lunedì 30 settembre 2013

Fiat 500X: test negli U.S.A. per il piccolo SUV


Fiat-Chrysler ha avviato nei mesi scorsi i collaudi del nuovo SUV di segmento B che verrà commercializzato con i marchi Fiat e Jeep. Il modello, conosciuto per il momento come 500X, verrà prodotto nella fabbrica di Melfi ed è sceso in strada contemporaneamente in Italia e negli U.S.A. per i test di sviluppo dinamico.
Architettura ripresa dalla 500L - Fiat sta attualmente collaudando la piattaforma dei due modelli venturi, per il momento celati sotto le forme della carrozzeria presa in prestito dalla 500L. I due crossover saranno offerti nelle varianti a trazione anteriore e integrale, con quest'ultima che sarà importante soprattutto per il modello della Jeep, considerata la tradizione del marchio. A fare da base, una versione specifica dell'architettura su cui è costruita la stessa 500L.
Carrozzeria completamente posticcia - Per quanto riguarda i dettagli estetici del muletto sorpreso negli Stati Uniti, va sottolineata la presenza - evidente al di sotto della camuffatura - della classica griglia Jeep a sette aperture. Niente, però, è definitivo in termini di carrozzeria: l'intero aspetto del frontale, come testimonia l'adozione dei gruppi ottici della MiTo, è del tutto provvisorio. Da notare anche le portiere posteriori, più corte rispetto alla "L".
Ne faranno 280.000 l'anno - Secondo le aspettative della Casa, questo nuovo modello, considerato globalmente, dovrebbe essere prodotto in un volume di 280.000 unità l'anno. La versione Jeep sarà la prima ad andare in produzione: le operazioni di assemblaggio dovrebbero iniziare già nel prossimo mese di giugno, con il modello Fiat che seguirà a distanza di circa tre mesi.
(Fonte: www.quattroruote.it - 18/9/2013)

domenica 29 settembre 2013

Alfa Romeo (2): slitta il ritorno negli U.S.A.


Unica certezza: se fa così la si nota di più. Alfa Romeo ritarda di nuovo il suo ritorno negli Stati Uniti. Un portavoce del gruppo Chrysler ha detto che la vendita della 4C dovrebbe slittare al secondo trimestre del 2014. L’auto è stata presentata alla stampa la settimana scorsa sulla pista del Balocco e sarebbe dovuta finire nei dealer americani in novembre, dopo il motorshow di Los Angeles. Vabbè, i clienti d’oltreoceano hanno aspettato quasi vent’anni, ce la faranno a tenersi un assegno in tasca per altri sei mesi. Ma sempre che sia davvero così. La notizia sarebbe una non-notizia se Sergio Marchionne non avesse parlato dell’Alfa Romeo come della sua ultima spiaggia. A onor del vero, ha sempre detto che la gestione e il rilancio del marchio del Biscione sono sempre stati il suo problema principale, un mal di testa perenne. Tra obiettivi mancati, ridotti in corsa, fissati (per ora) al 2016 con 300.000 Alfa, circa il triplo delle vendite 2012. E ancora la promessa di farne un marchio premium fra lo scetticismo di molti e le provocazioni pubbliche di Ferdinand Piech: "Tanto non ce la fai, vendila a me e al gruppo Volkswagen...". Ma oggi l’America brucia, se non altro perché è diventata un punto d’onore dopo che a Torino il ritorno dell’Alfa su quel mercato era stato preannunciato nel 2000, poi nel 2003 ai tempi dell’accordo con GM, poi nel 2012 e ora l’anno prossimo. Dustin Hoffman avrebbe fatto in tempo a prendersi una laurea honoris causa. Con o senza Duetto.
(Fonte: www.carblogger.it - 25/9/2013)

sabato 28 settembre 2013

Alfa Romeo (1): 4C, passione italiana


Per un’auto sportiva è come per una donna, vince la passione. Il resto sono tutte chiacchiere. Se davanti alle curve sinuose della carrozzeria si avverte un tuffo al cuore allora è fatta, il sacro fuoco della passione ha colpito ancora, è amore a prima vista. Un’auto sportiva può essere la più performante e tecnologica ma se non ci si “emoziona” al suo cospetto, non c’è niente da fare è una “partita persa” fin dall’inizio e non c’è scatto da fermo da appiccicare al sedile o velocità massima supersonica che tengano, se non scatta la molla meglio lasciar perdere. Se un’auto sportiva piace veramente allora si è disposti a fare follie per lei, come per una bella donna, e il cuore prevale sempre sulla mente. Così l’Alfa rossa riaccende la passione, e non solo degli alfisti (che noteranno subito la similitudine con l’Alfa Romeo 33 Stradale), grazie alla nuova coupé sportiva 4C che con i suoi umani quattro metri di lunghezza, che ne fanno una supercar “tascabile”, sembra un giocattolo fatto apposta per far tornare tutti bambini. Ma con la 4C c’è poco da scherzare perché sotto le curve in materiale composito della carrozzeria “Sheet Moulding Compound”, c’è tanta sostanza. Il motore centrale “a vista”, ad esempio, è l’evoluzione del performante 1.750 cc turbo benzina con iniezione diretta e basamento in alluminio, abbinato al cambio a doppia frizione “Tct” (6 rapporti, paddle al volante e launch control), e al selettore Dna che oltre ai settaggi Dynamic, Natural e All Weather, dispone della nuova modalità “Race”. Grazie poi alla maniacale attenzione riservata dai progettisti in tema di riduzione del peso (sulla bilancia sono 895 kg), e all’uso dei materiali “nobili” già impiegati per la ben più costosa 8C Competizione, ne deriva un rapporto peso/potenza da sportiva di razza (meno di 4 Kg/Cv), che permette alla 4C di partire come un missile e raggiungere i 100 km/h in 4,5 secondi mentre la velocità massima è di 258 km/h, segnalata con chiarezza sull’avveniristico display digitale multifunzione. In pista, al pilota esperto, l’Alfa Romeo 4C si rivela in tutte le sue potenzialità mettendo in risalto le doti di sportività che questo modello “2 posti secchi” a trazione posteriore e senza servosterzo, riesce ad offrire e come ben dimostrato dal pilota della scuderia Ferrari, Giancarlo Fisichella, che l’ha provata a lungo qui a Balocco lodandola senza mezzi termini. Certo anche noi comuni mortali, seppure ben lontani dalle performance del pilota delle monoposto di Maranello (dove la 4C è di casa perché esce dallo stabilimento modenese Maserati), possiamo apprezzare il magnifico sound dello scarico (con basse frequenze enfatizzate), lo sprint, l’agilità e la maneggevolezza della vettura, ma al tempo stesso proviamo a immaginare il suo comportamento nel traffico cittadino dell’ora di punta o nelle avvilenti file chilometriche sul Grande Raccordo Anulare, dove forse sarebbe meglio poter contare su una paciosa citycar. Però come precedentemente anticipato per la vera passione si è disposti a sopportare questo e molto altro ancora, basta avere a disposizione i 53.000 euro richiesti per portarsi via l’Alfa Romeo 4C, rossa, nera, bianca o grigia, in configurazione standard (selettore Dna evoluto, display Tft e indicatore pressione turbo, temperatura olio e Gmeter, sedili sportivi in tessuto, volante in pelle con “shift paddles”, cerchi in lega da 17” all’anteriore e 18” al posteriore, pinze freno grigie e doppio terminale di scarico). Chi però verrà colpito dal dardo di Cupido-Alfa 4C dovrà fare in fretta perché di questa coupé sportiva ne verranno prodotti 3.500 esemplari l’anno di cui soltanto 1.000 destinati al mercato europeo con le ordinazioni al via dal prossimo mese di ottobre per i primi 500 pezzi in “limited edition”.
(Fonte: www.repubblica.it - 19/9/2013)

venerdì 27 settembre 2013

Fiat-Veba: la via dell'accordo è inevitabile


La partita di poker fa un altro passo avanti. La mano decisiva sembra ancora lontana, ma l'esito più probabile non cambia. I due contendenti sono convinti di avere in mano buone carte: il Veba punta sul fatto che Fiat ha bisogno di accedere al più presto alla liquidità Chrysler; Marchionne sul fatto che il Veba ha bisogno di fondi per pagare le prestazioni sanitarie agli iscritti. Ma entrambi sanno di rischiare: portare Chrysler in Borsa a prezzi da saldo sarebbe un duro colpo per il Veba; che Chrysler vada in Borsa sarebbe un colpo per la strategia di Marchionne. In questi giorni tutti e due fanno la faccia feroce: il Veba spingendo per un'Ipo contro l'opinione del socio di maggioranza e dell'amministratore delegato; questi ultimi avvertendo il Veba che lo sbarco in Borsa potrebbe far crollare il castello dell'alleanza. La decisione del Veba sarebbe un'assurdità in condizioni normali: come affidarsi per massimizzare il proprio incasso a un manager il cui obiettivo principale è di minimizzarlo? Ma la governance di Chrysler risente dell'eccezionalità del Chapter 11 del 2009 da cui la società è nata; un'operazione che ha peraltro riportato in nero l'azienda e ne ha fatto – con il contributo di Fiat – il pilastro dell'intero gruppo. Davvero il sindacato Uaw, che gestisce il Veba, è disposto a rischiare i posti di lavoro salvati nel 2009 (e quelli aggiunti grazie alla ripresa) per massimizzare i fondi a copertura dei pensionati? E davvero Fiat è disposta a buttare a mare 4 anni di integrazione con Chrysler e un'intera strategia globale, per un disaccordo sul prezzo? Difficile. Marchionne definì già nel 2009 le due aziende "inextricably intertwined", vale a dire inestricabilmente intrecciate. L'espressione, che compare anche nel prospetto presentato lunedì, vale nei due sensi. L'alleanza con Fiat è stata sicuramente decisiva nel processo di risanamento di Chrysler, ma cosa sarebbe Fiat oggi senza l'azienda U.S.A.? Alcuni punti di forza, come Ferrari e la leadership sul mercato brasiliano, ma un business europeo in profondo rosso e privo dei fondi per investire. Nel 2012 il gruppo ha perso un miliardo di euro, al netto di Chrysler, e nel primo semestre di quest'anno il passivo è stato di 482 milioni. Difficilmente il Lingotto potrebbe fare molta strada da solo. Per questo lo stallo attuale è destinato a sciogliersi in un accordo, magari all'ultimo istante (o alla dodicesima ora, come dicono gli americani).
(Fonte: www.ilsole24ore.com - 25/9/2013)

