venerdì 31 gennaio 2014

I commenti sulla Chrysler 200 "Made in Fiat"


Se ne parla tanto e ne abbiamo parlato tanto anche noi, suscitando reazioni a volte molto accese, nonostante la Chrysler 200 non arrivi in Italia. Ma allora che cos'ha d'importante questa berlina a 3 volumi italo-americana? Si tratta del primo modello a debuttare sul il mercato U.S.A. dopo la recente fusione al 100% di Chrysler in Fiat; un mercato maturo ma che è stato capace di riprendersi. In questi giorni, poi, Sergio Marchionne ha parlato proprio dal Salone di Detroit del futuro dei marchi Alfa Romeo, Fiat e Lancia, ora che si sono sbloccati circa 9 miliardi di Euro da investire in nuovi modelli. L’a.d. ha confermato che gli sforzi si concentreranno sul rilancio del marchio del Biscione, con buona pace dei lancisti, che dovranno quindi aspettare per una nuova Lancia Delta (sperando che non venga abbandonata del tutto l’idea di un remake della HF Integrale...). Ma cosa pensano gli americani di questa nuova Chrysler, controllata al 100% dagli “italiani di Fiat”? Per il New York Times la nuova 200 è “l’ultima di una serie di berline medie Chrysler di scarso successo”, ora ispirata all’Audi A7: “If you've seen the fastback Audi A7, you've seen the 200”. Per Bloomberg “le berline medie sono come gli smartphone: due aziende dominano e il margine di errore è incredibilmente basso (pensate a come sono andate le cose per BlackBerry). Chrysler ha lavorato bene, ma non abbastanza per impensierire le migliori concorrenti: Ford Fusion, Chevrolet Malibu, ma soprattutto Honda Accord e Toyota Camry, contando anche la crescita della Kia Optima”. Secondo Forbes, “la console centrale è innovativa, ha un vano portaoggetti passante, una sorta di stazione di ricarica che stupisce per la qualità dei materiali: sembra di toccare un mobile di pregio”. Un concessionario Chrysler, infine, dopo 45 anni di attività commenta: “Quest’auto s’inserisce in un segmento di mercato molto difficile, ma non possiamo sbagliare proprio adesso: la competizione è semplicemente troppo serrata”. Tornando al presente, nella scheda tecnica della Chrysler 200 spicca il cambio automatico a 9 rapporti della tedesca ZF (al debutto in questo segmento), mentre sotto le linee morbide ed eleganti - dunque abbastanza tradizionali - c’è un abitacolo che vuole stupire con effetti speciali. La strumentazione, in particolare, è completamente digitale: lo schermo da 7 pollici full-LED a colori riprende l’interfaccia degli smartphone, come l’iPhone. Al centro c’è poi il display dell’infotainment Uconnect da 8,4 pollici.
(Fonte: www.omniauto.it - 14/1/2014)

giovedì 30 gennaio 2014

29/1/2014: nasce Fiat Chrysler Automobiles


Fiat Chrysler Automobiles. Questo il nome del settimo gruppo automobilistico mondiale nato dall’unione fra il Lingotto in Italia e Auburn Hills negli Stati Uniti. Lo ha deciso il consiglio di amministrazione del gruppo presieduto da Jonh Elkann e guidato dall’amministratore delegato Sergio Marchionne. FCA (questo il nuovo acronimo del gruppo) avrà come previsto sede legale in Olanda e sede fiscale in Gran Bretagna, mentre le azioni verranno quotate a New York e Milano. «Speriamo di arrivare alla quotazione a New York entro il primo ottobre, stiamo lavorando», ha detto Marchionne. Riguardo alla sede fiscale una nota del Lingotto precisa che «la scelta non avrà effetti sull’imposizione fiscale cui continueranno ad essere soggette le società del gruppo nei vari Paesi in cui svolgeranno le loro attività». La proposta approvata dal consiglio di Fiat prevede che gli azionisti di Fiat ricevano un’azione FCA (Fiat Chrysler Automobiles) di nuova emissione per ogni azione Fiat posseduta e che le azioni ordinarie di FCA siano quotate al New York Stock Exchange (NYSE) con un’ulteriore quotazione sul Mercato Telematico Azionario (MTA) di Milano. Il completamento dell’operazione sarà soggetto a un numero limitato di condizioni, tra cui l’ottenimento della quotazione al Nyse e quella che l’esborso massimo derivante dall’esercizio da parte degli azionisti di Fiat dal diritto di recesso, nonché da eventuali esercizi dei diritti di opposizione dei creditori, non ecceda 500 milioni di euro. La quotazione sull’MTA di Milano avverrà dopo l’inizio della quotazione al NYSE. «La nascita di Fiat Chrysler Automobiles segna l’inizio di un nuovo capitolo della nostra storia - ha commentato Elkann - Il viaggio che è iniziato più di dieci anni fa con la ricerca di soluzioni che assicurassero a Fiat il proprio posto in un mercato sempre più complesso è culminato nell’unione di due organizzazioni, ognuna con una grande storia nel panorama automobilistico, ma con caratteristiche e punti di forza geografici differenti e complementari. FCA ci permette di affrontare il futuro con rinnovata motivazione ed energia». Decisamente soddisfatto Marchionne. «Oggi è una delle giornate più importanti della mia carriera in Fiat e Chrysler - ha detto - Possiamo dire di essere riusciti a creare basi solide per un costruttore di auto globale con un bagaglio di esperienze e di competenze allo stesso livello della migliore concorrenza». E ancora: «Cinque anni fa abbiamo iniziato a coltivare un sogno di cooperazione industriale a livello mondiale, ma anche un grande sogno di integrazione culturale a tutti i livelli. Abbiamo lavorato caparbiamente e senza sosta a questo progetto per trasformare le differenze in punti di forza e per abbattere gli steccati nazionalistici e culturali. Ora possiamo dire di essere riusciti a creare basi solide per un costruttore di auto globale con un bagaglio di esperienze e di competenze allo stesso livello della migliore concorrenza. L’adozione di una struttura di governance internazionale e le previste quotazioni, che miglioreranno l’accesso del gruppo ai mercati globali con evidenti vantaggi finanziari, completeranno questo progetto. Particolare importante: tutte le attività che confluiranno in Fiat Chrysler Automobiles, ha annunciato il Lingotto, «proseguiranno la propria missione, compresi naturalmente gli impianti produttivi in Italia e nel resto del mondo, e non ci sarà nessun impatto sui livelli occupazionali». FCA ha spiegato che le scelte societarie fatte oggi, in particolare quella sulla sede legale, nascono da necessità e opportunità derivanti dal fatto che, con l’unione di Fiat e di Chrysler, si viene a creare un grande gruppo automobilistico internazionale presente in tutto il mondo. «L’attuale organizzazione in quattro regioni operative - è stato spiegato - continuerà a essere l’asse portante della nuova società».
(Fonte: www.lastampa.it - 29/1/2014)

