presenza del portellone e di un bagagliaio degno di questo nome - si parla di una capacità di carico da 440 a 800 litri - a fare notizia è il debutto della trazione integrale 4RM (quattro ruote motrici) su una Ferrari.
F come four - Il sistema di trazione integrale permanente è stato sviluppato dalla stessa Ferrari e, a detta del Costruttore, ridurrebbe del 50% il peso rispetto a uno schema tradizionale, permettendo nel contempo una distribuzione delle masse ottimale per una vettura sportiva, con il 53% sul retrotreno. Un computer si occupa di gestire la distribuzione della coppia motrice istantaneamente su ciascuna ruota, secondo le condizioni del fondo e dello stile di guida.
Assetto attivo - La Ferrari FF, inoltre, è equipaggiata con le sospensioni a smorzamento magnetoreologico Scm3 (un fluido all'interno degli ammortizzatori varia istantaneamente la propria densità in funzione del campo magnetico che viene applicato) e con l'impianto freni Brembo CCM2 con dischi carboceramici.
Oltre 100 CV/litro - Sotto il cofano c'è un nuovo V12 da 6.262 cm3 di cilindrata a iniezione diretta da 660 cavalli a 8.000 giri al minuto, abbinato al cambio F1 a doppia frizione montato al retrotreno, secondo lo schema Transaxle. Secondo i primi dati dichiarati dalla Ferrari, la FF avrebbe un rapporto peso potenza di 2,7 kg per cavallo e sullo "zero-cento" fermerebbe i cronometri dopo appena 3,7 secondi. La velocità massima è di 335 km/h. Di seguito, la scheda tecnica con i primi dati resi noti dalla Ferrari.
Motore - V12 (65°); 6.262 cm3; potenza massima 660 CV a 8.000 giri/min; coppia massima 683 Nm a 6.000 giri/min. Dimensioni e peso: peso a secco 1.790 kg; distribuzione della massa 47% ant., 53% post.; rapporto peso/potenza 2,7 kg/CV. Prestazioni: velocità massima 335 km/h; 0-100 km/h 3,7 secondi. Consumi ed Emissioni (Combinato ECE): consumo medio 15,4 l/100 km, emissioni CO2 360 gr/km.
Presentazione - Il debutto ufficiale della nuova Ferrari FF è previsto al Salone di Ginevra, in calendario dal 3 al 13 marzo prossimo.
(Fonte: www.quattroruote.it - 21/1/2011)

domenica 23 gennaio 2011

AutoNews: Chrysler 300 e Lancia Thema avranno anche una versione ibrida


La futura gamma Thema della Lancia avrà anche una versione ibrida, sulla falsariga di quanto avverrà in America con la "sorella" Chrysler 300. Lo anticipa Automotive News Europe, secondo le cui fonti entrambe le varianti dovrebbero esordire nel 2013. Il sistema ibrido potrebbe condividere i componenti e il software con un analogo progetto che Maserati sta portando avanti per la futura generazione della Quattroporte, attesa in Europa nel 2012. L'ammiraglia Lancia sarà presentata in anteprima al Salone di Ginevra di marzo con specifiche ovviamente ideali per le esigenze dei mercati europei. A cavallo tra la fine del 2011 e l'inizio del 2012 la Thema sarà disponibile con motorizzazioni a benzina e a gasolio abbinate anche ad una trasmissione automatica ad otto rapporti targata ZF. Sia la Thema che la 300 saranno prodotte nello stabilimento canadese Chrysler di Brampton. La rassegna ginevrina di marzo rappresenterà una pietra miliare per la nuova era Lancia, marchio che l'Amministratore Delegato di Fiat S.p.A., Sergio Marchionne, vorrebbe portare a 300 mila unità vendute nel 2014, praticamente il triplo rispetto ai volumi attuali. Oltre alla nuova Thema, il brand esporrà infatti la versione europea della Chrysler 200 (quasi sicuramente ribattezzata Flavia) e la variante cinque porte della Ypsilon (Marchionne ha detto ieri che la gamma potrebbe toccare i 100 mila esemplari l'anno). La nuova Thema è chiamata a rinverdire i fasti della prima serie assemblata tra il 1984 e il 1994 in 358 mila unità. L'erede K non ebbe altrettanta fortuna e si fermò a 117 mila esemplari tra il 1994 e il 2001. Peggio ancora fece la Thesis, in produzione fino al 2009 con soli 16 mila veicoli.
(Fonte: www.autonews.com - 18/1/2011)

sabato 22 gennaio 2011

Marchionne: anche il SUV Maserati sarà equipaggiato con motori di origine Ferrari


Dopo la conferma dei mesi scorsi che la Maserati sta sviluppando un SUV derivato dal pianale della Jeep Grand Cherokee, Sergio Marchionne ha riacceso l'interesse su questo modello che verrà assemblato nello stabilimento Chrysler di Detroit. L'amministratore delegato del gruppo Fiat e Chrysler, a margine del Salone di Detroit, ha annunciato che il SUV della Maserati sarà dotato di un motore derivato dalla Ferrari, come già avviene per gli altri modelli della Maserati. L'unità più indicata dovrebbe essere il 4.3 V8 a iniezione diretta di benzina della California, rivisto nell'erogazione per offrire una “manciata” di cavalli in meno, ma con una più corposa erogazione della coppia lungo tutto l'arco di giri. Un motore che dovrebbe essere abbinato al cambio robotizzato a doppia frizione e sette rapporti e al sistema “Start&Stop”. Inoltre, secondo alcune indiscrezioni, sotto il cofano del SUV Maserati potrebbe trovare posto anche un'unità derivata dal nuovo V12 che la Ferrari sta sviluppando per l'erede della 612 Scaglietti. Al momento non sono emerse informazioni sullo schema di trazione integrale: l'ipotesi più plausibile è l'impiego del sistema a controllo elettronico della nuova Grand Cherokee, opportunamente modificato per un impiego prevalentemente stradale e adattato alle elevate prestazioni dell'auto.
(Fonte: www.alvolante.it - 13/1/2011)

venerdì 21 gennaio 2011

AutoNews: la prima Fiat della nuova joint-venture cinese sarà di origine Dodge


Secondo quanto riporta Automotive News, Sergio Marchionne, amministratore delegato della Fiat, ha annunciato un nuovo “sbarco” in Cina per la metà del 2012, quando sarà avviata la produzione locale con il partner Guangzhou (per vendere in Cina i costruttori di auto devono avere come partner delle aziende locali), della prossima generazione della Dodge Caliber. Questo modello sarà venduto con il marchio torinese e, rispetto all'auto destinata agli U.S.A., avrà un diverso frontale, coda e interni ridisegnati. Sempre secondo quanto riportato dal sito americano, la nuova Dodge Caliber abbandonerà le forme da crossover per diventare una berlina e sarà presentata al Salone di Detroit del 2012 per essere immediatamente in vendita negli U.S.A. . Inoltre, la nuova Dodge Caliber sarà una delle prime auto costruite congiuntamente da Chrysler e Fiat, partendo dal pianale C-Evo della Giulietta che può essere ampiamente modificato: la versione per il mercato americano avrà dimensioni maggiori. La Fiat è presente in Cina dal 1986 con la produzione dei veicoli commerciali Iveco e dal 2001 con i mezzi da lavoro Case New Holland. Nel 1999 ha creato una joint ventures con la Nanjing Auto, poi interrotta nel 2007, e nel 2008 una collaborazione con la Chery Automobile per la produzione della Fiat Linea e la fornitura di motori: entrambe con scarsi successi.
(Fonte: www.autonews.com - 13/1/2011)

giovedì 20 gennaio 2011

mercoledì 19 gennaio 2011

Intervista a Marchionne: "La mia sfida per la nuova Fiat: salari tedeschi e azioni agli operai"