giovedì 26 settembre 2013

Chrysler prepara l'ingresso in Borsa: presentati i documenti per l'IPO


Chrysler compie il primo passo verso la Borsa, da dove è assente dal 1998. La casa automobilistica americana, controllata da Fiat, presenta alla Sec il documento S-1, propedeutico all'initial public offering. Né il numero delle azioni né il prezzo è stato ancora definito - si legge nella documentazione di 393 pagine -, ma Chrysler ha fissato un 'placeholder' simbolico di 100 milioni di dollari. I titoli in vendita sono quelli del Veba, il fondo del United Auto Workers, che ha esercitato all'inizio dell'anno il diritto garantitogli nel 2009, quando Fiat è entrata in Chrysler. Il Uaw, registrando il 16,6% delle azioni all'inizio dell'anno, ha premuto sull'acceleratore dell'IPO, che potrebbe aiutare a determinare il prezzo che Fiat dovrebbe versare per salire al 100% di Chrysler dall'attuale 58,5%. Un'IPO, quindi, che non è un «momento di trionfo» per la casa automobilistica, pur dimostrandone la ripresa, afferma il New York Times. L'amministratore delegato di Fiat e Chrysler, Sergio Marchionne, «l'architetto della rinascita di Chrysler - aggiunge il New York Times - infatti non l'appoggia». JPMorgan è la capofila fra le banche per l'IPO che potrebbe ritardare l'integrazione fra il Lingotto e Chrysler. E potrebbe mettere a rischio l'alleanza stessa: Fiat «ci ha informato che sta valutando l'impatto che l'offerta e l'introduzione di stakeholder potrebbero avere». «Se Fiat non volesse lavorare con noi al di là degli attuali obblighi contrattuali esistenti, potrebbero esserci effetti avversi sulle nostre prospettive e sulle condizioni finanziarie», si legge nella documentazione, nella quale si precisa che al momento non sono prevedibili dividendi. L'IPO potrebbe avvenire già entro la fine dell'anno, ma è probabile che si verifichi nel primo trimestre 2014. Lo sbarco in Borsa potrebbe presentare dei rischi per il Uaw stesso: un flottante di solo il 16,6%, quello registrato dal Uaw, potrebbe essere non visto di buon occhio dagli investitori, soprattutto perchè si tratterebbe di un'IPO che vede l'amministratore delegato della società, Sergio Marchionne, contrario. A questo potrebbero aggiungersi perplessità nell'investire in una società in cui uno dei maggiori azionisti è il sindacato. E quelle per una quotazione separata di due società con uno stesso amministratore delegato, come nel caso di Renault-Nissan. Il valore di un eventuale sbarco in Borsa sarà certamente molto superiore ai milioni di dollari di cui si parla. È infatti prassi delle aziende americane che intendono quotarsi in Borsa indicare il valore minimo possibile nella domanda perché su quel valore devono pagare la tassa di registrazione. Se poi l'IPO non viene effettuata, il denaro viene di fatto perso. Per questo Chrysler indica nel filing di valutare ogni azione che verrà offerta al mercato solo 0,001 dollari, cioè il minimo possibile, con la precisazione che la stima è appunto fatta solo allo scopo di calcolare l'ammontare da pagare per la registrazione con la Sec. Il valore effettivo dell'IPO - se mai ce ne sarà uno - dipenderà dunque dalla quantità di azioni che verrà offerto sul mercato.
(Fonte: http://motori.ilmessaggero.it - 24/9/2013)

mercoledì 25 settembre 2013

Fiat-Chrysler: la partita a poker di Marchionne per arrivare alla fusione


Chi bluffa nella partita a poker per Chrysler? Nei giorni scorsi, nelle dichiarazioni pubbliche prima e in una intervista al Financial Times poi, Sergio Marchionne ha annunciato: «Tecnicamente la quotazione in Borsa è possibile già entro quest'anno. Ma credo che converrà attendere il primo trimestre del 2014». Traduzione possibile: ci sono ancora cinque mesi per evitare quella che al Lingotto considerano una vera iattura, arrivare a quotare Chrysler prima della fusione con Fiat. Cinque mesi per trovare un accordo con il fondo Veba che garantisce pensioni e assistenza medica a 65.000 ex dipendenti della casa di Detroit. Poi, se l'accordo non dovesse arrivare, nascerà un mostro a due teste: un gruppo industrialmente sempre più integrato ma finanziariamente diviso, con Chrysler che torna a Wall Street dopo la rinascita dal fallimento e Fiat, che ne possiede la maggioranza, quotata alla Borsa di Milano. Insomma: separati in Borsa. A chi conviene davvero? Forse a nessuno ed è anzi probabile che l'annuncio della quotazione in tempi brevi sia in realtà un bluff e che Marchionne pensi di chiudere la partita con Veba senza passare prima da Wall Street. Magari con l'arbitrato delle banche. Vediamo come e perché. «Tutto quanto sta accadendo era una delle possibilità previste dall'accordo del 2009», dicono a Auburn Hill, quartier generale di Chrysler. Prevista sì, gradita no. Il braccio di ferro sul valore reale delle azioni ancora in mano a Veba, il 41,5 per cento del totale, dura dal luglio del 2012. Con la complicità di una giustizia americana che non ha nulla da invidiare, quanto a tempi di decisione, a quella italiana. Non sapendo come venire a capo della lite, Fiat si è infatti rivolta al tribunale. Ma il giudice del Delaware, Donald Parsons, non sembra morire dalla voglia di dirimere il nodo gordiano e con una serie di rinvii ha fatto chiaramente capire ai legali di Marchionne che è più opportuno che il prezzo lo faccia il mercato e non un magistrato. La distanza tra domanda e offerta è ancora molto alta. Oggi Fiat calcola che il pacchetto possa valere meno di 3 miliardi di dollari, mentre per Veba sono più di 5. «Se vogliono 5 miliardi - ha risposto Marchionne nei giorni scorsi - comprino un biglietto della lotteria ». Eppure le distanze sono proporzionalmente diminuite: a luglio del 2012 Fiat offriva 1,8 miliardi di dollari e Veba ne chiedeva 4,2. Nel frattempo, spiegano gli avvocati che seguono il dossier, lo stato di salute di Chrysler è migliorato e dunque sono saliti i valori determinati dalla formula di calcolo prevista dall'accordo del 2009. Ma i calcoli di Fiat e quelli di Veba continuano a divergere molto. Il pacchetto in mano al fondo del sindacato U.S.A. è diviso in due parti. La prima, di poco superiore al 23 per cento, è destinata ad essere ceduta a Fiat a blocchi del 3,3 cento ogni sei mesi a un prezzo determinato da una formula che tiene conto delle performance dell'azienda. È sul calcolo di quel prezzo che è in corso il braccio di ferro di Detroit. Fino ad oggi Fiat ha già annunciato l'intenzione di acquistare 3 dei 7 blocchi previsti, ma il passaggio delle azioni è di fatto sospeso. Altrimenti il Lingotto avrebbe già in mano il 9,9 per cento di azioni che, aggiunte al 58,5 posseduto a pieno titolo, porterebbero Torino a controllare il 64,9 di Auburn Hills. A gennaio di quest'anno il fondo Veba ha annunciato la sua contromossa, anche questa prevista dall'accordo del 2009. I legali del sindacato U.S.A. hanno dichiarato di voler quotare in Borsa il 16 per cento delle azioni Chrysler in loro possesso che non sono vincolate al sistema delle vendite semestrali a Fiat. In questo modo, ceduto il 23 per cento con le vendite ogni sei mesi e il 16 per cento come flottante in Borsa, il Veba avrebbe ancora in mano poco più del 2 per cento di Chrysler. La logica è stringente: se non si trova un prezzo applicando le formule degli accordi, il prezzo lo faccia Wall Street. La minaccia è implicita: se Fiat è obbligata a quotare in anticipo Chrysler prima di fondere le due società, il piano del Lingotto si complica. E, nella previsione che la quotazione faccia salire il valore delle azioni, Torino sarà costretta a pagare di più di quanto non sia disposta a fare oggi. Marchionne ha annunciato così di essere 'tecnicamente' pronto a quotare Chrysler in Borsa. Ha detto che potrebbe farlo già entro fine anno ma che «è preferibile quotare entro il primo trimestre 2014». Tradizionalmente, fanno sapere a Auburn Hills, i primi mesi dell'anno sono più favorevoli alle Ipo. In realtà, con il suo annuncio l'ad del Lingotto ha spostato a marzo la scadenza dandosi altri mesi di tempo per la trattativa con Veba. L'idea che circola in queste settimane a Detroit è quella di trovare un soggetto terzo che svolga le funzioni di arbitro nella disputa evitando alle parti di perdere la faccia. Scartata la strada del tribunale, una soluzione potrebbe venire dalle banche. Si potrebbe nominare un gruppo di saggi del sistema creditizio che in poco tempo sia in grado di dirimere la questione del valore delle azioni togliendo le castagne dal fuoco a tutti ed evitando ai dirigenti di Veba la spiacevole accusa dei soci di aver venduto la quota per un piatto di lenticchie. Perché il tempo stringe e tutti hanno fretta in questa storia. Ha probabilmente fretta il Veba, che deve capitalizzare il pacchetto Chrysler per pagare l'assistenza ai suoi 65.000 iscritti. Ma ha fretta anche Marchionne, che deve fondere le due società e quotarle prima che freni la crescita del mercato U.S.A. delle quattro ruote. Una fusione rapida potrebbe avere effetti anche sulla sponda europea dell'impero Chrysler. Non tanto perché Marchionne avrebbe mano libera nell'utilizzo degli utili di Detroit per investire nella disastrata Europa. Questa eventualità è temuta come il fuoco in America, al punto che nel 2011, quando Auburn Hills restituì il prestito ottenuto dal Tesoro americano al momento del fallimento, contrattò una linea di credito con le banche U.S.A. che prevede esplicitamente il divieto di utilizzare gli utili Chrysler per investirli fuori dall'America. Quelle linee di credito scadono tra il 2016 e il 2017 e fino a quella data il lucchetto della cassa Chrysler è chiuso. Si aprirebbero invece, dopo la fusione, le possibilità di accedere al sistema creditizio U.S.A. a tassi molto più convenienti di oggi e questo potrebbe favorire anche gli investimenti europei. Perché è ormai chiaro che la nuova società nata dopo la fusione sarà una società americana a tutti gli effetti, quotata a Wall Street. Che il pacchetto di controllo sia in mano a una famiglia italiana (con un presidente nato a New York) e la sede legale in Olanda conta poco. Anche perché, se vale il meccanismo che si sta sperimentando in queste settimane con la fusione Cnh-Fiat Industrial, dopo la quotazione gli Agnelli potrebbero diluire molto la loro partecipazione mantenendo comunque il controllo grazie a un sistema di calcolo del voto che attribuisce alle loro azioni un peso maggiore in assemblea. Un sistema analogo è quello che garantisce alla famiglia Ford il controllo dell'azienda. La nuova Fiat sarà dunque principalmente americana e proprio per questo Marchionne tiene a garantire che in Italia non si chiuderanno altri stabilimenti dopo Termini Imerese. Per raggiungere l'obiettivo però è necessario risolvere il rebus Alfa Romeo. Solo con i modelli del Biscione Mirafiori potrebbe tornare a occupare i 5.200 dipendenti delle Carrozzerie, che non possono tutti affannarsi intorno a un'unica linea dei modelli Maserati, e saturare l'impianto di Cassino che oggi langue. Ma per risolvere il rebus sono necessari investimenti e per avere i denari è necessario che le banche concedano crediti a tassi vantaggiosi. Meglio affrettare la fusione trovando un accordo sul prezzo con Veba. Anche per questo la quotazione Chrysler annunciata in questi giorni potrebbe essere un bluff.
(Fonte: www.repubblica.it - 23/9/2013)