mercoledì 29 gennaio 2014

Cassino (2): asse con Fiumicino (Alitalia) per il rilancio italiano?


Cassino, Fiumicino. Distanti in linea d'aria 136 chilometri lo stabilimento Fiat e l'aeroporto potrebbero diventare l'asse del rilancio dell'economia non solo del Lazio, ma del Paese. Il tutto all'insegna della gamma alta, dove si fanno i soldi veri, e della specializzazione presente da sempre nel polo a Sud della Capitale. Non si tratta di un libro dei sogni (anche perché tutto è affidato a capitali e strategie private) ma di un futuro che pare dietro l'angolo. Protagonisti, il conglomerato Fiat-Chrysler, destinato ad essere un produttore globale: fabbricare ovunque per esportare ovunque. Ed Etihad, la compagnia di Abu Dhabi, in trattative per la maggioranza di Alitalia non solo come socio industriale per far sopravvivere l'azienda, ma per rivoluzionarla e rilanciarla sui voli intercontinentale, in particolare verso e dal Nord America. Andiamo con ordine. Conquistato il 100 per cento di Chrysler, Sergio Marchionne ha annunciato una rivoluzione commerciale e produttiva che punta su tre gamme: le piccole di lusso, cioè la 500 e derivate che stanno sfondando in America; i suv con in testa il passepartout mondiale di Jeep; e le Alfa Romeo, un marchio anch'esso amato nel mondo, che ha solo bisogno di essere rispolverato e dotato di motori degni della tradizione. Motori che il top manager ha detto, e ripetuto all'apertura del Salone di Detroit, «non dovranno più essere Fiat, ma Alfa», che verranno anche prodotti in collaborazione con la Maserati, indicando esplicitamente Cassino quale principale sito produttivo: «Cassino è strutturalmente e per capacità lo stabilimento più adatto al rilancio dell'Alfa Romeo». Ciò significa che dalla fabbrica inaugurata nel 1972 per le 126 e altri modelli popolari dovrebbero uscire le future auto del Biscione un tempo fabbricate ad Arese, destinate alla riconquista degli U.S.A. dopo i fasti della Duetto di Dustin Hoffman nel Laureato. Ma oltre alla gloria servono soldi e lavoro, e anche qui i numeri tornano. Oggi da Cassino escono già delle Alfa, 100 mila Giulietta l'anno, ma la capacità è di 250 mila auto. I dipendenti, 3.900 rispetto ai 4.500 degli anni d'oro, sono rientrati dalla cassa integrazione con un orizzonte migliore; e con loro un indotto di 8-10 mila lavoratori, che non ha mai mollato. Spostiamoci poco più a Nord e immaginiamo Alitalia e Fiumicino se andrà in porto l'arrivo di Etihad. Anche qui lasciamo parlare un diretto interessato: Giovanni Castellucci, amministratore delegato di Atlantia, la holding dei Benetton che è sia azionista di Alitalia sia socio di controllo di AdR, cioè di Fiumicino. «Dove va il mondo - dice - lo si è visto all'Air Show di Baharain, dove le tre compagnie del Golfo hanno annunciato il raddoppio delle flotte e delle rotte. Ma attenti a giudicare gli arabi solo in termini di dollari e petrolio: essi portano anche una qualità e una capacità strategica molto alte». Etihad è all'inseguimento di Emirates, basata a Dubai, la miglior compagnia mondiale. L'obiettivo sono le rotte atlantiche e il Nord Europa; Alitalia potrebbe essere il passaggio intermedio. Quello finale lo sbarco a Fiumicino, da trasformare in hub globale. Per l'aeroporto sono già previsti 2,5 miliardi di investimenti di AdR fino al 2021, e 12 miliardi fino al 2044, per passare da 38 a 100 milioni di passeggeri. Ma questo con l'Alitalia in mano francese e lo scalo sussidiario a Parigi e Amsterdam. Se Roma diverrà la porta d'Occidente degli sceicchi, la musica cambierà ad un ritmo che forse non riusciamo neppure ad immaginare e quei 136 chilometri potrebbero davvero trasformarsi in una "golden valley".
(Fonte: www.iltempo.it - 14/1/2014)

martedì 28 gennaio 2014

Cassino (1): da qui il rilancio di Alfa Romeo?