Dottor Marchionne, lei ha vinto il referendum, ma mezza fabbrica le ha votato contro. Eppure era in ballo il lavoro, il posto, il destino di Mirafiori. Si aspettava questo risultato? "Io so che il progetto della Fiat è passato, perché ha convinto la maggioranza. Questo è ciò che conta. Per il resto, chi è stato qui con me fino alle tre e mezza di notte, venerdì, sa che non ho mai dato il risultato per scontato. Anzi, le confido una cosa. Quando me ne sono andato a casa per provare a dormire (poi sono stato sveglio fino alle sei e mezza del mattino) ho lasciato sul tavolo due comunicati. Uno se prevaleva il sì. L'altro se vinceva il no".
E davvero in caso di sconfitta la Fiat sarebbe andata via da Mirafiori?
"Non c'è alcun dubbio. E non certo per una ridicola rivincita. Semplicemente, non avremmo avuto altra scelta".
Ma si possono mettere i lucchetti ad una fabbrica per una sconfitta sindacale, e non per una legge di mercato?
"Ma lei sa quanta legge di mercato ci sarebbe stata dietro quella scelta? Di cosa stiamo parlando? Non è un problema di lucchetti e tantomeno di muscoli. Cosa dovevo fare? Avrei detto venga qui chi vuole, chi è più bravo di me, usi questi spazi per far meglio. Ma io certo non mi sarei seduto a rinegoziare con il sindacato".
E perché no, se magari si intravedeva la strada di un accordo?
"Perché questo contratto c'è già a Pomigliano, e io non posso avere due sistemi diversi per la stessa azienda e lo stesso lavoro".
E adesso che invece ha vinto, non le viene in mente di sedersi a un tavolo e allargare il consenso, recuperando quella metà di fabbrica che non ci sta, come le chiedono in molti?
"Più che altro, io non capisco. Non sono un ingenuo, ma sinceramente non capisco. E' la logica del retrade, del negoziato continuo per il negoziato, non per arrivare a un risultato. Sono allibito. Mi dispiace, ma sabato mattina alle sei le urne hanno detto che il sì ha avuto la maggioranza. Il discorso è chiuso, anche se dentro quella maggioranza molti cercano il pelo nell'uovo".
E' più di un pelo, e lei lo sa bene. Senza gli impiegati il sì sarebbe passato con uno scarto di appena 9 voti. Cosa vuol dire questo?
"Niente. Possiamo esercitarci all'infinito, togliere i lavoratori alti, quelli bassi, quelli coi baffi. Conta il saldo, cioè il risultato, nient'altro".
Ci sono due questioni dentro quel saldo. Tra i 440 impiegati, 300 sono capi, 40 sono della direzione del personale. Tra gli operai, al Montaggio e alla Lastratura, le lavorazioni in linea dove si scaricano gli effetti delle nuove condizioni di lavoro previste dall'accordo, ha vinto il no. Cosa ne pensa?
"Il referendum non l'ho chiamato io (anche se avrei partecipato volentieri, spiegando ai lavoratori le ragioni dell'accordo) né sono io che ho fatto le regole. Per me Mirafiori ha deciso, e io sto al risultato, che è un risultato molto importante".
Lei ha detto che è una svolta e una prova di fiducia. Che fiducia, con un lavoratore su due che dice no?
"Senta, se vuole che le dica la mia valutazione non sul risultato, ma sulla campagna che lo ha preceduto, è presto fatto: la Fiom ha costruito un capolavoro mediatico, mistificando la realtà, ma ci è riuscita. Noi, che siamo presenti in tutto il mondo, con una forza di 245 mila persone, ebbene dal punto di vista culturale siamo stati una ciofeca, la più grande ciofeca, e la colpa è soltanto mia".
Perché?
"Perché ho sottovalutato l'impatto mediatico di questa partita, ho sottovalutato un sindacato che aveva obiettivi politici e non di rappresentanza di un interesse specifico, come invece accade negli U.S.A. . Vede, io sono convinto che le nostre ragioni sono ottime. Ma non sono riuscito a farle diventare ragioni di tutti. Mi sembrava chiaro: io lavoratore posso fare di più se mi impegno di più, guadagnando di più. E invece ha preso spazio la tesi opposta, l'entitlement, e cioè il diritto semplicemente ad avere, senza condividere il rischio. Ma questo va bene per uno statale, non per un'azienda privata che deve lottare sul mercato".
Non crede che invece a spiegare il 46 per cento di no ci sia la convinzione che l'accordo chiede di scambiare il lavoro coi diritti?
"Lei deve pensare che non siamo fessi, e nemmeno arroganti. Il contratto firmato contiene tutte le protezioni costituzionali. Le dico di più: io, Sergio Marchionne, non voglio togliere nulla di ciò che fa parte dei diritti dei lavoratori. Ma guardi che qui si parla d'altro: la Fiom è scesa in guerra non per i diritti, ma per il suo ruolo di minoranza bloccante, perché qui salta l'accordo interconfederale secondo cui chi non ha firmato beneficia delle protezioni del contratto senza mai impegnarsi a rispettarlo".
Si può dire in modo opposto: i lavoratori hanno il diritto di scegliersi i rappresentanti che vogliono, e non solo quelli che hanno firmato l'accordo con l'azienda, per di più nominati dai vertici sindacali e non dalla base. Cosa risponde?
"Lo dica pure così, e io le dico che in qualsiasi sistema legale non puoi beneficiare di un contratto se non sei contraente, se non ti metti in gioco e non ti assumi le tue responsabilità di fronte a quelle della controparte. Insomma, non puoi andare a ufo".
Ma lei cercava la rottura o ha davvero provato a trovare un accordo?
"Perché avrei dovuto volere la rottura? Quel che volevo rompere era questo sistema ingessato, dove tutti sanno che noi imprese italiane siamo fuori dalla competitività, non possiamo farcela, eppure tutti fanno finta di niente. Ho tirato avanti per quasi sette anni, poi una notte ad aprile mi sono detto basta. Io metto sul piatto 20 miliardi, accetto la sfida, ma voglio che quei soldi servano, dunque voglio garantire la Fiat e chi ci lavora. Cambiamo le regole per garantire l'investimento attraverso il lavoro. E' l'unica strada. Non solo: a dire il vero è l'ultima strada".
Poi?
"Poi ho cominciato a parlarne, non con la politica ma con i miei e con il sindacato. Ma ho capito che eravamo sopra una torre di Babele. Io parlavo una lingua, loro un'altra. Tutti facevamo riferimento alla realtà: ma io alla realtà di oggi, così com'è nel mondo globale, la Fiom alla realtà del passato, quella che si è trascinata fin qui impantanandoci fino al collo, come Italia".
Lo sa che lei si è mangiato un patrimonio trasversale di consenso, accumulato negli anni in cui ha salvato la Fiat?
"Non sapevo di averlo, non ne ho visto i benefici, e in questa trattativa non mi sono accorto di avere alcun credito, in Italia. Questo mi spiace, non per me, ma perché evidentemente non sono riuscito a far capire certe cose alla mia gente".
Sta dicendo che ha sbagliato?
"Mi ricordo i primi 60 giorni dopo che ero arrivato qui, nel 2004: giravo tutti gli stabilimenti, e poi quando tornavo a Torino il sabato e la domenica andavo a Mirafiori, senza nessuno, per vedere quel che volevo io, le docce, gli spogliatoi, la mensa, i cessi. Cose obbrobriose, stia a sentirmi. Ho cambiato tutto: come faccio a chiedere un prodotto di qualità agli operai e a farli vivere in uno stabilimento così degradato? In più, la Fiat era tecnicamente fallita, se il fallimento significa non avere i soldi in casa per pagare i debiti. Perdevamo 2 milioni al giorno, non so se mi spiego. E invece sette anni dopo abbiamo ribaltato lo schema, l'animale è vivo, il patto che associa Fiat e lavoratori è vitale e va al di là del contratto in questione. C'era prima di me e oggi sappiamo che ci sarà dopo di me. Anzi tutta questa personalizzazione è fuorviante. Perché se Marchionne fosse il problema, basterebbe poco. Ma tolto Marchionne, il problema resta".
Resta anche l'idea, in molti, che Marchionne non creda molto in Torino: è così?