martedì 24 settembre 2013

Fiat-Veba: Marchionne assume Ron Bloom, ex "zar dell'auto" di Obama


Sergio Marchionne sceglie un alleato di peso nella trattativa per salire in Chrysler. È Ron Bloom, che nel 2009 fu il vice di Steve Rattner nella task force creata dal presidente Obama per salvare il settore auto americano; in quella veste Bloom si occupò principalmente proprio di Chrysler: fu lui a convincere Obama a gettare un salvagente all'azienda evitando di farla fallire, e fu lui a mettere a punto l'accordo che diede a Fiat la maggioranza del gruppo di Detroit lasciando a Veba, fondo gestito da UAW, la quota di minoranza che ancora conserva. A parte lo stesso Marchionne, dunque, forse nessuno conosce meglio di Bloom la Chrysler, il contratto firmato nel 2009 e i dettagli del fondo Veba. Un patrimonio fondamentale, ora che i due azionisti sono impegnati in una disputa sul valore delle azioni e sull'interpretazione del contratto stesso. Marchionne si è espresso in passato pubblicamente con elogi per il ruolo svolto da Bloom nei frenetici negoziati della primavera 2009. Il superconsulente può offrire al manager Fiat anche l'esperienza accumulata in vent'anni di lavoro per conto del sindacato americano dei metallurgici USW. Nato a New York 58 anni fa e laureato alla Harvard Business School, Bloom ha in effetti alle spalle una carriera curiosa che lo ha visto crescere alla banca Lazard, fondare una società in proprio, passare al servizio del sindacato USW e tornare poi (dopo la parentesi della task force di Obama, di cui è stato a capo dopo l'uscita di Rattner) alla stessa Lazard, di cui è attualmente vicepresidente. Oltre alle competenze, Bloom porta anche un paradosso: proprio in questi giorni è stato infatti assunto come consulente dal comitato che rappresenta i pensionati della municipalità di Detroit, nella causa che questi ultimi hanno intentato per bloccare il fallimento (Chapter 9) della città. Se dunque Bloom lavorerà sul dossier Chrysler sulla sponda opposta ai sindacati dell'auto, a poche miglia di distanza sosterrà i sindacati dei dipendenti pubblici nella loro battaglia per difendere le pensioni dai tagli chiesti dall'Emergency Manager, Kevyn Orr. Quest'ultimo, a completare la lista delle ironiche coincidenze, nel 2009 faceva parte del team di avvocati dello studio Jones Day che per conto di Chrysler gestirono la ristrutturazione. Se Marchionne e il Veba non dovessero raggiungere un accordo sul prezzo, il fondo venderebbe una parte delle azioni sul mercato in un'Ipo (offerta iniziale) che è in corso di preparazione. Il modello S-1 dovrebbe essere depositato presso la Sec in questi giorni, mentre il collocamento dovrebbe essere guidato – secondo quanto rivelato dalla Cnbc – dalla banca d'affari JpMorgan Chase. Marchionne preferirebbe evitare il collocamento in quanto allungherebbe i tempi della fusione tra Fiat e Chrysler. Lo scenario ritenuto attualmente più probabile resta quello di un accordo, magari all'ultimo istante. Secondo il Wall Street Journal ci sono almeno una dozzina di banche ancora in gara per partecipare all'operazione Chrysler. Anche nel caso in cui non vi fosse Ipo, ma vendita diretta dal Veba a Fiat, servirebbero banche per certificare la bontà del prezzo per ciascuna delle parti, senza contare il fatto che Marchionne ha in passato avanzato l'ipotesi di una ricapitalizzazione del gruppo dopo la fusione.
(Fonte: www.ilsole24ore.com - 21/9/2013)

lunedì 23 settembre 2013

Fiat-Chrysler vicina al 100% di VM Motori


A giorni sarà annunciato un nuovo investimento Fiat in Italia: entro la fine dell'anno, probabilmente a novembre, il Lingotto acquisirà una nuova grande fabbrica di motori con 1.152 dipendenti. Si tratta della VM Motori, azienda di Cento (Ferrara) a due passi dalla Ferrari, con circa 300 milioni di fatturato e soprattutto un'alta specializzazione nei propulsori diesel premium. Fiat controlla il 50% della società dal 2010. A vendere l'altra metà è l'americana GM. Le parti stanno definendo i dettagli finanziari dell'operazione che, partita in estate con l'esercizio della put di vendita da parte di General Motors (probabilmente sulla base di una buona offerta di massima di Fiat), sarà conclusa non appena l'Antitrust darà il via libera formale. Con la conquista del 100% della VM (che si aggiunge alle due fabbriche italiane di motori di Termoli e Pratola Serra e a quella polacca di Bielsko Bijala), l'amministratore delegato di Fiat e Chrysler, Sergio Marchionne, inserisce un tassello decisivo nel puzzle del riassetto produttivo del Lingotto in Italia. Alla VM sono già state assegnate due missioni strategiche: assicurare i propulsori sportivi per il polo dell'automotive di lusso che sta nascendo intorno a Torino e garantire quantità e qualità per i diesel destinati a diversi modelli Chrysler prodotti in America per l'export in Europa e, novità importante, per il mercato interno U.S.A. . Già perché da un po' di tempo il diesel sta prendendo piede anche negli Stati Uniti. E Marchionne ha già iniziato a consegnare anche ai 2.200 concessionari U.S.A. di Chrysler le Jeep Grand Cherokee e soprattutto gli enormi pickup Ram 1500 dotati proprio dei raffinati sei cilindri turbocompressi VM. A Cento gli ingegneri Fiat sono già di casa e la società emiliana, da alcuni anni guidata dall'ingegner Giorgio Garimberti, sta avviando un massiccio piano di investimenti (80-90 milioni in più anni) che ha determinato la distribuzione del lavoro su tre turni giornalieri più straordinari con l'obiettivo di passare dai 54 mila pezzi del 2011 ai 110-130 mila del 2014. Piano che, caso unico nell'automotive italiano, prevede circa 300 assunzioni, 70 delle quali sono già state effettuate. E proprio l'aumento (effettivo e non promesso) dei posti di lavoro introduce un altro capitolo che fa del "caso VM" un caso nazionale: i rapporti sindacali. Una grana per lo staff di Marchionne perché in VM - caso unico fra le fabbriche Fiat ad eccezione della Maserati di Grugliasco - la maggioranza dei delegati sono Fiom: 9 su 18. Tuttavia, i dipendenti VM a febbraio sono stati chiamati a votare un referendum su un accordo aziendale che, a differenza di Pomigliano e Mirafiori, vedeva la Fiom favorevole e firmataria assieme agli altri sindacati. L'intesa prevedeva un taglio, monetizzato, di poco più di 10 minuti della pause di lavoro (che in alcuni reparti oscillavano fra i 50 e i 63 minuti) in cambio degli investimenti e delle assunzioni. Vinse il "sì", i giornali parlarono di una "Pomigliano rossa", ma i "no" grandinarono copiosi: oltre 200 quasi tutti riferibili alla base Fiom. Per superare il clima di tensione una commissione azienda-delegati ha lavorato in questi mesi sul miglioramento dell'organizzazione del lavoro e sull'ergonomia applicata alla linea di montaggio. Sono state raccolte 250 proposte di miglioramento delle produzione da parte degli operai e sono stati individuate riduzioni di costi pari ad alcune centinaia di migliaia di euro. Ma ora come si comporterà Fiat con i 1.150 nuovi dipendenti? A VM sarà applicato il contratto di lavoro del Lingotto che è diverso da quello di Federmeccanica- Confindustria? Cosa farà lo staff di Marchionne di fronte al problema delle pause che in Fiat sono di 30 minuti, decisamente più corte di quelle VM? Tutti nodi che stanno per venire al pettine in una fabbrica che - complice la ristrutturazione edilizia post-terremoto - somiglia ad un grande cantiere in sviluppo. Un palcoscenico perfetto per scrivere un capitolo nuovo del manifatturiero italiano, ma anche del rapporto fra Marchionne e Fiom.
(Fonte: www.corriereadriatico.it - 21/9/2013)