Il rilancio tante volte annunciato, e per sua stessa ammissione fin qui sempre fallito, oggi gli deve per forza riuscire. O Sergio Marchionne non centrerà l’ultima e ormai unica sfida cui in tanti lo aspettano: dimostrare di essere uomo d’industria, oltre che mago delle trattative. E soprattutto, al di là dell’ego: o la vince, la sfida, oppure addio Alfa Romeo. E conseguente asse portante di quella «rivoluzione premium» senza la quale il braccio italiano di Fiat-Chrysler rischia di non avere futuro. Perciò sono due anni almeno che lui boccia progetti su progetti, li rimanda agli ingegneri, riconvoca i designer, ingoia le critiche sui ritardi. La Giulia, per dire, l’aveva promessa per il 2014. Arriverà solo (forse) a 2015 inoltrato. In mezzo, un’infinità di piani gettati nel cestino: «Questa non è un’Alfa», era la regolare sentenza del big boss. «Questa non è un’Alfa» - o non era: anni a lavorarci sopra e i risultati stanno arrivando - a partire dai motori. Si erano abituati da una vita, a Torino, a mettere sotto il cofano gli stessi propulsori Fiat. Peccato non sia quello che vogliono gli alfisti, e meno ancora quel che si aspettano gli americani. Per carità, le Fiat nel frattempo di strada ne hanno fatta, e parecchia. Al Lingotto qualche motore da manuale (e da premi internazionali) hanno continuato a inventarlo. Solo che l’alfista non lo schiodi. Anche giovane, anche se delle Giulia e Giulietta e spider che furono il top negli anni Sessanta ha solo sentito parlare da genitori e nonni, pretende esattamente quello. Motori «cattivi». Assetto aggressivo. Scatto, velocità, ruote incollate alla strada. Naturalmente dall’interno di una carrozzeria altrettanto riconoscibile. Ora. Più di un passo in Alfa c’è stato. Gli obbrobri dell’Arna d’epoca Iri, pensata solo per dare al Mezzogiorno l’illusione di un lavoro in realtà gonfiato dai sussidi, per fortuna non li ricorda quasi nessuno. Ci ha messo parecchio ma, dall’auto che il Biscione l’ha portato a tanto così dalla chiusura (e al passaggio alla Fiat, spinta allora soprattutto dal fantasma Ford), il Lingotto è risalito. A un soffio dal rilancio si è più volte avvicinato. La 156, a fine anni Novanta, gli alfisti li ha riconquistati. La Giulietta è un successo dal 2010. La Mito un po’ di giovani li ha agganciati. Però era, è tutto lì. Perché in fondo a Torino non ci hanno mai creduto né (neppure nell’era Marchionne) investito davvero. Il risultato è che le 100 mila auto, suppergiù, vendute nel 2013 sono quel che l’Alfa vendeva nell’Italia del 1969 (e un quinto dell’obiettivo iniziale dello stesso Marchionne). Il brand glorioso, oggetto del desiderio della concorrenza, continua a bruciare milioni e milioni. Può finire, il brutto copione. C’è almeno un miliardo in arrivo. Servirà solo per cominciare, e ricalibrare gli impianti: dopodiché, dicono gli analisti, su gamma e distribuzione occorrerà metterne minimo altri quattro in cinque anni. La partita però è iniziata. Si gioca tra Torino, Modena, Cassino. Al Lingotto c’è la regia: Marchionne non butta più interi piani tra la carta straccia, le nuove Alfa cominciano a «essere» Alfa. A Modena, ben protetto dallo stabilimento Maserati, c’è il team project che in trasferta, nel «capannone fantasma» cui il leader Fiat-Chrysler ha accennato in un’intervista, mette a punto sceneggiatura e cast: dal design ai motori - ma non equivocate sull’annunciata «collaborazione con Ferrari»: non si andrà oltre le tecnologie e qualche componente in comune - si dà forma all’input inderogabile del big boss. Ossia, come ricordato da Detroit: «Alfa Romeo ha caratteristiche proprie e architetture completamente “Alfa”. È essenziale tornare lì, al suo Dna, per tornare sui mercati internazionali». Infine, Cassino. Dove il film prenderà forma. Le auto del Biscione sono, anche, stile italiano, per cui «solo in Italia saranno prodotte, almeno finché sarò io l’amministratore delegato». E se la fabbrica laziale era rimasta l’unica senza una mission, c’è un’unica ragione (tentazioni U.S.A. a parte): è la più adatta, sotto ogni profilo, a produrre per il nuovo corso, ma cosa produci se il progetto non c’è? Ora che i ritardi «a monte» sono finiti, finirà anche l’attesa «a valle». L’Alfa del «ritorno al Dna», con qualche lussuosa contaminazione Ferrari e Maserati, arriverà dal frusinate. Alla Giulietta che già produce Cassino aggiungerà la Giulia e la relativa station wagon. Se la giocherà con Torino, poi, per il resto della new generation: ammiraglia e Suv hanno, sulla carta, maggiori sinergie con le piattaforme di Grugliasco-Mirafiori. A tutti, e a Marchionne per primo, questa volta è però vietato sbagliare. Non salterebbero soltanto una fabbrica e un marchio. Salterebbe buona parte della strategia di rilancio Fiat-Chrysler in Italia. L’ultima chance, oggi, non è ultima solo per l’Alfa.
(Fonte: www.corriere.it - 16/1/2014)

lunedì 27 gennaio 2014

La nuova Ferrari di Formula 1 si chiamerà F14T: omaggio a Fiat prima della fusione?