"Guardi, io non ho mai fatto un investimento di così pessima qualità per l'azienda come quelli di Mirafiori e di Pomigliano. Vuol dire crederci, questo, o che altro?"
Vuol dirmi che l'accordo contestato dalla Fiom non soddisfa nemmeno chi lo ha scritto e firmato?
"Voglio dirle che in qualsiasi parte del mondo mi avessero sottoposto un accordo con queste condizioni io mi sarei alzato e me ne sarei andato. Tra Natale e Capodanno ho inaugurato con il presidente Lula uno stabilimento a Pernabuco nel Nordeste brasiliano: bene, l'accordo è un'ira di Dio per copertura finanziaria, concessione dei terreni, condizioni fiscali, come capita anche in Serbia".
E' come se lei dicesse che da noi manca lo Stato, a creare queste condizioni per l'investimento, no?
"Ma lo Stato ci ha incoraggiati. E che dire del sindacato? Una parte del sindacato è mancata molto di più, perché non ha capito la scommessa, non si è messa in gioco incalzando l'azienda sullo sviluppo, come Solidarnosc che in Polonia, quando ho spostato la Panda a Pomigliano, è venuto a chiedermi il terzo turno".
Il dubbio sull'impegno in Italia riguarda anche la famiglia Agnelli, lo sa?
"Io non ho mai conosciuto l'Avvocato ma mi sono letto per bene la storia della Fiat. E le dico che se c'è un momento in cui la famiglia fa le cose giuste è proprio questo. Hanno varato l'aumento di capitale nel 2003 quando l'azienda era morta, l'hanno salvata con soldi propri, non dello Stato. E oggi stanno cercando di darle un futuro senza mettere i piedi nella gestione politica del Paese, ma restandone ben fuori".
Lei con l'operazione Chrysler li ha liberati dal vincolo centenario con l'automobile italiana, ma anche dal vincolo di responsabilità con il Paese: è così?
"No. Garantiscono la continuità di un capitale intelligente, mettendolo a rischio e affidano la responsabilità di gestione a Pinco Pallino, seguendolo e appoggiandolo. Mi lasci dire che non è un comportamento molto italiano. Tenga conto che hanno trent'anni, un arco temporale molto lungo davanti, sono cresciuti e hanno studiato fuori, come John".
Anche lei è molto poco italiano: nella biografia o nelle scelte?
"Questa è la cosa che mi fa incazzare di più. "Manager canadese", è l'ultima di tutta una serie che arriva a dipingermi addirittura come anti-italiano, pur di minare la mia identità di manager. Io ho il passaporto italiano, esattamente come lei. Rispetto lo Stato, il Paese e soprattutto i lavoratori, perché credo sia giusto".
Ma per lei non si possono negoziare insieme produttività e tutela dei diritti acquisiti?
"Sì, i diritti personali e sociali, ma non le inefficienze".
Quindi lei ha firmato l'accordo per Mirafiori - che altrove non avrebbe firmato - solo perché è italiano?
"Diciamo per la sfida-Italia. E badi che non voglio affatto far politica, sia chiaro, anzi credo che in questa vicenda ci sia stato un sovraccarico ideologico. Ma ecco il ragionamento che ho fatto. Fiat ha un privilegio rispetto ad altre aziende: ha un'alternativa, può produrre qui o in altri Paesi, dove vuole. Ma io sono convinto che se riusciamo a condividere l'obiettivo, possiamo cambiare l'azienda e renderla davvero competitiva. Ci sono strade più corte e più facili fuori dall'Italia. Ma io e John abbiamo deciso di prenderci la sfida, e non accettare il declino. Si può fare, dunque si deve fare".
Se l'accordo è condiviso, lei dice: e quel 50 per cento di no?
"Questo è il mio compito, e comincia adesso. Devo recuperarli, comunque abbiano votato, e portarli dentro il progetto. Ci sono due voti che mi preoccupano: quello di chi ha votato no su informazioni sbagliate e quello di chi ha votato sì per paura. Voglio convincerli, spiegare chi sono. E' impossibile che negli U.S.A. dicano che gli ho salvato la pelle e qui la pelle vogliano farmela".
Non crede che ci sia chi ha votato no semplicemente perché vede una compressione dei diritti legati al lavoro?
"Non abbiamo compresso alcun diritto".
Le pause, la rappresentanza, lo sciopero, la malattia: qui le condizioni cambiano.
"Un conto è parlarne da fuori, politicamente, un conto è parlarne in fabbrica. La rappresentanza, oggi un lavoratore su due a Mirafiori sceglie di non averla non iscrivendosi a nessun sindacato. Cambiano le pause, ma abbiamo fatto un gran lavoro per rendere meno pesante il lavoro in linea, e lo faremo ancora. Il no allo sciopero riguarda solo gli straordinari, è un obbligo contrattuale. Sulla malattia interveniamo solo sui picchi di assenteismo".
A Melfi, la metà dei lavoratori ha "ridotte capacità lavorative" per i lavori in linea: non crede che queste nuove condizioni che lei minimizza pesino?
"Non credo, ma voglio anche dirle che noi facciamo automobili e l'auto nel mondo si fa così. Chi viene in fabbrica lo sa".
Ma ha il diritto di sapere anche se l'investimento che lei promette ha un futuro: cosa risponde, con un'assenza di nuovi modelli e la quota di mercato Fiat che in Europa si riduce del 17 per cento?
"Staccata la spina degli incentivi, il mercato va giù. Lo sapevamo. Aspettiamo che si svuoti il tubo, nella seconda metà del 2011, e vediamo. Per quel momento avremo la nuova Y e la nuova Panda. Sta arrivando tutta la gamma Lancia, rifatta con gli americani, la Giulietta è appena uscita, la Jeep verrà prodotta qui in 280 mila esemplari all'anno, per tutto il mondo. E grazie a Chrysler, l'Alfa arriverà in America, con una rete di 2 mila concessionari, e farà il botto".
Dunque non la vende?
"Fossi matto. E' roba nostra".
E i veicoli industriali?
"Manco di notte. E l'arroganza tedesca, gliela raccomando. Quando volevo comprare Opel, non me l'hanno data perché ero italiano..."
Al lavoratore italiano cosa porta Chrysler?
"La possibilità di fare sistema. Per ottenere i nuovi volumi produttivi, avrei dovuto creare nuovi stabilimenti in America. Invece utilizzo tutte le fabbriche del sistema, porto qui le lavorazioni e metto il know how Fiat a disposizione di Chrysler. Gli impianti girano, i costi si ammortizzano, la gente lavora".
Ma il costo del lavoro che voi riducete con l'accordo pesa solo il 7 per cento sul costo complessivo di un'auto: lei come garantisce che sta lavorando per migliorare anche quel 93 per cento restante?
"Quel 93 per cento che lei cita ha proprio a che fare con il costo di utilizzo di ogni impianto. Fatemelo migliorare e alzerò i salari. Possiamo arrivare al livello della Germania e della Francia. Io sono pronto".
Anche alla partecipazione dei lavoratori agli utili?
"Sì, e le dico che ci arriveremo. Voglio arrivarci. Ma prima di parteciparli, gli utili dobbiamo farli".
Mi pare di capire che dopo Pomigliano e Mirafiori il nuovo contratto investirà anche Melfi e Cassino: è così?
"Non c'è alternativa. Non possiamo vivere in due mondi. Io spero che, visto l'accordo alla prova, non vorranno vivere nel secondo mondo nemmeno gli operai".
Cosa resterà di italiano nelle nuove auto prodotte a Mirafiori?
"Il Centro Stile rimane qui, dunque il design, ma anche i progetti, le piattaforme di origine: la piattaforma della Giulietta è nata qui, è stata riadattata negli U.S.A. e adesso torna qui per fare da base ai Suv Jeep e Alfa. E la motoristica è qui".
E la testa?
"Bisognerà abituarsi al fatto che avremo più teste, a Torino, a Detroit, in Brasile, in Turchia, spero in Cina. E un cuore solo. Così rimarranno vive quelle quattro lettere del marchio Fiat. Vediamole. Fabbrica: produciamo ancora, vogliamo produrre di più. Italiana: siamo qui, e non vendiamo nulla. Automobili: resta il cuore del business. Torino: se ha dei dubbi, apra la mia finestra e guardi fuori".
(Fonte: www.repubblica.it - 18/1/2011)