domenica 22 settembre 2013

Ugo Bertone su Marchionne (2): l'intervista


In un’intervista al Financial Times l’ad di Fiat Sergio Marchionne ha dichiarato che Chrysler intende presentare la domanda di ammissione alla quotazione in borsa e che i documenti per l’Ipo potrebbero essere già pronti questa settimana. La decisione segue il mancato accordo tra Fiat e Veba sulla quota di proprietà del fondo. Nell’intervista Marchionne assicura inoltre che le Alfa Romeo non saranno prodotte fuori dall’Italia, almeno fino a quando sarà lui alla guida del Lingotto. Sullo stabilimento di Mirafiori, dove è in programma la produzione di un Suv Maserati, Marchionne ha affermato che il piano prevede che tutti gli occupati vengano riassorbiti. Abbiamo chiesto un commento al giornalista economico Ugo Bertone.
Siamo di fronte all’ennesima “inversione a U” di Marchionne?
L’inversione gliela fanno fare gli eventi. Marchionne sembra incoerente, ma la sua “incoerenza” è dettata dalla situazione del mercato. Le cose sono cambiate ed è costretto a zigzagare. Ha preso atto che negli Stati Uniti la situazione non è quella che desiderava. A questo punto è necessario un piano B. Che, un po’ per le sue caratteristiche, un po’ per necessità di cose, è del tipo “o la va o la spacca”.
Perché?
Obiettivamente, il tempo non lavora per Fiat in questo momento. Se non riesce a chiudere l’operazione con Chrysler - e direi che non riesce a chiuderla secondo le ultime notizie - rischia uno stop impressionante. Visto che le posizioni tra lui e il fondo Veba sono inconciliabili, e visto che Veba si richiama a una valutazione di mercato, la speranza è trovare una soluzione intermedia.
Dire che l’Alfa non sarà prodotta fuori dall’Italia, dopo aver sostenuto che da noi non ci sono le condizioni per produrre, non è una contraddizione?
Credo che a Marchionne interessi innanzitutto il braccio di ferro per il controllo di Chrysler. Da lì discende tutto il resto.
In che senso?
A Marchionne interessa una strategia in cui Fiat diventa parte di un gruppo più grande. All’interno del quale pensa di poter scaricare la forza di marchi come Alfa Romeo. Il motivo è molto semplice e assieme drammatico.
Quale?
Alfa Romeo dentro i confini di Fiat vale relativamente poco. Perché Fiat non ha i mezzi, la rete, la forza, il marchio, l’immagine, il futuro e l’organizzazione per andare da sola a vendere decentemente le Alfa Romeo sui mercati di tutto il mondo.
Cosa potrebbe fare in alternativa?
Delle operazioncine. Se invece entra in una struttura mondiale, ma mondiale per davvero, allora il discorso cambia. In Cina, per esempio, hanno provato a entrare diverse volte, ma sono stati tutti flop.
Perché?
Non avevano la forza. Adesso se ci entrano con Jeep, che è un marchio importante, fatto apposta per un certo tipo di mercato e che in Cina può trovare buona accoglienza, allora possono pensare anche ad Alfa Romeo e creare una rete a fianco. È lo stesso motivo per cui, magari usando una battuta infelice, in passato aveva detto: “Lancia fuori dall’Italia è morta”. Voleva dire che si possono fare le macchine più belle dell’universo, ma se devi partire da zero a costruire un marchio, una storia, un’immagine, una rete, e non hai una valanga di quattrini - che non hai - e i tuoi avversari sono tutti più forti, allora non ce la fai.
Questo concetto Marchionne lo ripete ormai da tempo...
Da almeno nove anni ripete che ci vogliono certe dimensioni per avere in prospettiva un ruolo globale. Il nodo centrale di tutta la sua straregia è creare un grande gruppo. Se non si crea questo grande gruppo, si farà qualcosa su basi più limitate, con qualcun altro. È il senso di quello che sta accadendo un po’ a tutta l’industria italiana.
Cosa sta accadendo?
Si deve accontentare di una nicchia, di un mercato limitato, di un segmento. In questo caso forse non parliamo neanche più di automobili.
Ma...?
Di un segmento del lusso. Mi permetto di fare Ferrari, sviluppo Maserati anche con una certa consistenza e a quel punto mi dedico a fare un po’ di pret-a-porter, come Armani Jeans, con Alfa Romeo. Questa però non è più la strategia di un grande produttore mondiale che cerca le condizioni migliori per imporre la propria tecnologia, il proprio brand, la propria filosofia producendo con pari qualità in tutto il mondo. È piuttosto la strategia di un brand del lusso dove conta il "Made in Italy". Le faccio un esempio.
Prego...
Mettiamo che produca tailleur di Valentino. È un guaio se, per risparmiare 50 Euro su un abito che ne costa 3mila, vado a produrlo in Vietnam. Lo stesso può valere per Maserati, Ferrari o un’Alfa che per farsi riconoscere a livello mondiale deve essere prodotta secondo certe caratteristiche. Diverso se voglio pormi - se posso pormi - come produttore mondiale che fabbrica 6 milioni di vetture. È il caso di Fiat. Volkswagen la producono dove vogliono, non credo facciano lo stesso con Porsche. Di sicuro non producono Lamborghini fuori dall’Italia. A certi livelli conta molto quel meccanismo.
Marchionne ha parlato con il Financial Times. Avrebbe detto altre cose alla Stampa o al Corriere?
A Marchionne non interessa l’Italia, un posto dove non si venderà un’automobile fino al 2018, 2019. E solo il 10-15% di Ferrari, forse anche meno visto che quelli che possono permettersela hanno paura delle tasse. La sua partita Marchionne se la gioca a livello mondiale. Ha parlato con il Financial Times perché gli interessava mandare un segnale importante a Chrysler. Di recente l’ad di Fiat ha fatto anche un’altra operazione.
Quale?
Quella di non presentarsi a Francoforte, dove tutto sommato non avrebbe fatto una bella figura. Tutti avevano decine di nuovi prodotti e un fortissimo impegno sulla motorizzazione verde, Fiat solo un paio di restyling. In più ha la Ghibli e qualcosa di Maserati che ha fatto vedere a Torino, ma sono state letteralmente sommerse.
Marchionne non è interessato all’Italia?
Le dispute italiane credo siano all’80° posto delle sue preoccupazioni. Se non all’81°. L’altro giorno, invece, a Parigi, sono state presentate tre idee di politica economica del governo a cura di McKinsey. Una riguardava lo sviluppo della Peugeot che consumerà 2 litri per fare 100 chilometri. Questi progetti sono fortemente sostenuti in una cornice di interventi di politica economica nazionale. Allora sì ha senso occuparsi di quello che dice il governo, le parti sociali, ecc. Ma da noi non c’è modo. E uno per sopravvivere deve occuparsi d’altro.
(Fonte: www.ilsussidiario.net - 17/9/2013)

sabato 21 settembre 2013

Ugo Bertone su Marchionne (1): il commento


“Lasciamo parlare il mercato...”. Sergio Marchionne ama giocare d’attacco. Il sindacato americano valuta in “almeno 5 miliardi di dollari” il 41,5 per cento di Chrysler in suo possesso? “Io considero questa valutazione eccessiva, anzi abnorme – ha detto al Financial Times il capo di Fiat-Chrysler – Il mercato ce lo dirà”. Lo dirà presto perché questa settimana “saremo in grado di depositare tutti i documenti per la quotazione a Wall Street”. Salvo colpi di scena, l’offerta di azioni avverrà entro l’anno. La United Auto Workers (UAW) fa sapere che non offrirà più di un quinto dello stock a sua disposizione: l’obiettivo non è far cassa ma segnare un prezzo, il più alto possibile. Fiat, che ha il 58 per cento (più un’opzione sul 16), giocherà le sue carte con un duplice obiettivo: evitare rialzi speculativi, ma anche non compromettere l’acquisizione di almeno i tre quarti delle azioni, il minimo per unificare la cassa di Chrysler con quella di Fiat. Una partita difficile che Marchionne ha cercato di scongiurare fino all’ultimo. Ma se i sindacalisti di Detroit vogliono la lotteria, si facciano sotto. A meno che alla fine non approdino a più miti consigli. Difficile però che si tiri indietro Erickson Perkins, un veterano di Wall Street che l’UAW ha voluto nel consiglio di Chrysler proprio per trattare il prezzo delle azioni con Marchionne. Tutt’altra pasta rispetto a chi l’aveva preceduto: l’ex governatore del Michigan, James Blanchard, cui brillavano gli occhi ogni volta che Marchionne annunciava nuove tappe della resurrezione di Chrysler. Perkins non nutre di questi timori reverenziali: la sua unica preoccupazione sembra quella di non fare sconti. Del resto, la sua “conversione” al sindacato risale al 1999 sull’onda dell’emozione “per le privatizzazioni nell’ex Unione sovietica, un furto a favore degli oligarchi”: “Solo un forte e informato movimento dei lavoratori per scongiurare rapine del genere”, sostiene. Per carità, né l’Uaw né Perkins giudicano Marchionne alla stregua di un oligarca. Ma nemmeno un compagno di viaggio con cui scambiare abbracci e pacche sulle spalle, com’era all’inizio. Da allora, a dividere Marchionne dalla squadra di Bob King, il leader sindacale che ha preso il posto del mitico Ron Gettelfinger, ci sono state trattative dure. C’è però un nuovo idillio, quello con Volkswagen, che sta aprendo a Chattanooga nel Tennessee, uno degli stati in cui il sindacato non ha mai potuto mettere piede. Almeno finora, perché il gruppo tedesco ha aperto le porte all’Uaw che ha raccolto l’offerta senza farsi pregare. “Per il sindacato americano – dice Giuseppe Berta, storico dell’economia e dell’auto – è necessario sfondare fuori dal Michigan. Ormai buona parte delle auto U.S.A. vengono fabbricate in stati ove non è permessa la presenza del sindacato. La breccia di Chattanooga è importante”. Meglio il modello tedesco di cogestione, insomma? “Non credo che c’entri molto. E’ un puro calcolo di convenienza, così come solo il soldo è alla base del braccio di ferro con Marchionne. Una sfida del genere sembra fatta apposta per piacere agli americani”. Insomma, in America il mito Marchionne resiste. Ma nei fatti il quadro è meno idilliaco di quel che poteva apparire solo pochi mesi fa: la prospettiva di un’Ipo rischia di allontanare non solo la fusione tra Fiat e Chrysler (e la successiva quotazione a Wall Street), ma incide anche sui piani d’integrazione. Così Marchionne estrae dal mazzo una carta nuova: il glamour del Made in Italy. A leggere l’intervista al Ft di ieri si stenta a credere che si tratti dello stesso Marchionne che sosteneva che “in Italia è impossibile lavorare”. Prima assicura che tutti i dipendenti di Mirafiori in cassa integrazione rientreranno al lavoro, poi, parlando di Maserati e Alfa, dice: “Non costruiremo mai queste vetture fuori dall’Italia”. In realtà, queste parole non aggiungono nulla di nuovo ai piani già noti, ma servono a ricordare che al matrimonio Fiat può portare in dote una Ferrari, non una sovietica Zhigulì vecchio stampo, come teme mister Perkins.
(Fonte: www.ilfoglio.it - 17/9/2013)

venerdì 20 settembre 2013

Altavilla: "Rilancio Fiat con cinque modelli"