Nasce online la nuova Ferrari, alla presentazione trasmessa in diretta sul sito della scuderia di Maranello. Si chiama F14-T e il nome lo hanno scelto un milione di persone in rete. Certo, un omaggio all’anno in corso, al numero scelto da Alonso per correre, ma soprattutto una geniale mossa pubblicitaria – anche se non si può dire – in cui la “effe-quattordici-turbo” si presenta come F14T e si legge FIAT. Altro accorgimento, quello di giocare con numeri e lettere, mutuato dal linguaggio della rete. Molto diversa per obbligo e per volontà dalla F138 dello scorso anno, la sessantesima monoposto costruita dalla Ferrari, nome identificativo interno del progetto 665, è unanimemente considerata anche molto bella. Se sarà anche veloce e capace di tenere lo si vedrà solo in pista, a partire dai primi test a Jerez della Frontera dal 28 al 31 gennaio. Esteticamente spiccano la banda laterale bassa nera sulla nuovissima scocca di carbonio e il muso, molto largo e schiacciato a terra per rispettare l’altezza massima di 18 cm senza dovere aggiungere appendici vari. Poi tutta una serie di modifiche tecniche, dai freni allo scarico, dal telaio alla trasmissione, da integrare con il motore turbo imposto dal regolamento – come non accadeva dal 1988 - che ha prodotto un cambiamento radicale nella progettazione di tutte le macchine per la stagione 2014. Nuova la macchina, nuovo il direttore tecnico James Allison e parte dello staff agli ordini del dg Stefano Domenicali, sono vecchie invece molte delle facce tra chi è rimasto, chi è ritornato e chi non se ne è mai andato, come il presidente Luca Montezemolo che ha dettato la linea per il nuovo anno. “E’ una squadra rinnovata, concentrata, con due piloti molto forti, veloci, consistenti in gara, esperti, sanno che devono correre non per loro stessi ma soprattutto per la Ferrari – ha detto Montezemolo – Domenicali ha molto rinnovato la squadra, sono convinto che ci siano le condizioni per fare bene. Siamo stufi di arrivare secondi, siamo gli unici al mondo di cui quando arrivano secondi si parla di fallimento, ho chiesto ai miei di mettercela tutta, ho molta fiducia. Aspettiamo le prime prove per avere un vero quadro della situazione, ma sono convinto che già nelle prossime settimane si vedranno i veri valori in campo e vorrei una Ferrari ai massimi livelli”. “Sono passati un po’ di anni da quando sono qui, e speriamo che questo 2014 vada bene e sia la volta buona – ha detto invece Fernando Alonso – ci sono stati cambiamenti delle regole, che modificheranno lo stile di guida e siamo tutti curiosi di vedere come andremo. Io e Kimi la coppia migliore? Io e lui abbiamo avuto successo in passato, ma ora si parte da zero, se non facciamo tutto perfettamente un altro team ci starà davanti”. Ottimista, come in ogni presentazione che si rispetti, anche il suo nuovo compagno di squadra Kimi Raikkonen: “È stato bello tornare alla Ferrari dopo tanti anni, siamo qui per vincere il titolo, abbiamo fatto un grande lavoro per questo. Siamo la squadra più forte, dobbiamo esserlo, entrambi vogliamo vincere, aspiriamo tutti al massimo risultato e credo che saremo abbastanza veloci per vincere il titolo”.
(Fonte: www.ilfattoquotidiano.it - 25/1/2014)

domenica 26 gennaio 2014

La critica: contro Fiat-Chrysler e la "mobilità insostenibile"


Considerati tutti i trend di esaurimento risorse, sconvolgimenti climatici derivanti dall’uso di combustibili fossili, inquinamento, congestione delle città, cementificazione, la peggiore cosa da fare in assoluto è rilanciare l’automobile come mezzo di trasporto. Non ha alcun senso da nessun punto di vista. In Italia il mercato è saturo, ormai anche i cani e i gatti hanno le loro automobili, difficile venderne ancora e difatti il mercato (fortunatamente) è in calo. A livello mondiale la concorrenza è assai agguerrita.  Perché allora con tutti i soldi che Fiat-Chrysler ha, le competenze, le tecnologie, le persone, non prova a produrre qualcosa di diverso e di più intelligente? Soluzioni e possibilità da percorrere domani mattina ce ne sarebbero. Se gli piace tanto l’automobile almeno lanciassero quella elettrica oppure  potrebbero puntare sul trasporto pubblico che sarà il protagonista dei prossimi anni o fare della micro cogenerazione che hanno addirittura inventato loro dove avrebbero campi di intervento sterminati o ancora puntare al settore delle rinnovabili dove si ritroverebbero immediatamente leader a livello mondiale, hanno un intero paese del sole su cui intervenire. Agendo in questo modo inoltre si creerebbero moltissimi nuovi posti di lavoro, altro che licenziamenti, ricatti ai lavoratori e casse integrazioni. Invece niente di tutto ciò: le rinnovabili a Fiat-Chrysler sono pressoché sconosciute, hanno chiuso Irisbus unica fabbrica che faceva mezzi pubblici, sulla macchina elettrica addirittura l’ex ministro dell’Ambiente Clini aveva polemizzato con Marchionne perché l’utilizzo dei fondi pubblici per lo sviluppo di questo settore non aveva prodotto alcun risultato apprezzabile, la micro cogenerazione è stata messa in un cassetto dalla metà degli anni settanta per non fare un dispetto all’Enel. E la ciliegina sulla torta è che, per ammissione dello stesso Marchionne, Fiat-Chrysler punterà sul rilancio di Alfa Romeo e Maserati, cioè automobili costose che non hanno certo nei bassi consumi la loro forza. Quindi Fiat-Chrysler fa esattamente tutto il contrario di quello che servirebbe per una politica industriale di mobilità sostenibile, anzi direi proprio che fa tutto il contrario anche solo di una politica industriale che abbia un minimo di senso e lungimiranza. Per quale motivo allora si deve ancora pensare a questa industria come ad orgoglio e vanto nazionale? Perché la si deve supportare con fiumi di denaro pubblico se la sua politica è contro le persone e l’ambiente? Di questo passo continuando a produrre automobili si passerà direttamente da Ferrari al mulo e tutto ciò grazie ad imprenditori e politici che ci riporteranno se va bene alle carrozze a cavallo, se va male all’età della pietra. I veri nemici del progresso sono questi signori che si credono dei grandi manager ma non hanno una minima idea di futuro e vivono costantemente nel passato, un passato fatto di motori dell’ottocento e che obbediscono all’unico credo che hanno: profitto per pochi e danno per tutti.
(Fonte: www.ilcambiamento.it - 17/1/2014)