martedì 18 gennaio 2011

Fiat e GM prossimi soci al 50% in VM Motori?


Mentre tutta l’attenzione dell’opinione pubblica in queste ore è rivolta agli stabilimenti di Mirafiori per lo svolgimento dell’atteso referendum, Sergio Marchionne osserva quel che si produce a Cento, in via Ferrarese. Non si tratta di strabismo, quanto di strategia aziendale. Secondo il Corriere della Sera, la Fiat avrebbe siglato un contratto che le garantirebbe il 50% della VM Motori. Il quotidiano di via Solferino riporta l’indiscrezione che circola negli ambienti finanziari americani. Nulla è ancora stato reso ufficiale, ma l’accordo tra la Fiat e Penske (proprietario della metà delle azioni dell’azienda con stabilimento nella città del Guercino) sarebbe già nero su bianco. Un patto che, come sottolinea il Corriere della Sera, permetterebbe al gruppo italiano di tornare ad essere partner di General Motors, cui appartiene l’altro 50% di VM. L’articolo a firma di Bianca Carretto ripercorre le tappe degli scambi azionari con al centro la società centese che dal 1947 sviluppa propulsori diesel di alta tecnologia. Si parte nel 1995 con l’acquisizione da parte di Detroit Diesel, poi cinque anni più tardi il passaggio a DaimlerChrysler e nel 2003 il passaggio del 50% a Penske. Nel 2007 Daimler ha chiuso ogni rapporto con VM cedendo le altre sue quote a Penske che, a sua volta, vende la metà a General Motors. Attraverso la consociata GM Powertrain Europe, la multinazionale di Detroit ha assunto di fatto il controllo della società centese. “Lo scopo principale di questa acquisizione – scrive il Corriere della Sera – vedeva in primo piano lo studio e la produzione di un propulsore V6 diesel, di 2.9 litri, destinato all’Europa. Il motore oggi è installato sotto il cofano della Grand Cherokee e potrà essere sfornato in circa 440mila unità all’anno”. Quando sarà ufficializzato l’investimento di Torino nei motori diesel italiani della VM, sottolinea il quotidiano, “verranno anche confermate le ricadute positive che l’unione di Fiat e Chrysler ha ottenuto sul sistema produttivo italiano”. Nello stabilimento di via Ferrarese incrociano le dita: l’andamento del mercato ha toccato nel 2009 il punto più basso degli ultimi 20 anni di storia della VM. Oggi impiega circa mille dipendenti, contro i quasi 1.200 del 2007. Nel secondo semestre del 2010 vi è stato un sostanziale arresto della caduta della domanda nel settore dell’automotive, con una lieve ripresa dell’attività produttiva. Il piano di ristrutturazione aziendale, partito nel luglio 2010, si chiuderà soltanto nel giungo 2012: si prevede nel medio termine una serie di interventi proiettati prima al raggiungimento del pareggio e in seguito alla redditività dell’azienda.
(Fonte: www.estense.com - 11/1/2011)

lunedì 17 gennaio 2011

A Cassino Fiat dice addio alla Croma e incrementa la produzione della Giulietta


Prima settimana di lavoro per gli operai della Fiat di Cassino richiamati sulle linee di montaggio una settimana prima del previsto. Un dato positivo che non si verificava da anni e che fa ben sperare per il futuro. Dall’inizio dell’anno, nello stabilimento cassinate si producono solo tre modelli: Giulietta, Bravo e Delta per l’uscita dalla produzione, dopo cinque anni, della Croma. Gli 800 addetti sono stati smistati sulle linee della Giulietta per far salire la scaletta produttiva, da 370 vetture a turno a 460. La Giulietta ha superato nel 2010 quota 50 mila ordini e nel 2011 si punta al raddoppio. Dopo l’Epifania, da oggi si è tornati a lavorare a pieno ritmo. Intanto la direzione ha prorogato al prossimo 30 aprile la scadenza per presentare le domande di pensionamento anticipato. Nella primavera scorsa la Fiat aveva calcolato 500 esuberi dando la possibilità ai lavoratori vicini al pensionamento di lasciare il lavoro in anticipo con un congruo incentivo. Alla quota di 500 unità ne mancano ancora un centinaio e perciò la proroga. Alla mobilità volontaria, secondo la Fiom, sta facendo riscontro anche quella forzata. Infatti ad una trentina di dipendenti sarebbero arrivate delle comunicazioni di mobilità forzata. Si tratta di persone vicine al pensionamento alle quali verrà prospettata in tempi brevi la nuova posizione. La Fiom si è dichiarata molto critica sul provvedimento. Intanto c’è attesa per il nuovo piano industriale che a febbraio l’ad Sergio Marchionne presenterà per la fabbrica cassinate. Si attendono almeno quattro nuovi modelli. Tra questi potrebbe starci una nuova vettura dell’Alfa Romeo, la nuova Giulia che andrebbe ad affiancarsi alla Giulietta. E poi entro il 2014 un nuovo modello Lancia ed uno Chrysler. Su tutto, comunque, pesa l’incognita dell’unità sindacale sulla trattativa che Marchionne avvierà per il sito di Cassino. Fim-Cisl e Uilm auspicano un accordo unitario con la Fiom nell’interesse dei lavoratori.
(Fonte: www.ilpuntoamezzogiorno.it - 10/1/2011)