«Produrremo cinque nuovi modelli con il marchio Fiat entro i prossimi due anni - dice Alfredo Altavilla, capo di Fiat-Chrysler per la regione Emea -, quattro della famiglia 500 e una nuova versione derivata dalla Panda, vetture che saranno sviluppate su pianali differenti». Altavilla, 50 anni da poco compiuti, dal 1° novembre 2012 si occupa dei mercati del Medio Oriente, dell'Africa e, soprattutto, di quello europeo, in costante recessione dal 2008.
Siete accusati di non aver modelli, di non aver investito nel futuro e ora questa sorpresa?
«Stiamo ridisegnando il dna del marchio Fiat con il chiaro obiettivo strategico di posizionarlo in una fascia premium di mercato. Per far questo ci stiamo focalizzando sulle nostre due famiglie di maggior successo: 500 e Panda».
Il programma non è troppo ambizioso?
«È coerente con l'ambizioso obiettivo, chiaramente indicato da Sergio Marchionne, di ritornare a generare redditività nell'area Emea nel 2015. Grazie alla crescente integrazione con Chrysler disponiamo delle risorse umane e finanziarie per lavorare a questo programma. I primi riscontri li abbiamo proprio dalla famiglia 500. Infatti la quota nel mercato europeo quest'anno è la più alta degli ultimi cinque anni, nonostante l'arrivo di numerosi e aggressivi competitor. Anche la 500 L, a pochi mesi dal lancio, è seconda, per immatricolazioni, nel suo segmento in Europa e in Italia ha una quota dominante di oltre il 40%. La Panda è la vettura di segmento A più venduta nel nostro Continente, dove una macchina su tre è Fiat, o Panda o 500».
Gli analisti vi contestano proprio questo, di fare solo 500 e Panda.
«Stiamo capitalizzando il nostro successo e le future scelte di prodotto puntano esattamente a questo. La Panda avrà delle sorelle, a cominciare da una nuova versione ancora più "cattiva" della 4x4, avrà contenuti ancora più fuoristradistici, per competere con quei grandi Suv che poi si fermano con tre centimetri di neve, ad eccezione delle Jeep ovviamente...».
Ma punterete sempre e solo al segmento A?
«Con il marchio Fiat stiamo ridefinendo la presenza all'interno dei nostri tradizionali segmenti quali il B ed il C e lo faremo con l'evoluzione della famiglia 500. Il segmento delle vetture compatte, in particolare, ha ormai perso la caratterizzazione mainstream e si sta sempre più trasformando con l'introduzione di Suv compatti e Crossover. Con 500X interpreteremo questa nuova tendenza con due diverse soluzioni».
Ma non avverrà una sovrapposizione con la 500L e la 500L Living?
«No. Siamo stati molto attenti allo stile, alle dimensioni e alle caratteristiche tecniche per differenziare le due macchine. Anche il profilo della clientela è totalmente differente».
Come intendete coprire la fascia B, quella della Punto?
«Anche nel segmento B stiamo assistendo a una profonda trasformazione. Tutte le Case faticano a raggiungere gli obiettivi con vetture tradizionali. La nostra strategia è quella di rispondere alle nuove tendenze ispirandoci al nostro modello più simbolico».
Ma allora il quinto modello che ha annunciato qual è?
«La 500 avrà, ovviamente, un'evoluzione che non stravolgerà lo stile esterno, l'elemento principale del suo successo globale, ma sarà rivoluzionaria nei contenuti».
E Lancia?
«Lancia continua ad avere una presenza importante in Italia, che si sta ampliando grazie alla nuova Ypsilon. Su questi risultati intendiamo continuare a focalizzarci cogliendo eventuali opportunità che si presenteranno nel resto d'Europa».
Quali novità nel futuro del marchio Jeep?
«Il 2014 sarà l'anno del brand Jeep: avremo importanti novità di prodotto con l'arrivo del Suv di segmento B prodotto a Melfi, del nuovissimo Jeep Cherokee e di alcune versioni speciali di Jeep Wrangler. Sarà il marchio che saprà darci grandi soddisfazioni anche in Europa».
L'argomento Alfa Romeo è tabù?
«Così come per il marchio Maserati, per avere successo il brand Alfa Romeo dovrà essere non solo attraente ma dovrà rappresentare lo stato dell'arte sotto il profilo tecnico. Ci muoviamo in questa direzione e la 4C ne è il primo esempio. La vera sfida rimane l'ingresso in America e il consolidamento in Asia».
La situazione europea, italiana in particolare, non la preoccupa?
«La crisi nel 2013 ha toccato il fondo sia in termini di caduta della domanda, sia per la competizione dei prezzi. Non ci siamo fatti trascinare in questa guerra perché avremmo ucciso il valore dei marchi. La nostra prima preoccupazione è stata quella di sostenere la rete di vendita che ringrazio perché ci accompagna e supporta con impegno. Non sottovalutiamo la gravità del momento, una buona percentuale delle reti di vendita chiude in perdita per il terzo anno consecutivo, faticando a trovare finanziamenti. Noi abbiamo, come tutti i costruttori, necessità di una rete sana che renda possibile il percorso da compiere. Ognuno farà la sua parte e anche la nostra rete di vendita dovrà subire una profonda trasformazione».
Lei si occupa anche di accordi internazionali: in Russia e in Cina si sono trovati i partner giusti?
«Per la Cina non c'è al momento nessuna novità di rilievo. In Russia il mercato dei veicoli commerciali è particolarmente interessante. Contiamo di finalizzare entro poche settimane un'importante collaborazione».
(Fonte: http://motori.corriere.it - 18/9/2013)

giovedì 19 settembre 2013

Wester: "Maserati investirà 1,5 miliardi di Euro entro il 2014". Incognite su Modena


«Abbiamo dato tutte le garanzie occupazionali». Ad affermarlo è Harald Wester, responsabile del marchio Maserati, in un incontro con la stampa a Francoforte dove il marchio ha presentato la Quattroporte Ermenegildo Zegna, in serie limitata. Il riferimento di Wester è allo stabilimento modenese di via Ciro Menotti, che da anni attende risposte concrete rispetto alle prospettive future, divenute ancora più incerte dopo che è stata ufficializzata la produzione, non solo della nuova Quattroporte e della Ghibli nello stabilimento torinese di Grugliasco, ma anche del nuovo Suv Maserati in quel di Mirafiori, sempre nel capoluogo piemontese. Per quanto riguarda lo stabilimento Maserati di Modena, Harald Wester ha detto infatti che non c'è nulla di cui preoccuparsi. «Le macchine che abbiamo lì in produzione - ha affermato - Gran Turismo e Gran Cabrio, vendono benissimo, stiamo facendo di tutto per mantenere i volumi e nel 2013 saranno leggermente più elevati di quelli dell'anno scorso. Abbiamo dato tutte le garanzie occupazionali». A Modena la produzione su cui si spera è quella dell'Alfa 4C, che si affianca a quelle della vecchia gamma (Gran Turismo e Gran Cabrio) i cui ordini si attestano a poco meno di 4500. Mentre si parla di 9500 per la nuova Quattroporte e circa 6400 per la Ghibli, entrambe prodotte a Grugliasco. «La produzione a Grugliasco sta procedendo in linea con le attese - ha spiegato Wester - e la capacità giornaliera tra i due modelli è di circa 135 unità al giorno, con un mix variabile tra Quattroporte e Ghibli. Maserati sta allargando la rete di vendita per raggiungere il target di 50.000 pezzi nel 2015: da 250 dealers di fine 2011 passerà a oltre 420 nel 2015». Ma si parla anche di investimenti, e importanti. Ma nessuno di questi riguarda Modena. «Maserati – ha spiegato Wester a Francoforte – investirà 1,5 miliardi di euro fino al 2014, di cui 600 milioni il prossimo anno», precisando che nella cifra è compreso solo in parte l'investimento da un miliardo previsto per Mirafiori, dove verrà prodotto il Suv Maserati, destinato ai mercati americano e cinese e la cui produzione dovrebbe iniziare dal secondo trimestre 2015. «È un sito storico – ha precisato il numero uno della casa del Tridente – per riavviarlo e dare lavoro alle persone c'è bisogno di un investimento strutturale che va al di là del prodotto». Ma non è tutto perché non si esclude che un secondo Suv Maserati possa essere prodotto nello stabilimento di Mirafiori. «Mirafiori – ha aggiunto Wester – ha prodotto un po’ di tutto e così ipoteticamente ci potrebbero essere due Suv a Mirafiori». La preoccupazione modenese è che gli investimenti su Torino possano in qualche modo disincentivare quelli su Modena, lasciando gradualmente (in assenza di annunci formali) morire il Tridente che domina in via Ciro Menotti. Ciò ancor di più dopo l'accordo firmato tra Fiat e sindacati nelle scorse settimane, al cui tavolo si era persino ipotizzato l'unificazione degli stabilimenti Maserati di Grugliasco e Mirafiori. «Portando alla nascita – sono state le parole di Roberto Di Maulo, segretario Fismic – a Torino del polo del lusso».
(Fonte: http://gazzettadimodena.gelocal.it - 12/9/2013)

mercoledì 18 settembre 2013

Mirafiori e Grugliasco polo unico per il lusso


Mirafiori e le Officine Maserati di Grugliasco saranno un'entità unica, con i loro 6.400 addetti che potranno lavorare indistintamente in uno stabilimento o nell'altro. Una sorta di "fusione", che Fiat ha avviato ieri, aprendo una procedura "articolo 47", che cioè prevede un trasferimento di ramo d'azienda. "Lo stabilimento Maserati viene inglobato dentro Mirafiori", traduce il segretario provinciale della Fim-Cisl, Claudio Chiarle. E spiega: "Questo accorpamento, oltre a snellire tutta la struttura aziendale, rende più efficienti i due siti produttivi, rafforza il progetto industriale torinese di Fiat e garantisce maggiori prospettive occupazionali". I sindacati che hanno firmato il contratto aziendale Fiat considerano l'avvio di questa procedura come la posa di una prima pietra nella costruzione del futuro "Polo del lusso" di Torino. Un polo, spiega Chiarle, "in cui ci sarà piena occupazione, volumi produttivi medi e non intensivi e alti margini di guadagno che potranno essere redistribuiti attraverso la contrattazione anche ai lavoratori". Vincenzo Aragona, leader della Fismic provinciale, aggiunge che la mossa è importante perché "rilancia non solo Mirafiori, ma tutti gli stabilimenti Fiat presenti nel Torinese così come le aziende dell'indotto, in cui lavorano 40 mila addetti". Già oggi ci sono circa 700 dipendenti di Mirafiori "imprestati" alle Officine di Grugliasco. La fusione dei due siti servirà appunto a rendere più fluidi questi passaggi e per gestire al meglio la cassa integrazione. Che poi è anche ciò che aspetta a buona parte delle tute blu di Mirafiori per il prossimo anno. Ieri infatti la Fiat ha anche avanzato la richiesta per un ulteriore periodo di "cig" straordinaria per riorganizzazione che protegga il reddito degli addetti delle Carrozzerie fino al 28 settembre del 2014. Dunque nella fabbrica di corso Tazzoli si continuerà a lavorare alla produzione dell'Alfa Mito (che però occupa solo una porzione della forza lavoro complessiva per appena tre giorni al mese), mentre buona parte delle tute blu resterà in "cassa" nell'attesa che venga allestita la nuova linea di produzione del Suv griffato Maserati. Tutto questo, però, andrà inserito in un accordo sindacale durante un incontro che verrà convocato dalla Regione nelle prossime settimane. Al faccia a faccia dovrebbero prendere parte anche i delegati della Fiom-Cgil: nei giorni scorsi la Fiat ha annunciato di voler riconoscere anche le rappresentane del sindacato guidato da Maurizio Landini e ieri ha inviato la richiesta di proroga di "cig" alle "Rsa di Mirafiori", come si legge nel documento. Nell'elenco dei destinatari figurano però solo le sigle del "sì" (ossia Fim, Fismic, Uglm, Uilm e AssoQuadri), ma manca la Fiom. Ecco perché il segretario torinese Federico Bellono rimarca che "non accetteremo convocazioni sperate da parte della Regione". E poi spiega: "L'annuncio dell'investimento da parte della Fiat è un fatto positivo. Ma è necessario un confronto con parti sociali e istituzioni, perché ad oggi l'unica certezza è un nuovo anno di cassa, mentre non sono indicati impegni precisi ed esigibili su modelli, volumi e tempi di realizzazione.
(Fonte: http://torino.repubblica.it - 6/9/2013)

martedì 17 settembre 2013

Marchionne: "Le Alfa Romeo saranno Made in Italy". Speranze per le fabbriche italiane?