sabato 25 gennaio 2014

Zetsche: "Non temiamo Fiat-Chrysler"


Marchionne? Bravo, ma noi non temiamo la competizione del nuovo gruppo Fiat-Chrysler”. Parola di Dieter Zetsche, indiscusso numero uno della Mercedes, che a Detroit è di casa, nel vero senso della parola, perché era lui a capo della Chrysler all’epoca della fusione con Daimler. Una storia che non portò bene alla Casa di Stoccarda, tra continue cause civili dei vecchi azionisti americani di Chrysler (il più aggressivo fu il popolare magnate Kirk Kerkorian) e una fusione che non decollò mai. Alla fine la Daimler dell’ex numero uno Jurgen Schrempp si ritrasse, perdendo svariati miliardi di dollari. Per Zetsche, però, non andò male e prese il posto di Schrempp. Daimler oggi tira che è una bellezza, Mercedes va a gonfie vele, negli Usa è tornata leader tra i costruttori premium e presto conterà su 5 stabilimenti produttivi. La nuova Mercedes Classe C sarà costruita a Tuscaloosa, in Alabama. Ma anche a Chrysler non è andata male, risollevata da Fiat e dall’’amministrazione Obama che ha fortemente sostenuto il nuovo corso. “Marchionne è stato bravo a realizzare i suoi piani, sia per Chrysler che per Fiat e potranno far bene – ha detto al Salone di Detroit Dieter Zetsche – ma non temiamo la loro concorrenza, lavoriamo in segmenti diversi e noi ci sentiamo molto sereni della nostra leadership nel segmento”. Ma il sospetto è che un po’ di mal di pancia a Zetsche sia venuto. Per allontanarlo, la promessa di altre vittorie. Come in Formula 1: il gran capo della Mercedes ha detto che l’obiettivo del team per il 2014 è vincere il mondiale di Formula 1. Le tre vittorie e le otto pole position che i piloti Hamilton e Rosberg hanno ottenuto nel 2013 non bastano più, “il nostro obiettivo è vincere il titolo mondiale piloti e costruttori”, ha detto Zetsche ad Auto Motor und Sport.
(Fonte: www.tgcom24.mediaset.it - 16/1/2014)

venerdì 24 gennaio 2014

Jeep: prime foto della B-Suv camuffata


Dopo le numerose foto spia dei muletti con la carrozzeria della Fiat 500L viste nei mesi scorsi, ecco da Torino le prime immagini di un esemplare - ovviamente camuffato - della Jeep B-Suv, la sport utility compatta che sarà prodotta nello stabilimento Fiat di Melfi, in provincia di Potenza, assieme alla Fiat 500X.
Segni particolari - Dalle immagini si possono scorgere alcuni stilemi caratteristici della Casa americana, come il profilo del passaruota e le bombature dei parafanghi che s'intravedono sotto il pesante rivestimento della camuffatura, oltre, naturalmente, alla griglia anteriore. Più difficile, invece, capire la reale forma dei fari. Dalle immagini ci è parso di scorgere la presenza del differenziale posteriore, a conferma della presenza della trazione integrale, tratto imprescindibile dello storico marchio di Toledo, Ohio.
Debutto a Ginevra - Nessuna indiscrezione è trapelata circa il nome della futura baby Jeep, dopo che lo stesso Sergio Marchionne ha smentito categoricamente dal Salone di Detroit l'ipotesi "Jeepster". Quello che si sa per certo è che la nuova, attesissima vettura sarà presentata ufficialmente al Salone di Ginevra 2014, dal 6 al 16 marzo. 
(Fonte: www.quattroruote.it -22/1/2014)