domenica 16 gennaio 2011

Dopo il sì al referendum, ecco come funzionerà la newco di Mirafiori


Per Mirafiori ora comincia il restyling. Già nelle prossime settimane cominceranno i lavori per trasformare le linee di produzione dello stabilimento più vecchio (e simbolico) della casa automobilistica torinese. Obiettivo: trasformarlo per il 2012 nell'avamposto europeo del gruppo Chrysler-Fiat. Dalle nuove linee dovranno uscire 250-280 mila Suv a marchio Chrysler-Alfa per il mercato mondiale. Numeri che se confermati vedranno triplicare l'attuale produzione dello stabilimento di corso Agnelli. Ma cambieranno anche le regole all'interno della newco che vedrà presenti solo i sindacati che hanno firmato l'accordo dell'antivigilia di Natale: Fim, Fismic e Uilm. Si potrà arrivare a 17 turni di lavoro (dunque sabato compreso), con 120 ore di straordinario autorizzate senza alcuna contrattazione sindacale. Si ridurranno anche le pause durante le otto ore di lavoro. Dieci minuti in meno. In busta paga i dipendenti troveranno un piccolo aumento con la promessa di Marchionne di adeguare progressivamente i salari di Mirafiori a quelli degli altri stabilimenti europei. Il sì alla newco di Torino è arrivato tra l'altro in uno dei peggiori giorni della storia della Fiat: ieri i dati del mercato europeo hanno rappresentato una nuova debacle per il gruppo e per la prima volta tra i primi dieci marchi più venduti in Europa non c'è un modello di Fiat, Alfa o Lancia.
(Fonte: www.repubblica.it - 15/1/2011)

sabato 15 gennaio 2011

Mirafiori dice sì a Marchionne: l'accordo promosso col 54% dei voti


Il sì prevale di misura a Mirafiori. Al termine di una lunghissima notte di scrutinio (i seggi si son chiusi alle 19.30, i risultati finali si sono avuti dopo le 6 del mattino), i voti favorevoli all'accordo separato del 23 dicembre sono stati il 54%, quelli contrari il 46%. Altissima l'adesione al referendum, che ha superato il 94,6% (circa 5.139 persone) degli aventi diritto. Il segretario generale della Uil, Luigi Angeletti: "Hanno vinto le ragioni del lavoro". Tensione prima della fine dello spoglio delle schede. Quando si è avuta la certezza matematica della vittoria del sì, un esponente della Fismic ha esultato, e ne è nato un violento diverbio con alcuni rappresentanti della Fiom; uno di questi è stato colto da un malore ed è stato necessario l'intervento di un ambulanza. Un episodio che ha ulteriormente rallentato il conteggio definitivo dei voti. Il risultato è decisamente al di sotto di quello di Pomigliano, dove quest'estate i sì avevano ottenuto il 63% e i no si erano fermati al 36%. Decisivo, per la vittoria del sì a Mirafiori, l'apporto degli impiegati, che hanno votato in massa a favore dell'accordo voluto da Marchionne: su 441 voti espressi, solo 20 tra i colletti bianchi hanno respinto l'intesa, mentre 421 l'hanno approvata. Il peso degli impiegati alla fine è stato risolutivo per far pendere la bilancia a favore del sì, anche se il voto favorevole è prevalso di un soffio, solo 9 schede su oltre 4mila 500 anche tra le tute blu. Nelle aree operaie dove maggiore sarà l'effetto della rivoluzione di Marchionne, infatti, i sì e i no sono praticamente arrivati pari. Al montaggio e in lastratura la riduzione delle pause, e la nuova turnistica che potrebbe anche arrivare a prevedere dieci ore di lavoro consecutivo, sono stati bocciati dalle tute blu: al montaggio con oltre il 53% di no, mentre in lastratura la percentuale di coloro che hanno respinto l'accordo è stata leggermente inferiore. A sostegno del sì invece, oltre agli impiegati, il voto della verniciatura e di coloro che svolgono in modo continuativo il turno di notte, quello che viene considerato un privilegio concesso dall'azienda per l'aumento in busta paga determinato dalle indennità per l'orario di lavoro particolarmente disagiato. "Come per tutti i veri cambiamenti la decisione è stata sofferta. Alla fine hanno vinto le ragioni del lavoro - ha commentato il segretario generale della Uil, Luigi Angeletti - il sì all'accordo ci fa vedere con più ottimismo il futuro di Mirafiori e dell'industria automobilistica nel nostro Paese". E il leader della Uilm, Rocco Palombella: "Anche i lavoratori, che hanno ritenuto di comportarsi in modo opposto, da oggi come gli altri saranno tutelati nel loro lavoro in fabbrica e in quella che sarà la loro prossima azione sindacale". Il segretario nazionale della Fiom responsabile del settore auto, Giorgio Airaudo, ha precisato che "bisogna apprezzare il grande coraggio e l'onesta di una grandissima parte dei lavoratori di Mirafiori che hanno detto di no all'accordo. Come gli operai delle linee di montaggio. Di fatto sono stati decisivi gli impiegati che a Mirafiori sono in gran parte capi e struttura gerarchica". Con la vittoria del sì "nasce lo stabilimento del futuro": questo il primo commento del segretario nazionale della Fim Cisl, Bruno Vitali, che aggiunge: "Ora festeggia Torino, sbaglia chi pensa che Marchionne va a festeggiare a Detroit. E' il primo referendum che vinciamo a Mirafiori da quindici anni, ma è il più importante".
(Fonte: www.repubblica.it - 15/1/2011)