AFFERMAZIONE NETTA - Le Alfa Romeo non verranno mai prodotte fuori dall’Italia. Parola di Sergio Marchionne, gran capo del gruppo Fiat. “È possibile che lo sarà, ma con un altro amministratore delegato della Fiat, non con me” ha precisato Marchionne in un’intervista al Financial Times in cui ha toccato un po’ tutte le questioni d’attualità per il gruppo Fiat. A proposito di Alfa Romeo, Marchionne ha anche fatto un ragionamento che suona un po’ come un’autocritica, magari non personale, ma per Fiat. “Se guardo alla storia e al DNA di Alfa Romeo - e le sue potenzialità sono legate al suo DNA - sono portato a pensare che nel passato le nostre ambizioni sono state sottodimensionate”.
LE QUALITÀ DEL MADE IN ITALY - In sostanza, nell’intervista al Financial Time Marchionne ha legato la sua strategia della produzione premium in Italia all’importanza dell’italianità della produzione. “Non ho alcun dubbio che l’origine della produzione è importante per Maserati. E io credo che sia importante anche per Alfa Romeo”. Ciò mentre non molto tempo fa, sia pure nell’ambito di polemiche con i sindacati, aveva affermato che ci vuole poco a spostare all’estero la produzione e che non ci saranno più investimenti Fiat in Italia se non ci sarà chiarezza sui rapporti tra azienda e sindacati. Non solo. Nell’intervista, a proposito dello stabilimento di Mirafiori a Torino, Marchionne ha dichiarato che il piano avviato prevede che tutto il personale dell’impianto (5 mila persone) rientri a lavorare nello stabilimento, dove verranno prodotte vetture “premium”. Dunque un atteggiamento determinato sulle prospettive italiane di Alfa Romeo e degli impianti di Mirafiori.
INTERROGATIVI - Magari si poteva sentire come si colloca nella visione "Alfa-Made-in-Italy" il fatto che per la futura spider la progettazione e la costruzione avviene assieme a Mazda che, apportando lei la piattaforma a trazione posteriore, non ha certo un ruolo secondario. Così come si sarebbe potuto sentire se si collocherebbe nell’ottica di italianità l’eventualità che Alfa Romeo vada a produrre modelli su piattaforme di origine Chrysler (nel caso che si decida di produrre modelli a trazione posteriore), ma meglio accontentarsi: la determinazione di Marchionne nel propugnare la produzione in Italia non è poco.
LE AZIONI CHRYSLER - Su un giornale che si chiama Financial Times non potevano poi mancare riferimenti alla vicenda della progettata acquisizione del 41,5% del pacchetto azionario di Chrysler, oggi in mano al fondo Veba dei sindacati americani. Come noto, è molto forte la divergenza sul prezzo a cui Fiat dovrebbe pagare le azioni. L’arbitrato del tribunale a quanto pare non arriverà prima del 2015 e, quindi, per Fiat occorre trovare un’altra soluzione, più rapida. Questa potrebbe essere l’acquisizione delle azioni sul mercato attraverso una Ipo (Initial Public Offering), cioè una offerta pubblica di acquisto. In questa ottica Marchionne ha detto che è tutto pronto per far entrare Chrysler in Borsa, dopo di che avviare l’offerta pubblica. Secondo Marchionne ciò potrebbe avvenire già in settembre. In questo contesto, da parte del Financial Times viene fatta una battuta sul “piano B” di Fiat, dicendo che persistendo lo stallo sulla prospettata totale acquisizione di Chrysler, forse la soluzione migliore sarebbe un assetto del tipo di quello esistente tra Renault e Nissan.
(Fonte: www.alvolante.it - 16/9/2013)

lunedì 16 settembre 2013

Marchionne conferma i modelli Alfa Romeo e ipotizza la quotazione di Chrysler nel 2014


"I modelli Alfa Romeo ci sono, li annunceremo al momento opportuno". Lo ha assicurato l'a.d. Fiat, Sergio Marchionne, rispondendo ai giornalisti, a margine di un evento al Comune di Torino in occasione della firma del protocollo d'intesa per il restauro del Faro della Vittoria, monumento donato alla città nel 1928 dalla famiglia Agnelli. All'evento ha partecipato, oltre al sindaco di Torino, Piero Fassino, anche il presidente del Lingotto, John Elkann, che ha dichiarato che con l'investimento da 1 miliardo annunciato su Mirafiori "Fiat-Chrysler conferma l'impegno che abbiamo preso alcuni mesi fa con le persone che lavorano" nel sito torinese. Elkann ha confermato il suo appoggio al manager italo-canadese. "Stiamo andando nella direzione giusta", ha affermato, precisando che "la strategia che Sergio Marchionne ha delineato, puntando su segmenti ad alto valore aggiunto, sta dando i primi frutti". Marchionne, rispondendo ai giornalisti a margine della cerimonia, ha confermato che l'accordo con il fondo Veba per rilevare il restante 41,5% di Chrysler è ancora lontano. "Le posizioni - ha spiegato - non si sono avvicinate, ma le trattative continuano". E ironizzando con i giornalisti ha detto: "Veba vuole 5 miliardi di dollari? Che comprino un biglietto della lotteria". Intanto si avvicina la data per la quotazione di Auburn Hills in Borsa. "Tecnicamente - ha spiegato Marchionne - l'Ipo di Chrysler è possibile entro fine anno, ma per i mercati sarebbe più probabile nel primo trimestre del 2014". "L'iter Sec - ha aggiunto - non è ancora partito, stiamo finalizzando il documento da presentare entro la fine del mese". Nel frattempo Cnh Industrial, il gruppo nato dalla fusione tra Fiat Industrial e Cnh, debutterà in borsa con tutta probabilità "l'ultimo lunedì del mese", ovvero il 30 settembre. Sul mercato dell'auto l'a.d. del Lingotto, che ha confermato di non essere andato al Salone di Francoforte per "impegni di lavoro", rimane pessimista. "Il mercato dell'anno prossimo - ha aggiunto Marchionne - non lo vedo in grandissimo miglioramento a livello europeo, certamente quello italiano non sarà granché". Marchionne è intervenuto anche sulla situazione politica. "Dobbiamo essere assolutamente convinti che la stabilità di qualsiasi sistema è essenziale per andare avanti", ha affermato. "Se continuiamo a cambiare il governo ogni sei mesi o 12 mesi - ha aggiunto - ovviamente non è un segno molto incoraggiante per gli investitori". Per Marchionne "senza esprimere giudizi politici, che a me non interessano per niente, credo sia importante dare a livello internazionale dei segni di stabilità che ci hanno portato a questo punto". Prima della firma sul documento per il restauro del monumento torinese, Fassino si è incontrato per la prima volta con i vertici del Lingotto dall'annuncio dell'investimento su Mirafiori. Nel corso del suo intervento il sindaco ha espresso "soddisfazione" per l'impegno manifestato da Fiat, aggiungendo che "questa città non ha mai creduto ai profeti di sventura, ma ha creduto e crede nella presenza a Torino del suo principale attore economico".
(Fonte: www.lapresse.it - 13/9/2013)

domenica 15 settembre 2013

Arese e il futuro dell'area ex-Alfa Romeo


Fiat potrebbe produrre i nuovi modelli Alfa Romeo all’estero. E cancellare un marchio punta di diamante dell’auto Made in Italy, nato più di cento anni fa. «Abbiamo le alternative necessarie per realizzare le Alfa ovunque nel mondo», è l’ultima minaccia di Sergio Marchionne. In Italia «le condizioni industriali rimangono impossibili», sostiene il numero uno di Fiat. La strada è tracciata. Le luci sullo stabilimento Alfa Romeo di Arese sono state spente da tempo. Inaugurata nel 1963, la fabbrica ha iniziato il declino 18 anni fa, dopo la chiusura da parte di Fiat degli stabilimenti e la cessione dei terreni. Qui si producevano modelli da leggenda: le Alfetta, le Nuove Giulietta, l’Alfa 6, Alfetta Gt e Gtv. La produzione si è fermata nel 2000. Il definitivo conto alla rovescia sui due milioni di metri quadrati dell’ex Alfa Romeo - una città nella città, più grande dell’ex Falck a Sesto San Giovanni - è cominciato a dicembre, quando i Comuni di Arese e Lainate hanno ratificato l’accordo con Regione Lombardia e proprietà dei terreni per cancellare la vocazione industriale dell’area. La reindustrializzazione in un lampo si trasforma in progetto immobiliare. Sulle ceneri dell’ex stabilimento motoristico nasceranno case e un gigantesco iper del gruppo Finiper di Marco Brunelli (marchi Iper e Unes). Il futuro si chiama Expo 2015. E il piano di riqualificazione dell’area, contestato dal territorio, avanza. Parte della struttura dove un tempo nascevano le auto del Biscione sarà riqualificata a quartiere polifunzionale, con un centro commerciale, uno residenziale e parcheggi per accogliere 4mila mila auto per l’Esposizione universale. Ora nell’ex tempio delle tute blu che, con i suoi 18mila e passa di operai era uno dei siti più produttivi di tutto il Nord Italia, sono chiuse tutte le portinerie, si entra solo dalla Ovest. Davanti ci sono ancora gli ultimi 40 operai sostenuti dallo Slai–Cobas che continuano a occupare le vecchie sedi sindacali dello stabilimento fantasma. L’area che affianca viale Luraghi ad Arese in parte è stata recintata, presto i camion cominceranno ad accatastare qui le prime macerie degli stabilimenti dismessi che lasceranno posto ai negozi. Dentro, i capannoni della meccanica, della tintoria, della carrozzeria cadono a pezzi. I lavori sono già in corso, da mesi sono all’opera le ruspe per demolire gran parte del vecchio e cominciare a costruire il nuovo. Il 30 aprile scorso sono state staccate le utenze a tutti i capannoni della Meccanica, primo passo verso la demolizione dell’ex stabilimento. I cantieri della grande trasformazione partiranno con la costruzione del centro commerciale di 77mila metri quadrati, per il quale è previsto un investimento di 350 milioni di euro. A maggio sono arrivati gli ultimi permessi per costruire. A regime, 3mila nuovi posti di lavoro nel terziario.
(Fonte: www.ilgiorno.it - 20/8/2013)

sabato 14 settembre 2013

Ecco il logo "Fiat with Expo Milano 2015"


In occasione della partita di calcio Italia-Bulgaria, vinta dagli Azzurri per 1-0 grazie al gol di Gilardino, ha debuttato il logo che unisce il marchio Fiat con quello dell’Expo Milano 2015. Ma andiamo a vedere i dettagli. Il nuovo logo sarà anche presente sulle vetture che Fiat-Chrysler fornirà all’Expo Milano 2015 per gli spostamenti all’interno dell’area dedicata all’evento e come "courtesy car" per le numerose delegazioni ospiti che arriveranno da ogni angolo del mondo. Il primo modello che sarà utilizzato dall’organizzazione sarà la 500L con motorizzazione a metano e diesel, ma nel corso del tempo saranno utilizzate altre vetture il cui lancio è previsto prima dell’inizio dell’Expo. La partnership prevede anche un contributo economico diretto e un investimento in comunicazione che prevede l’utilizzo del logo dell’Expo su tutta la comunicazione stampa dei marchi di FGA (Fiat Group Automobiles). Inoltre il Gruppo utilizzerà Milano e l’Expo come location ideale per molti eventi che saranno organizzati in occasione del lancio sul mercato di alcuni nuovi modelli. La partita di Palermo si è quindi dimostrata l’occasione ideale per mostrare l’impegno assunto dal Gruppo Fiat sia con l’Expo Milano 2015 sia con la Nazionale azzurra, due realtà concrete e forti che rappresentano il meglio del nostro Paese. Insieme a loro Fiat Group Automobiles, un grande gruppo imprenditoriale che da oltre un secolo accompagna l’evoluzione sociale, industriale e culturale dell’Italia, oltre a portare nel mondo l’eccellenza tecnologica e lo stile Made in Italy.
(Fonte: www.automobili10.it - 9/9/2013)

venerdì 13 settembre 2013

La critica: Coppini sulla "ricetta Marchionne"