giovedì 23 gennaio 2014

Fiat perfeziona l'acquisto della quota di Veba e sale al 100% di Chrysler


Fiat, attraverso la società interamente controllata Fiat North America, ha completato l'annunciata acquisizione dell'intera partecipazione detenuta dal Veba Trust in Chrysler Group, società che è ora interamente controllata da Fiat. Il corrispettivo per l’acquisizione, spiega Fiat in una nota, è così suddiviso: un’erogazione straordinaria pari a 1.900 milioni di dollari corrisposta da Chrysler Group ai propri soci il 21 gennaio 2014; il pagamento da parte di FNA al Veba Trust di un importo pari a 1.750 milioni di dollari. Fiat ha provveduto al pagamento di 1.750 milioni di dollari attraverso l’utilizzo di liquidità disponibile. In contemporanea con queste operazioni, Chrysler Group e la International Union, United Automobile, Aerospace and Agricultural Implement Workers of America (Uaw) hanno sottoscritto un memorandum d’intesa a integrazione del vigente contratto collettivo di Chrysler Group ai sensi del quale sono previste ulteriori contribuzioni da parte di Chrysler Group al Veba Trust per un importo complessivo pari a 700 milioni di dollari in quattro quote paritetiche pagabili su base annua. La prima quota è stata versata in concomitanza con il closing dell’operazione con Fiat. Nel contesto delle suddette operazioni e nei tempi tecnici necessari, FNA e il Veba Trust ritireranno in via definitiva l’azione legale dinanzi al Court of Chancery del Delaware relativa all’interpretazione del contratto di call option.
(Fonte: www.italiaoggi.it - 21/1/2014)

mercoledì 22 gennaio 2014

Fiat-Chrysler: 2013 in chiaroscuro in Europa


"Fiat-Chrysler in Europa, pur continuando a essere penalizzata dal risultato negativo del mercato italiano, ha immatricolato nel 2013 quasi 741 mila vetture per una quota del 6 per cento. Ultimo mese dell’anno positivo con le vendite in crescita del 2,3 per cento. Da segnalare i risultati raggiunti dal gruppo nel Regno Unito (vendite in crescita del 12,2 per cento) e in Spagna, registrazioni a +13,7": così a Torino commentano i dati di mercato europei di oggi. Nel dettaglio sono in aumento le consegne per il brand Fiat in tutti i major market, crescono Jeep in Germania (+3,8 per cento nell’anno) e Regno Unito (+58,3 per cento a dicembre), Lancia in Francia (+24,9 per cento a dicembre) e Alfa Romeo nel Regno Unito (+7,9 per cento a dicembre). 500, Panda e 500L sono le vetture più vendute dei loro segmenti. Le prime due detengono insieme una quota superiore al 27 per cento nel segmento A, la 500L ha una quota nel suo del 17,2 per cento. Nell’Europa dei 28 più le nazioni aderenti all’EFTA il mercato chiude il 2013 in calo dell’1,8 per cento rispetto all’anno precedente, con oltre 12 milioni 300 mila immatricolazioni. Positivo il risultato ottenuto a dicembre, con 948 mila registrazioni, il 13 per cento in più rispetto a un anno fa.
(Fonte: www.repubblica.it - 16/1/2014)

martedì 21 gennaio 2014

S&P: rating di Chrysler su a "BB-", come Fiat


Il primo gennaio Fiat ha annunciato l'accordo con il fondo Veba per rilevare l'ultimo 41,5% di Chrysler Group per 4,3 miliardi di dollari e arrivare al pieno controllo del colosso di Detroit. Dieci giorni più tardi Standard & Poor's ha confermato il rating del Lingotto e ora, considerando Chrysler una "controllata core" di Fiat, ha alzato la valutazione della casa automobilistica americana da "B+" a "BB-", con outlook stabile. In questo modo le due società, che vanno verso la piena integrazione una volta che l'operazione sarà completata, secondo le previsioni il 20 gennaio, avranno valutazione identica. "Consideriamo ora Chrysler una controllata core e quindi diamo rating uguale. Già in passato avevamo definito Chrysler una controllata "altamente strategica" di Fiat e crediamo che le attività delle due aziende saranno ulteriormente integrate", si legge nel comunicato dell'agenzia di rating. S&P prevede inoltre che Chrysler "probabilmente genererà una significativa maggioranza dei profitti del gruppo nel 2014" e ritiene che la valutazione su management e governance sia ora "soddisfacente" (prima era "fair", giusta), esattamente come quella di Fiat. Il livello di liquidità è "adeguato", mentre il profilo di rischio aziendale è "weak", debole, mentre il profilo di rischio finanziario, se si considera solo Chrysler, è "aggressive", aggressivo. A incidere sul profilo aziendale di Chrysler è la sua "limitata diversificazione geografica" e una reddititività che, "sebbene migliorata è ancora inferiore a quella delle concorrenti". S&P precisa comunque che "Chrysler beneficia di una buona quota di mercato in Nord America", circa l'11,5% nel 2013 stando ai dati di AutoInfoBank e "la previsione è che la mantenga per i prossimi due anni".
(Fonte: http://america24.com - 12/1/2014)