venerdì 14 gennaio 2011

NYT e WSJ: Chrysler risorge con Fiat, i necrologi erano prematuri


Chrysler risorge. Contro ogni pronostico delle case automobilistiche rivali, «la più travagliata e la più piccola» delle Big Three si sta tirando su. «I necrologi erano prematuri», scrive il New York Times, ricordando che un anno fa si scommetteva su quanto sarebbe ancora durata. Invece, Chrysler sta guadagnando terreno grazie a un’offensiva di modelli nuovi, «in gran parte prodotti in collaborazione con Fiat». E il gruppo torinese aumenta automaticamente la sua quota in Chrysler dal 20% al 25%, avendo raggiunto il primo traguardo previsto dall’accordo di partnership benedetto dal governo U.S.A. . L’exploit di Sergio Marchionne, Ceo di Chrysler e Fiat, è sotto i riflettori dell’Auto Show di Detroit e della stampa americana. «Non mi hanno ancora chiesto "Sarà qui l’anno prossimo"? », scherza Marchionne. Dopo avere stabilizzato le vendite l’anno scorso, nota il Nyt, Chrysler è nel mezzo di «un blitz di prodotti” che secondo i dirigenti dell’azienda e gli analisti industriali dovrebbe aiutarla a rimborsare i prestiti governativi e a riemergere quest’anno come società quotata. Il Nyt sottolinea che finora la strada è stata difficile per Chrysler, che ha tardato a riprendersi rispetto a General Motors e Ford, ma l’aggiunta di modelli nuovi e rinnovati ha contribuito a fare aumentare le vendite di Chrysler negli Stati Uniti del 16% nel 2010. “Ora, per la prima volta da parecchi anni, l’azienda appare in posizione per guadagnare quote di mercato”. A Detroit, Chrysler ha svelato la nuova versione della sua berlina “ammiraglia”, la Chrysler 300. I nuovi sviluppi della partnership con Fiat hanno un titolo a parte sul Nyt: «La quota di Fiat in Chrysler sale al 25%», dopo che la casa italiana ha raggiunto uno dei tre traguardi fissati nell’accordo. Fiat ha ottenuto “automaticamente “ il 5% in più dopo che Chrysler ha avuto dal governo U.S.A. il via libera per cominciare a produrre un motore a quattro cilindri per la nuova Fiat 500, a bassi consumi. Fiat potrà salire al 35% fabbricando un veicolo Chrysler basato sulla tecnologia Fiat capace di fare almeno 40 miglia per gallone e vendendo modelli Chrysler attraverso la rete internazionale Fiat di dealer. Il produttore italiano potrà ottenere la maggioranza acquistando ulteriori partecipazioni dopo avere rimborsato i prestiti governativi. «Marchionne - ricorda il Nyt - ha detto la scorsa settimana che spera di ripagare i prestiti e arrivare al 51% nel corso del 2011, prima di un’Ipo nella seconda metà dell’anno». Il manager lunedì ha rassicurato i contribuenti che riavranno i soldi investiti in Chrysler. E ha precisato che Chrysler sarebbe stata in utile nel 2010 se non fosse stato per il pagamento degli interessi. Intanto «Ford progetta di assumere più di 7mila lavoratori», titola ancora il New York Times da Detroit. Nei prossimi due anni, la casa automobilistica conta di reclutare 4.000 lavoratori a ore e 750 salariati quest’anno e altri 2.500 lavoratori a ore nel 2012. Le assunzioni riflettono l’ottimismo delle previsioni per i prossimi anni per il settore automobilistico, dopo un triste 2009 e un 2010 di “modesto miglioramento”. I nuovi posti aumenterebbero del 15% la forza lavoro di Ford, “una piccola frazione dei posti eliminati negli ultimi anni”. Ford occupa circa 42mila lavoratori negli impianti U.S.A., contro i 103mila di una decina d’anni fa. Le vendite di Ford sono salite del 15% nel 2010 e la sua quota di mercato è aumentata per il secondo anno consecutivo. Con le nuove assunzioni, Ford avrebbe lo stesso numero di lavoratori a ore negli U.S.A. che General Motors, che pure ha fatto drastici tagli e ora ha 53mila lavoratori. Ford e General Motors hanno detto la scorsa settimana che si aspettano quest’anno un aumento complessivo delle vendite nel settore i 13,5 milioni di veicoli.
Anche il Wall Street Journal mette in risalto il ritorno in forze di Chrysler. «Solo un anno fa, Marchionne passava innumerevoli ore a difendere il suo piano, che alcuni osservatori consideravano improbabilmente ambizioso... ». Ora a Detroit è in mostra una Chrysler «molto più sicura di sé». «Il rimbalzo di Chrysler – anche se ancora esitante – è una svolta significativa», osserva il Wsj, che ricorda come due anni fa, Chrysler e General Motors siano rimaste in piedi solo grazie ai salvataggi del governo. «Oggi i produttori U.S.A. stanno inscenando un rilancio sensazionale». La ripresa di Detroit, tuttavia, «non sarà completa finché Chrysler non svolterà» e, secondo il Wsj, Chrysler ha ancora parecchia strada da fare. L’azienda fa soldi in termini operativi, ma per il 2010 registrerà una perdita netta. Un problema, nota il Wsj, è rappresentato dal ribasso delle vendite ai consumatori. L’aumento delle vendite di Chrysler l’anno scorso, infatti, è stato in gran parte trainato dalle vendite a clienti come le agenzie di autonoleggio, in genere meno redditizie rispetto alle vendite a singoli consumatori. «Quest’anno sarà cruciale».
(Fonte: www.ilsole24ore.com - 11/1/2011)

giovedì 13 gennaio 2011

Analogie e differenze tra i sindacati dell'auto in Italia e U.S.A.


Il matrimonio tra la Fiat e la Chrysler porta una rivoluzione anche nei rapporti sindacali: le organizzazioni italiane dovranno parlare sempre di più coi colleghi di Oltreoceano e avviare una salda collaborazione con la Uaw, la confederazione statunitense dei lavoratori dell'auto. Ma cosa unisce e cosa divide le nostre Fim, Fiom e Uilm dalle unions americane? "Generalmente, i sindacati negli Stati Uniti hanno un ruolo molto limitato nel determinare le scelte strategiche delle imprese. Hanno un ruolo importante, invece almeno, in quei (pochi) settori dove i sindacati ancora sono presenti, come ad esempio il settore dell'auto, soprattutto a livello operativo cioè per la determinazione delle condizioni di lavoro, salari, benefici che sono stabiliti da accordi contrattuali". Così Mario Macis, giovane docente di Economia delle Risorse Umane alla Johns Hopkins University a Baltimora e Washington (è Assistant Professor di Economics ), descrive il sindacato americano da Denver, dove si trova per lavoro. "La differenza più importante rispetto al caso italiano, e che salta agli occhi a chiunque osservi le ultime vicende di casa Fiat - aggiunge Macis - è che negli U.S.A. le regole per la rappresentanza sindacale in azienda sono molto chiare e generalmente condivise e rispettate. Il risultato è che mentre la Fiat deve negoziare con molte sigle sindacali (per di più spesso in disaccordo fra di loro), le compagnie automobilistiche americane hanno di fronte un singolo interlocutore, la Uaw". E "avere di fronte un interlocutore chiaro e legittimato ha dei vantaggi - sottolinea Macis, in America da diversi anni, dopo la laurea alla Bocconi - sia in fase di contrattazione, sia nella fase successiva di implementazione degli accordi, che richiede la collaborazione e cooperazione continua dei lavoratori". "Infatti, la Uaw - prosegue Macis - non solo ha il diritto di rappresentare gli interessi dei lavoratori, ma ha il dovere di garantire all'azienda il rispetto degli impegni presi. Ciò avviene perché negli Stati Uniti, quando un sindacato vince le elezioni in uno stabilimento, acquisisce essenzialmente il monopolio della rappresentanza fino alle elezioni successive, e questa regola di base è compresa e accettata da tutti". Una prassi certamente non diffusa nel nostro territorio nazionale." Al contrario, laddove le regole della rappresentanza non esistono o non sono condivise, come è il caso dell'Italia - spiega Macis - si verificano casi come quello di Mirafiori, in cui regna l'incertezza e in cui sono a rischio investimenti importanti e il lavoro e le vite di migliaia di persone". Ma ci sono anche pesanti conseguenze indirette." Quanti sono infatti gli imprenditori, italiani e stranieri - chiede il professore - che rinunciano ad investire in Italia per paura di finire in un pantano simile? Quando non è chiaro chi sia legittimato a rappresentare i lavoratori nei negoziati, quando una minoranza di lavoratori può scioperare anche dopo che un accordo è stato siglato, mettendo a repentaglio gli investimenti fatti - conclude Macis - non ci si deve stupire se gli imprenditori preferiscono produrre altrove" .
(Fonte: www.adnkronos.com - 10/1/2010)

mercoledì 12 gennaio 2011

Lettera di 46 economisti sul conflitto Fiat-Fiom: occorre produrre e lavorare meglio (con democrazia)