Anche se può apparire paradossale, il vero timore di Sergio Marchionne è la possibile ripresa del mercato europeo dell’auto. I primi timidi segnali di una crescita delle vendite, infatti, sono già qualcosa più di un episodico sussulto. Una tendenza che rischia di cogliere l’amministratore delegato di Fiat con i pantaloni abbassati proprio nel momento in cui lo starter sta per lanciare il via. Dice Marchionne: “Inutile investire in nuovi modelli in un mercato in crisi. Perché nessuno li compra”. Un ragionamento che per la sua semplicità è destinato ad essere istintivamente condiviso. Perché fino ad ora “la fabbrica di auto che non fa le auto” è stata alla base di una strategia che ha prodotto invidiabili risultati di bilancio grazie al vantaggio non certo trascurabile di trasferire la contrazione degli investimenti che ne consegue in poste attive destinate a gonfiare il bilancio e la quotazione in borsa. Nel breve ed in una situazione di crisi, una mossa azzardata ma vincente. Eppure è solo un inganno, un sillogismo che parte da una premessa sbagliata. Perché  se la crisi cede il posto ad una ripresa che potrebbe essere anche impetuosa perché sette anni di contrazione delle vendite hanno caricato una potente molla di domanda, allora non bastano certo le variazioni sul tema della Panda e della Cinquecento a conservare un posto in Europa. La presenza di Fiat-Chrysler sul mercato del Vecchio Continente è ormai  marginale con una quota di poco superiore al 6% (che scende al 3% se si trascura la quota sul mercato interno), ben al di sotto di quella raggiunta da costruttori specialisti come BMW e Mercedes. Con il rischio che anche la stessa Fiat diventi uno “specialista” che, al contrario delle marche tedesche, finirà per caratterizzarsi non per l’attenzione al settore delle vetture premium ma per la concentrazione su utilitarie i cui margini di contribuzione non possono che essere modesti. Ma anche in questo campo la roccaforte del Lingotto da segni di cedimento. Ben più di quello che dicono i numeri, gonfiati dalle "Km 0" e dalle strategie commerciali chiamate a tamponare le carenze di nuovi modelli. Kia e Hiundai con incrementi del 50 e 60% in Italia negli ultimi anni e con quote in crescita in Europa dicono chiaramente che neppure il mercato delle piccole utilitarie potrà offrire un rifugio sicuro a Fiat. La tardiva attenzione di Sergio Marchionne per auto di alta gamma, alla riscoperta di un sillogismo che ha caratterizzato dagli anni '50 in poi il mercato U.S.A.: “grandi auto, grandi guadagni” si scontra con la crescente debolezza commerciale del gruppo. Perché giocare sul rinnovo della gamma farà pure inorridire il “saggio” Marchionne ma è anche vero che questo è il solo modo di mantenere in piedi una rete di vendita che, una volta persa, non si recupera più se non a prezzo di investimenti gigasnteschi i cui effetti si manifestano solo a tempi lunghi. Ed è su questo punto che deve fare i conti il recupero di un'Alfa Romeo, anche questo continuamente annunciato, scesa ormai al di sotto del 2% sul mercato italiano ed allo 0,6% in Europa. Anche un'Alfa Romeo degna di questo nome sarebe costretta a mettere in gioco il proprio prestigio nelle vetrine di un anonimo multimarca. Soprattutto all’estero, dove questi modelli dovrebbero trovare accoglienza. A tutto questo si aggiunga il progressivo dissolvimento della Lancia con un calo di vendite che nel 2013 sfiorerà il 65%. Con la sola Ypsilon a rappresentare la marca dopo il fallimento della Thema (in realtà una Chrysler in maschera) ed il bluff della Flavia, dove la personalizzazione Lancia della Chrysler 200 si è arrestata sul nascere senza neppure prendersi la briga di trasformare le indicazioni del tachimetro da miglia in km. Eppure nonostante la crisi il mercato europeo rimane fondamentale in quanto referenza tecnica e stilistica, determinante per conferire ai modelli quella autoreferenzialità prerequisito per il successo sui mercato orientali. In queste condizioni c’è da valutare se davvero questo risultato è il frutto di una cosciente volontà di spostare il baricentro del Lingotto dall’Italia agli U.S.A. e da Fiat a Chrysler, mantenendo una piccola quota in Europa, oppure se il risultato di una crisi di impotenza mascherata da raffinata strategia. Perché sarà pur banale per un manager la cui filosofia, per sua stessa ammissione, è ispirata a quella di Alice nel Paese delle Meraviglie, ma è incontrovertibile che il successo di un costruttore non può che dipendere dal prodotto. Se davvero si potesse essere competitivi solo grazie all’integrazione che Marchionne benedice come un segno della provvidenza, tra Fiat e Chrysler allora Volkswagen, solo per fare un esempio, dovrebbe essere fallita ed il suo presidente, Ferdinand Piech, rinchiuso in un ospedale psichiatrico alla stregua di un don Verzè qualunque. Anche perché si tratta di una integrazione, almeno per ora, del tutto posticcia basata essenzialmente sul trasferimento, tal quale, di marchi da una marca all’altra. Ora l’annuncio, l’ennesimo, di una nuova missione per Mirafiori, lo storico stabilimento Fiat le cui linee di produzione, ormai dedicate alla marginale Alfa Romeo Mito, sono operative per tre giorni al mese. Una missione di prestigio: un miliardo per la progettazione e la produzione di un Suv di alta gamma da vendere con il marchio Maserati. Tutti felici, politici e sindacati, perché Marchionne sarà pure debole sul prodotto, ma come incantatore di serpenti non lo batte nessuno. Lo stesso Landini ha avuto bisogno di 24 ore per farsi venire qualche dubbio. Perché in nessun modo un Suv di alta gamma, sia pure destinato al mercato mondiale, dall’Europa agli U.S.A., può saturare uno stabilimento in grado di produrre oltre 1000 vetture al giorno ed è altresì evidente che l’entità dell’investimento è del tutto sproporzionata se riferita ad un modello di nicchia che, c’è da scommetterci, sarà basato su una Chrysler Gran Cherokee (ex Mercedes GL) motorizzata con un propulsore "Made in Modena". Ma intanto l’annuncio è buono per estendere, senza per questo sollevare critiche, per altri mesi una cassa integrazione in deroga (e quindi a spese dello Stato) che ha abdicato alla sua funzione di provvedimento provvisorio per il superamento di una crisi transitoria per diventare un sussidio di disoccupazione per operai ormai rassegnati al prepensionamento. E se il programma, non sarebbe la prima volta, venisse ridimensionato (perché magari qualcuno alla Fiat potrebbe anche accorgersi che destinare tre stabilimenti - Bertone, Mirafiori e Modena - alla produzione di qualche decina di migliaia di vetture all’anno non è forse il massimo della razionalizzazione e del contenimento dei costi) Marchionne avrebbe comunque guadagnato altro tempo prezioso per perfezionare quell’acquisto della quota Chrysler in mano al sindacato americano che, presentato come una passeggiata, si sta rivelando una scalata impegnativa e piena di rischi per colpa di un sindacato-padrone ben deciso a monetizzare al meglio i sacrifici concessi per favorire la ripresa del marchio. Intanto, in balia delle decisioni che fanno della contraddittorietà l’unica logica interpretativa, l’Italia si colloca ormai alle spalle della Romania. E questa volta non basta la crisi a giustificare quello che è un vero e proprio disastro, visto che l’industria automobilistica britannica è in procinto di superare la produzione della Francia grazie al successo sul mercato cinese di Jaguar, Land Rover, BMW e Nissan, che in Inghilterra hanno siti produttivi nonostante si tratti di società che nulla hanno a che fare con quel Paese. Segno che la “ricetta Marchionne”, che mira a piegare il sindacato con l’applicazione di regole sempre più rigide e mette in primo piano la ricerca del contenimento dei costi attraverso la riduzione dei salari, non è quella più appropriata. Per questo Marchionne sceglie la strada della manicheizzazione dello scontro. Dividere il campo tra amici e nemici imputando a questi ultimi, veri o supposti, tutte le colpe. Una lotta all’ultimo sangue che non rispamia nessuno: Corte Costituzionale, Confindustria, sindacalisti, politici, prelati e manager, colpevoli solo di non volere chiudere gli occhi sulla situazione reale del gruppo, tutti vengono trasformati in testimoni a discolpa dell’uomo senza colpe.
(Fonte: www.blitzquotidiano.it - 6/9/2013)

giovedì 12 settembre 2013

Punto Street: continua la battaglia dei prezzi


Prosegue la promozione sulla Punto Street. La nuova versione lanciata per il ventennale di questo apprezzato modello (va per i 9 milioni di esemplari venduti in tutta Europa), ha riscosso un notevole successo e al quartier generale del Lingotto hanno deciso di prorogare la promozione. Per tutto il mese di settembre sarà quindi possibile acquistare la Punto Street al prezzo promozionale di 8.950 euro. La vettura è equipaggiata con il propulsore 1.200cc da 69 Cv, 3 porte, con radio e lettore Cd Mp3, comandi al volante, climatizzatore e sistema Esp con Hill Holder al prezzo. In alternativa, sempre sulla stessa motorizzazione, con l’aggiunta di 1.600 euro è possibile acquistare la versione top di gamma Lounge con le 5 porte comprese nel prezzo. Inoltre, sull’allestimento Lounge l’offerta è completata dai pack Comfort e Techno, che sono proposti con un vantaggio per il cliente superiore al 60% del prezzo di listino. La Punto è una vettura che ha dato molte soddisfazioni alla Casa torinese e al Lingotto sono convinti che potrà continuare ancora ad essere apprezzata, come confermano gli ultimi dati: “Sebbene circoli sulle strade di tutta Europa da ormai vent’anni, la Punto continua a essere sempre molto apprezzata, tanto che ad agosto è tornata a essere la vettura più venduta in Italia con quasi 3.500 immatricolazioni e una quota nel segmento B del 20,8%, in costante crescita negli ultimi mesi: oltre 2 punti percentuali in più da maggio a oggi. In Italia la Fiat Punto è venduta negli allestimenti Street e Lounge, con carrozzeria a 3 o 5 porte, otto motorizzazioni, quattro differenti alimentazioni (benzina, diesel, metano e Gpl) e tre pacchetti di optional – Comfort, Techno e Sport Look – che permettono un altissimo livello di personalizzazione con significativi vantaggi economici per gli acquirenti”. A sostegno della promozione commerciale prosegue anche la campagna pubblicitaria, con lo spot televisivo che racconta la libertà di un viaggio emozionante a bordo della Punto.
(Fonte: www.repubblica.it - 6/9/2013)

mercoledì 11 settembre 2013

Fassino su investimenti a Mirafiori: "Nuove certezze per operai e aziende dell'indotto"