lunedì 20 gennaio 2014

Berta: perché Fiat-Chrysler deve ringraziare il "rottamatore" Marchionne


Un “rottamatore dell’industria italiana”, perché ha cambiato radicalmente un modo di operare per fare una vera e propria rivoluzione. E’ il giudizio espresso sull’ad di Fiat Sergio Marchionne e sull’operazione Chrysler da Giuseppe Berta, storico dell’industria che insegna alla Bocconi di Milano, esperto di Fiat e autore di numerosi saggi sull’argomento tra cui “Le idee al potere. Adriano Olivetti tra la fabbrica e la Comunità”, “Mirafiori”, “Conflitto industriale e struttura d’impresa alla Fiat, 1919-1979″.
Sergio Marchionne è il vero "rottamatore"?
Sì, perché in un certo senso ha cambiato un modo di operare per attuare una vera e propria rivoluzione così come ha fatto da dieci anni a questa parte, mutando il processo di configurazione del comparto auto.
L‘accordo con Chrysler era l’unica prospettiva possibile, industriale e globale, per un’azienda prossima al fallimento? 
Fiat ha rispecchiato, se vogliamo, il trend dell’Italia ma anticipandolo. Sin dagli anni Novanta era entrata in numeri negativi, non avendo più la capacità di produrre utili attraverso le automobili. Dunque la strada imboccata da Marchionne è obbligata, dal momento che sapeva benissimo cosa avrebbe potuto fare e cosa no. Quando realizzò l’alleanza con Gm, Fiat era consapevole del fatto che si sarebbe potuta salvare solo acquisendo una dimensione internazionale e quindi globale. Un passaggio che è stato inevitabile. Ciò che ha fatto Marchionne è di calare questa operazione all’interno del mercato americano, la cui crisi è stata convertita in opportunità.
Lo spostamento quasi certo della sede a Detroit sarà indolore?
Mi pare di capire che Marchionne sarà costretto ad uno scambio tra passare il quartier generale a Detroit e mantenere al contempo una forte caratterizzazione su alcuni punti di qualità. In questo senso credo che sarà indolore, perché alla perdita del pur rilevante ruolo complessivo derivante dalla sede corrisponderebbe il mantenimento in Italia di funzioni altamente qualificanti.
Perché è azzeccata la scelta manageriale di puntare sulla fascia “premium” di Maserati e Alfa Romeo?
Come ho scritto nel mio nuovo libro che uscirà a breve per Einaudi, quello è un passaggio obbligato per l’intera industria italiana che se vorrà rivoluzionarsi ed evolversi dovrà puntare sulle fasce più alte: lì dove si concentrano i numeri maggiormente rilevanti e abbandonando invece la produzione di massa su cui la concorrenza da altre parti del mondo è forte e per noi insormontabile.
Si parla già della successione di Marchionne: questa con Chrysler potrebbe essere stata la sua ultima operazione?
Le ultime dichiarazioni ci rivelano che l’ad lascerà Fiat al compimento del 65esimo anno di età, anche se forse avrebbe voluto lasciare prima. Comunque è chiaro che dovrà guidare il gruppo ancora per qualche anno, ma non intende assumere un impegno per un periodo troppo lungo. Nel giugno del 2017 compirà 65 anni e dovrebbe portare a compimento il nuovo piano industriale. Circa il suo successore Marchionne ha già detto con una battuta che non importa di dove sia, conta che parli l’inglese: vuol dire chiaramente che sarà un manager internazionale. Probabilmente proveniente dall’azienda americana.
(Fonte: www.formiche.net -15/1/2014)

domenica 19 gennaio 2014

Germania "no": i fallimenti di Mercedes (Chrysler), BMW (Rover) e VW (Suzuki)


Il recente colpaccio di Marchionne, che ha riportato alla ribalta un Paese come l’Italia che ultimamente viene soltanto saccheggiato dalle imprese straniere, mi ha suggerito un ripensamento che va oltre la Fiat ma si riferisce alle difficoltà che i pur bravissimi tedeschi hanno sempre quando si debbono rapportare con partner di altre nazionalità. Il confronto con Chrysler è impietoso: se il Gruppo italiano è stato abile e convincente anche agli occhi degli americani, che hanno fatto buon viso a cattivo gioco anche all’assoggettamento, il buco nell’acqua di Mercedes stride fortemente. I tedeschi hanno gettato un mare di quattrini, hanno provato in tutti i modi a colonizzare le maestranze a stelle e strisce quasi avessero di fronte non gente che ha inventato l’automobile (perlomeno nella produzione e nella diffusione di massa) bensì dei trogloditi alle prime armi, e poi si sono ritirati con la coda tra le gambe arrossendo come dei principianti maldestri. L’arroganza tedesca ha fatto grandi danni anche ai tempi dell’acquisizione di Rover da parte di Bmw. Alla fine tanti i soldi persi dal Gruppo di Monaco e la scomparsa di un’azienda che se prima era moribonda, poi è irrimediabilmente deceduta. Chi è meno giovane ricorderà la vicenda e tutte le polemiche dell’epoca che sfociarono da un lato in un ulteriore motivo per gli inglesi di dire no all’Euro e dall’altro in una profonda crisi per l’azienda bavarese con tre membri della presidenza che vennero licenziati in tronco, pagando di persona per i miliardi perduti in Gran Bretagna. Infine anche l’alleanza di Volkswagen con Suzuki è finita a carte bollate. Convinti di comandare in casa d’altri, i manager di Wolfsburg si sono dovuti rassegnare all’orgoglio del vecchio Osamu Suzuki che si è ribellato ai diktat dei soci di minoranza e senza tanti mezzi termini li ha mandati a quel paese ricordando ai tedeschi che nel suo piccolo, che piccolo non è proprio, la Suzuki produce quasi 3 milioni di veicoli all’anno ed è presente in ben 139 mercati nel mondo. La morale che se ne può trarre è che sulla bravura dei tedeschi nel fabbricare ottime automobili non ci piove, mentre sulle loro capacità di fare alleanze e gestire le situazioni restano sempre grosse perplessità, non fosse altro che per la difficoltà congenita che hanno nel relazionarsi con il prossimo, considerato puntualmente suddito e nulla più.
(Fonte: http://viamazzocchi.quattroruote.it - 8/1/2014)

sabato 18 gennaio 2014

Germania "sì": Audi punta sui neolaureati italiani (e Fiat-Chrysler?)