Il conflitto Fiat-Fiom scoppiato a fine 2010 sul progetto per lo stabilimento di Mirafiori a Torino – che segue l'analoga vicenda per lo stabilimento di Pomigliano d'Arco – è importante per il futuro economico e sociale del paese. Giornali e tv presentano la versione Fiat, sostenuta anche dal governo, per cui con la crescente competizione internazionale nel mercato dell'auto i lavoratori devono accettare condizioni di lavoro peggiori, la perdita di alcuni diritti, fino all'impossibilità di scegliere in modo democratico i propri rappresentanti sindacali. Vediamo i fatti. Nel 2009 la Fiat ha prodotto 650 mila auto in Italia, appena un terzo di quelle realizzate nel 1990, mentre le quantità prodotte nei maggiori paesi europei sono cresciute o rimaste stabili. La Fiat spende per investimenti produttivi e per ricerca e sviluppo quote di fatturato significativamente inferiori a quelle dei suoi principali concorrenti europei, ed è poco attiva nel campo delle fonti di propulsione a basso impatto ambientale. A differenza di quanto avvenuto tra il 2004 e il 2008 - quando l'azienda si è ripresa da una crisi che sembrava fatale – negli ultimi anni la Fiat non ha introdotto nuovi modelli. Il risultato è stata una quota di mercato che in Europa è scesa al 6,7%, la caduta più alta registrata nel continente nel corso del 2010. Al tempo stesso, tuttavia, nel terzo trimestre del 2010 la Fiat guida la classifica di redditività per gli azionisti, con un ritorno sul capitale del 33%. La recente divisione tra Fiat Auto e Fiat Industrial e l'interesse ad acquisire una quota di maggioranza nella Chrysler segnalano che le priorità della Fiat sono sempre più orientate verso la dimensione finanziaria, a cui potrebbe essere sacrificata in futuro la produzione di auto in Italia e la stessa proprietà degli stabilimenti. A dispetto della retorica dell'impresa capace di "stare sul mercato sulle proprie gambe", va ricordato che la Fiat ha perseguito questa strategia ottenendo a vario titolo, tra la fine degli anni ottanta e i primi anni duemila, contributi pubblici dal governo italiano stimati nell'ordine di 500 milioni di euro l'anno. A fare le spese di questa gestione aziendale sono stati soprattutto i lavoratori. Negli ultimi dieci anni l'occupazione Fiat nel settore auto a livello mondiale è scesa da 74 mila a 54 mila addetti, e di questi appena 22 mila lavorano nelle fabbriche italiane. Le qualifiche dei lavoratori Fiat sono in genere inferiori a quelle dei concorrenti, i salari medi sono tra i più bassi d'Europa e la distanza dalle remunerazioni degli alti dirigenti non è mai stata così alta: Sergio Marchionne guadagna oltre 250 volte il salario di un operaio. Questi dati devono essere al centro della discussione sul futuro della Fiat. L'accordo concluso dalla Fiat con Fim, Uilm e Fismic per Mirafiori – che la Fiom ha rifiutato di firmare – prevede un vago piano industriale, poco credibile sui livelli produttivi, tanto da rendere improbabile ora ogni valutazione sulla produttività. L'accordo appare inadeguato a rilanciare e qualificare la produzione, e scarica i costi sul peggioramento delle condizioni dei lavoratori. Sul piano delle relazioni industriali i contenuti dell'accordo sono particolarmente gravi: l'accordo si presenta come sostitutivo del contratto nazionale di lavoro, e cancellerebbe la Fiom dalla presenza nell'azienda e dal suo ruolo di rappresentanza dei lavoratori che vi hanno liberamente aderito. Il referendum del 13-14 gennaio tra i dipendenti sull'accordo, con la minaccia Fiat di cancellare l'investimento nel caso sia respinto, pone i lavoratori di fronte a una scelta impossibile tra diritti e lavoro. In questa prospettiva, la strategia Fiat appare come la gestione di un ridimensionamento produttivo in Italia, scaricando costi e rischi sui lavoratori e imponendo un modello di relazioni industriali ispirato agli aspetti peggiori di quello americano. Esistono alternative a una strategia di questo tipo. In Europa la crisi è stata affrontata da imprese come la Volkswagen con accordi sindacali che hanno ridotto l'orario, limitato la perdita di reddito e tutelato capacità produttive e occupazione; in questo modo la produzione sta ora riprendendo insieme alla domanda. Produrre auto in Europa è possibile se c'è un forte impegno di ricerca e sviluppo, innovazione e investimenti attenti alla sostenibilità ambientale; per questo sono necessari lavoratori con più competenze, meno precarietà e salari adeguati; un'organizzazione del lavoro contrattata con i sindacati che assicuri alta qualità, flessibilità delle produzioni e integrazione delle funzioni. E' necessaria una politica industriale da parte del governo che non si limiti agli incentivi per la rottamazione delle auto, ma definisca la direzione dell'innovazione e degli investimenti verso produzioni sostenibili e di qualità; le condizioni per mercati più efficienti; l'integrazione con le politiche della ricerca, del lavoro, della domanda. Considerando l'eccesso di capacità produttiva nell'auto in Europa, è auspicabile che queste politiche vengano definite in un contesto europeo, evitando competizioni al ribasso su costi e condizioni di lavoro. Su tutti questi temi è necessario un confronto, un negoziato e un accordo con i sindacati che rappresentano i lavoratori dell'azienda. In nessun paese europeo l'industria dell'auto ha tentato di eliminare un sindacato critico della strategia aziendale dalla possibilità di negoziare le condizioni di lavoro e di rappresentare i lavoratori. L'accordo Fiat di Mirafiori riduce le libertà e gli spazi di democrazia, aprendo uno scontro che riporterebbe indietro l'economia e il paese. Ci auguriamo che la Fiat rinunci a una strada che non porterebbe risultati economici, ma un inasprimento dei conflitti sociali. Ci auguriamo che governo e forze politiche e sindacali contribuiscano a una soluzione di questo conflitto che ristabilisca i diritti dei lavoratori a essere rappresentati in modo democratico e tuteli le condizioni di lavoro. Esprimiamo la nostra solidarietà ai lavoratori coinvolti e alla Fiom, sosteniamo lo sciopero nazionale del 28 gennaio 2011 e ci impegniamo ad aprire una discussione sul futuro dell'industria, del lavoro e della democrazia, sui luoghi di lavoro e nella società italiana.
Le firme
Margherita Balconi, Università di Pavia
Paolo Bosi, Università di Modena e Reggio Emilia
Gian Paolo Caselli, Università di Modena e Reggio Emilia
Daniele Checchi, Università Statale di Milano
Tommaso Ciarli, Max Planck Institute of Economics
Vincenzo Comito, Università di Urbino
Marcella Corsi, Università di Roma "La Sapienza"
Pasquale De Muro, Università di Roma Tre
Giovanni Dosi, Scuola Superiore Sant'Anna, Pisa
Marco Faillo, Università degli Studi di Trento
Paolo Figini, Università di Bologna
Massimo Florio, Università Statale di Milano
Maurizio Franzini, Università di Roma "La Sapienza"
Lia Fubini, Università di Torino
Andrea Fumagalli, Università di Pavia
Mauro Gallegati, Università Politecnica delle Marche
Adriano Giannola, Università di Napoli Federico II
Anna Giunta, Università di Roma Tre
Andrea Ginzburg, Università di Modena e Reggio Emilia
Claudio Gnesutta, Università di Roma "La Sapienza"
Elena Granaglia, Università di Roma Tre
Simona Iammarino, London School of Economics
Peter Kammerer, Università di Urbino
Paolo Leon, Università di Roma Tre
Stefano Lucarelli, Università di Bergamo
Luigi Marengo, Scuola Superiore Sant'Anna, Pisa
Pietro Masina, Università di Napoli "L'Orientale"
Massimiliano Mazzanti, Università di Ferrara
Marco Mazzoli, Università Cattolica di Piacenza
Domenico Mario Nuti, Università di Roma "La Sapienza"
Paolo Palazzi, Università di Roma "La Sapienza"
Cosimo Perrotta, Università del Salento
Mario Pianta, Università di Urbino
Paolo Pini, Università di Ferrara
Felice Roberto Pizzuti, Università di Roma "La Sapienza"
Andrea Ricci, Università di Urbino
Andrea Roventini, Università di Verona
Maria Savona, University of Sussex
Francesco Scacciati, Università di Torino
Alessandro Sterlacchini, Università Politecnica delle Marche
Stefano Sylos Labini, Enea
Giuseppe Tattara, Università di Venezia
Andrea Vaona, Università di Verona
Marco Vivarelli, Università Cattolica di Piacenza
Antonello Zanfei, Università di Urbino
Adelino Zanini, Università Politecnica delle Marche