"Siamo di fronte ad un passo significativo da parte dell'azienda. Fiat aveva subordinato l'investimento di Mirafiori sia agli esiti della crisi del mercato automobilistico, che rimane acuta, sia ad aspetti normativi e contrattuali. Questioni che rimangono sul tavolo, ma nonostante questo il Lingotto ha deciso di andare avanti. Un passaggio che attendevamo da tempo e da tempo sollecitavamo ". Il sindaco di Torino, Piero Fassino, è tra quelli che non hanno mai esasperato i toni con Fiat negli ultimi due anni, lavorando piuttosto "per creare le condizioni perché l'azienda continui a mantenere a Torino unodei poli strategici".
Sindaco, oggi può dire: avevo ragione?
"Non si tratta di avere torto o ragione. Negli ultimi due anni ho letto e sentito troppi pregiudizi e preconcetti su Fiat. Ho sempre ritenuto insensato dare per scontato un abbandono di Torino da parte di Fiat-Chrysler e una chiusura di Mirafiori. E mi sono mosso per creare le condizioni migliori per una permanenza e uno sviluppo del gruppo qui. Mi è sembrato l'atteggiamento più sensato e gli impegni di oggi mi confortano".
La Fiom invita alla prudenza e a non lasciarsi andare ad entusiasmi. Cosa ribatte?
"Non mi ascrivo né tra gli entusiasti né tra gli scettici, rimangocon i piedi per terra e traggo solo le conseguenze degli impegni presi, che fino a ieri non erano né certi né scontati".
Quali sono?
"In primo luogo si deve dare atto a Marchionne e al gruppo dirigente di dare il via agli investimenti su Mirafiori nonostante la crisi e le incertezze normative, dopo quelli già realizzati alla ex Bertone di Grugliasco. Altro aspetto è la mole finanziaria che Fiat-Chrysler impegnerà su Torino: 1 miliardo. È il gruppo privato che sta impegnando più risorse in Piemonte e nel Paese, fugando tutti i timori e le paure che si potessero smantellare gli stabilimenti in Italia. Investimenti che partiranno domani mattina, visto che l'uscita del Suv Maserati è prevista per il primo semestre 2015. C'è poi la conferma che Torino si consoliderà come il polo del lusso, con i marchi Maserati e Alfa Romeo. Una scelta ambiziosa in un segmento del mercato importante e meno esposto ai rischi rispetto a quello di fascia medio-bassa".
Fiat ha anche annunciato che accetterà la nomina dei delegati Fiom rispettando la sentenza della Consulta. Vede dei rischi in questo ritorno?
"No, è un'altra buona notizia. È importante che Fiat abbia deciso di rispettare la sentenza. Il ritorno della Fiom è positivo e, dopo la conferma degli investimenti, auspico che si apra una nuova fase nelle relazioni sindacali. La Fiom accetti di essere coinvolta nelle trattative insieme alle sigle che hanno firmato le intese, Cisl, Uil e Fismic".
Cosa significa per Torino questo annuncio?
"Restituire certezze di lavoro e futuro a migliaia di persone e a tantissime imprese dell'indotto. Una scelta che consolida il ruolo strategico di Torino nel gruppo Fiat-Chrysler e nell'industria automobilistica mondiale. Torino si conferma uno dei grandi hub dell'auto su scala internazionale e un investimento di questa portata da parte di un costruttore finale consolida la forza di centinaia e centinaia di aziende che producono componenti e sistemi".
(Fonte: http://torino.repubblica.it - 5/9/2013)

martedì 10 settembre 2013

Fiat Viaggio: prime foto della due volumi


Se ne parla da più di un anno, ora ve la possiamo far vedere: ecco le prime, esclusive fotografie della variante a due volumi della Fiat Viaggio. La presentazione di questo nuovo modello, secondo alcune fonti, potrebbe avvenire già al Salone di Guangzhou, in Cina appunto, il prossimo mese di novembre.
Non per noi - Non ci sono evidenze, tuttavia, che la Viaggio hatchback possa approdare nei saloni dei concessionari europei: dal Lingotto smentiscono eventuali piani per importare la vettura dalla Cina, com'era stato ipotizzato negli scorsi mesi. Dopo l'avvio promettente, l'assestamento delle vendite sui mercati locali - dove Fiat-Gac vende circa tremila Viaggio al mese - avrebbe in qualche modo frenato gli entusiasmi, confinando quindi la vettura e le sue derivate (sarebbe confermata pure una due porte coupé) ai soli mercati asiatici, nonostante in fase di sviluppo abbiano tenuto in considerazione le normative europee. Lo stabilimento di Changsha, infatti, ha una capacità produttiva di 140.000 unità all'anno, che la sola Viaggio non sembra essere in grado di saturare: c'è pertanto spazio sia per un opportuno allargamento della gamma sia per la produzione locale delle Jeep, il cui accordo è stato raggiunto poche settimane fa.
Oltre i 4,5 metri - La Viaggio a due volumi avrà anche il frontale differente da quello del modello originario e un aspetto complessivamente più dinamico. Prevista anche una versione sportiveggiante con assetto ribassato, cambio a doppia frizione con paddle al volante e motore più pronto. Rispetto al modello che conosciamo, che misura 4,679 metri, la lunghezza della due volumi dovrebbe essere di circa 10-15 centimetri inferiore, attestandosi poco oltre i quattro metri e mezzo.
(Fonte: www.quattroruote.it - 4/9/2013)

lunedì 9 settembre 2013

Fiat-Chrysler, fusione al rallentatore


Si allungano i tempi del progetto di fusione tra Fiat e Chrysler. Il fondo previdenziale Veba, titolare del 41,5% delle azioni di Chrysler, ha chiesto al tribunale del Delaware di rinviare al gennaio 2015 la fase dibattimentale del contenzioso legato al valore della quota del gruppo U.S.A. in proprio possesso. Fiat, invece, continuando a premere sull'acceleratore, si è espressa affinché l'udienza sui termini dell'accordo di call option su 54mila azioni Chrysler ancora in mano al Veba inizi nel prossimo mese di maggio. Se il giudice Donald Parsons dovesse accettare l'istanza di Veba, il Lingotto si troverebbe costretto a rinviare ulteriormente il progetto di fusione con la controllata del Michigan. La proposta di Veba intende «portare la questione al dibattimento entro un termine ragionevole che consenta alle parti e al tribunale di procedere a un ritmo adeguato», hanno spiegato gli avvocati del fondo in una lettera depositata presso la Corte del Delaware. Lo scorso luglio il giudice Parsons non aveva voluto stabilire un valore per l'esercizio della prima opzione call di Fiat sul 3,3% circa di Chrysler senza avviare un dibattimento tra le parti. La sentenza emessa aveva, comunque, sposato in alcune parti le richieste del Lingotto, in particolare su due punti centrali: i debiti di Chrysler comprendono anche il bond da 4 miliardi di dollari emesso nel 2009 a favore dello stesso Veba e l'ebitda di Fiat usato per calcolare il multiplo della stessa Casa automobilistica italiana deve comprendere anche la quota di risultato di competenza del socio di minoranza di Chrysler. Il giudice del Delaware, pur fornendo in tal modo indicazioni sui limiti dell'esborso in capo a Fiat, non aveva stabilito l'esatto ammontare del valore da pagare, non disponendo pertanto a Veba di consegnare le azioni a causa di questioni ancora aperte sull'interpretazione di alcuni punti controversi del contratto. In base al contratto del 2009, Fiat ha un'opzione per acquistare da Veba il 16,6% di Chrysler in tranche semestrali del 3,32% circa. Torino ha già esercitato i propri diritti di prelazione su tre opzioni salendo così, potenzialmente, al 68,5% del capitale di Chrysler dall'attuale 58,5 per cento. Fiat ha offerto per la prima tranche circa 140 milioni di dollari a fronte dei 342 milioni pretesi da Veba e, di conseguenza, si è rivolta al tribunale. Stabilendo il prezzo della prima tranche, infatti, si avrebbe la possibilità di quantificare il valore del 100% di Chrysler senza ricorrere al mercato attraverso un'offerta pubblica iniziale.
(Fonte: www.ilgiornale.it - 6/9/2013)

domenica 8 settembre 2013

Il bello della crisi (e del successo dei marchi "low cost"...): giù i prezzi delle auto nuove


"In periodi di crisi come questo le case automobilistiche gettano la spugna e abbandonano l'atavica abitudine di ritoccare verso l'alto i listini dei propri modelli". Così la Dat-Italia, azienda leader nel settore dell'analisi dei listini, analizza il difficile momento che sta vivendo il mondo dell'auto, dando un taglio molto particolare all'analisi. “Non si può continuare a 'misurare la febbre' del mondo dell'auto – spiega infatti l'ingegner Antonio Coppola, Direttore Generale Dat Italia – solo con l'andamento delle immatricolazioni, anche perché ovviamente sappiamo tutti come questi dati vengono immancabilmente falsati del fenomeno dei "Km 0". Da qui la necessità di avere analisi più approfondite come quelle che la Dat Italia propone mese dopo mese”. Ma cosa dice nel dettaglio l'analisi? Da gennaio a luglio 2013 gli aumenti sono stati pochissimi, con appena cinque modelli che hanno subito variazioni superiori al 2 per cento (Kia Cee'd SW 4,3%, Kia Cee'd 4,3%, Nissan Note 2,7%, Ford KA 2,3%, Renault Laguna III Grandtour 2%). "Ci sono poi altre due modelli - spiegano alla Dat-Italia - peraltro già con prezzi molto concorrenziali (Chevrolet Orlando e Ford Fiesta) che hanno aumentato i listini dell'1,7% e per il resto solo piccoli aggiustamenti di prezzi, spesso compensati da un notevole arricchimento della dotazione di serie come spiegato in tabella. E, per finire, nel periodo gennaio-luglio 2013 non sono neanche mancate clamorose riduzioni di listino come il taglio dell'1,1% del prezzo della Dacia Duster, del 2,2% della Volvo V40 Wagon (che diventa del 2,4% nel caso della V40 Cross Country), del 2,6 della Yaris, del 3,9 della Twingo e di tante altre. Fino ad arrivare al clamoroso meno 10,6% sul listino della Ford Mondeo, sia pure giustificato dal fatto che la vettura è a fine serie".
(Fonte: www.repubblica.it - 4/9/2013)