(Fonte: www.rassegna.it - 7/1/2011)

martedì 11 gennaio 2011

"Good news" da Detroit: Fiat sale al 25% di Chrysler e non cede alcuno dei propri gioielli


La Fiat è salita dal 20 al 25% di Chrysler. Lo ha annunciato oggi l'amministratore delegato Sergio Marchionne parlando al Salone dell'Auto di Detroit. "E ci sono le condizioni per salire al 51% entro l'anno", ha chiarito il manager. "Fiat - ha aggiunto - ha le risorse finanziarie per farlo anche adesso se necessario". Marchionne ha precisato quindi che Fiat ha potuto salire al 25% di Chrysler "perché è stata adempiuta la prima condizione con la tecnologia Fiat certificata negli U.S.A.". L'ad dell'azienda automobilistica è tornato anche a parlare delle vicende italiane, ribadendo che se al referendum di Mirafiori ci sarà il 51% di sì "il discorso si chiude, l'investimento si fa". Ma "se non si raggiunge il 51% salta tutto e andiamo altrove. Fiat ha alternative nel mondo. Venerdì scorso ero in Canada a Brampton per lanciare il Charger della Chrysler. Ci hanno invitato a investire e aumentare la capacità produttiva. C'è un grande senso di riconoscimento per gli investimenti che abbiamo fatto là. Stanno aspettando di mettere il terzo turno, trovo geniale che la gente voglia lavorare, fare anche il terzo turno. Lavorare sei giorni alla settimana è una disponibilità incredibile, in Europa questo è un problema, Brampton è una possibilità, ma ce ne sono moltissime altre dappertutto, come Sterling Heights" (un sobborgo di Detroit, ndr). "Aspettiamo di vedere cosa succederà giovedì e venerdì - ha aggiunto Marchionne - e se il referendum non passerà ritorneremo a festeggiare a Detroit. Non voglio entrare in polemica con Landini perché non risolviamo niente, ma è impossibile discutere con qualcuno che considera qualsiasi cosa che facciamo illegittima. Considerano illegittimo finanche il referendum voluto dai sindacati. E' un'iniziativa partita da loro e adesso persino quella è considerata illegittima. E' sempre colpa della Fiat. Ci sarà pure qualcosa di legittimo". Quanto a un possibile sbarco di Alfa Romeo negli U.S.A., Marchionne ha spiegato che avverrà "probabilmente nel 2012". "La Giulia è in effetti la vettura più idonea - ha aggiunto - perché realizzata su piattaforma americana, ma il nostro obiettivo è di portare tutta la gamma Alfa in America, inclusa la macchina che dovrebbe essere prodotta a Mirafiori". "Sono cauto ma ottimista sul futuro", ha poi rivelato l'ad in un'intervista all'emittente Cnbc, spiegando di essere convinto che l'industria automobilistica "è tornata". Marchionne ha anche ribadito l'intenzione di restituire gli aiuti ricevuti dai governi americano e canadese entro il 2011. "Abbiamo un debito di gratitudine nei confronti di molte persone", ha sottolineato. Il manager Fiat ha commentato anche le scritte comparse a Torino sul suo conto. "Sono fuori posto - ha detto - Non è questione di un mio coinvolgimento personale, ma riflettono la mancanza di civiltà". "Una mancanza di civiltà - ha proseguito - che non è opportuna per l'Italia e per nessun altro Paese: siamo fiduciosi che prevalga l'aspetto razionale e l'ideologia politica resti fuori dalla fabbrica. Noi vogliamo fare qualcosa di buono non solo per l'azienda ma soprattutto per i lavoratori". Sulle strategie future di Fiat è intervenuto a Detroit anche il presidente John Elkann, affermando che non c'è "nessuna intenzione di vendere pezzi del gruppo, ci teniamo stretto tutto". "Anche se ci offrono un sacco di soldi, abbiamo investito troppo", ha aggiunto Elkann. Anzi, ha detto successivamente, "se Volkswagen volesse vendere le sue attività nei camion, Fiat Industrial sarebbe un potenziale acquirente". Una battuta anche sul referendum in programma a Mirafiori. "Sono fiducioso che prevalga il buon senso", ha detto. A illustrare i dettagli della scalata di Fiat a Chrysler è invece un comunicato diffuso in contemporanea dal Lingotto. "Come descritto nell'accordo operativo del 10 giugno 2009 - si legge nella nota - Chrysler Group ha emesso una lettera d'impegno irrevocabile nei confronti del Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti con la quale la società dichiara di aver ricevuto le necessarie autorizzazioni regolamentari e che inizierà la produzione commerciale del motore Fire (Fully Integrated Robotized Engine) nel suo stabilimento di Dundee (Michigan, U.S.A.). Di conseguenza - recita ancora il comunicato - la quota di partecipazione di Fiat è automaticamente aumentata come previsto nell'accordo operativo". Con l'aumento del peso del Lingotto, l'azionariato della casa di Detroit vede i sindacati americani UAW Veba detenere il 63,5% del capitale, il Tesoro U.S.A. il 9,2% e il governo canadese il 2,3%. Fiat, ricorda sempre il comunicato, potrà ulteriormente aumentare la propria quota in Chrysler sino al 35%, in tranche del 5%, attraverso il raggiungimento di due ulteriori 'performance events'. Il primo evento si riferisce all'aumento dei ricavi e delle vendite al di fuori dell'area NAFTA. Il secondo riguarda la produzione commerciale negli Stati Uniti di una autovettura basata su una piattaforma Fiat con prestazioni di almeno 40 miglia per gallone. Intanto la prima applicazione sul mercato nordamericano del motore 1.4 Fire con tecnologia MultiAir sarà sulla nuova Fiat 500, la cui distribuzione da parte di Chrysler Group inizierà a breve attraverso i nuovi concessionari.
(Fonte: www.repubblica.it - 10/1/2011)