“Già oggi il 50 per cento delle automobili nell’Europa occidentale e il 20% in Cina è tedesco. Le nostre hanno un’ottima reputazione mondiale e le prospettiva per il 2014 sono senz’altro di crescita”. Così la scorsa settimana si espresso Matthias Wissman, presidente della Verband der Automobiliindustrie, l’associazione che riunisce gli industriali tedeschi dell’automobili in un’intervista al quotidiano Passauer Neuen Presse. In realtà, nonostante la Frankfurter Allgemeine Zeitung parli di “tempi d’oro”, i dati riguardo la domanda interna tedesca non sono proprio positivi: rispetto al 2012, c’è stato un calo di circa tre milioni di immatricolazioni in Germania. L’ottimismo di Wissman è però sostenuto da tre dati: il primo riguarda il più 5,4% di nuove auto vendute a dicembre 2013 rispetto lo stesso mese dell’anno scorso. Il secondo riguarda la crescita dei nuovi paesi emergenti dove la domanda di auto europee, e tedesche in particolare, è in continua crescita tanto che, anche per essere più vicini ai mercati, si stanno sviluppando nuovi stabilimenti di produzione in Messico (Audi), Stati Uniti (Volkswagen e Daimler), Brasile (Bmw) e Russia e Cina (sempre Volkswagen). Il terzo è quello degli investimenti in ricerca e sviluppo sostenuti dall’industria automobilistica tedesca, mai così sostanzioso come nell’anno appena passato, ben 23mila e 500 milioni di euro. “Nessun altro settore investe così tanto e ci aspettiamo che il dato cresca ancora quest’anno visto l’impegno che le nostre aziende stanno sostenendo per migliorare mobilità elettrica e la connettività. Il nostro spirito di innovazione è la chiave del successo nel lungo periodo e assicurerà posti di lavori in Germania”. L’auto tedesca si prepara quindi a nuove sfide. E per farlo ricorrerà anche a giovani ingegneri e tecnici italiani. E’ partito da poco la selezione StartUp Europe Italy, un programma di qualificazione aziendale di 24 mesi lanciato dal gruppo Audi (che significa anche Volkswagen, Ducati, Lamborghini e Italdesign Giugiaro). I primi selezionati inizieranno il prossimo aprile con un periodo di tre mesi presso una delle aziende italiane del Gruppo, seguito da 21 mesi in una delle sedi Audi o Volkswagen in Germania integrati da un corso di tedesco ad hoc. L’obiettivo, come spiega Thomas Sigi, membro del Consiglio di Amministrazione per le Risorse Umane Audi Ag è di “dare l’opportunità a giovani laureati italiani di partecipare a progetti interessanti e di perfezionarsi a livello internazionale. Esauriti i due anni di di formazione professionale ci saranno ottime possibilità di essere assunti a tempo indeterminato presso Audi AG”. Secondo Luca de Meo, membro del consiglio di amministrazione per le vendite e il marketing Audi: “Con questa iniziativa aumentiamo il nostro impegno in Italia in qualità di datori di lavoro: il gruppo Audi già da anni lavora in stretta collaborazione con le sue imprese italiane, grazie a un profondo rapporto di fiducia“. E aggiunge: “Allo stesso tempo, con l’aumentare dell’internazionalizzazione è per noi sempre più importante acquisire personale qualificato con un buona formazione alle spalle e con un background interculturale”. Il progetto di pescare anche dall’Italia arriva dopo le fortunate esperienze del gruppo Audi con spagnoli e portoghesi dove lo StartUp Europe è iniziato già nel 2012 e che ha dato finora più di 150 ingegneri e tecnici al gruppo automobilistico tedesco. Mentre Fiat va negli Stati Uniti (“diventerà sempre più americana” è la previsione del der Spiegel), la Germania viene da noi.
(Fonte: www.ilfattoquotidiano.it - 8/1/2014)

venerdì 17 gennaio 2014

L'asse Torino-Detroit dieci anni dopo


Corsi e ricorsi. È proprio il caso di Fiat, che entro il 20 gennaio dovrà chiudere l'operazione che la porterà al 100% di Chrysler. Esattamente 10 anni dopo un'altra storica seconda decade «gennarina»: il 24 gennaio 2004 era la data fissata dall'Avvocato Agnelli per la cessione di Fiat a General Motors. Così si era deciso tra Milano e Detroit nel marzo del 2000, quando il presidente del Lingotto Paolo Fresco e quello di Gm, Rick Wagoner, si accordarono per cedere il 20% di Fiat Auto contro il 5,15% di Gm, con il diritto di opzione (put) a favore del gruppo torinese per vendere il restante 80% a partire dal 24 gennaio 2004. In seguito le cose andarono in maniera differente. Fiat iniziò a precipitare nella crisi più nera e Gm, già dal 2003, cominciò a nicchiare. La data del «put» slittò di un anno e la partita finì nelle mani di Sergio Marchionne, sbarcato al Lingotto nel giugno 2004. Il «put» fu il suo primo banco di prova. E con un gran bluff Marchionne dichiarò che gli accordi erano quelli, anche a costo di far decidere il tutto da un arbitrato. In realtà aveva capito che Gm avrebbe fatto di tutto per non comprarsi la Fiat. Così fu: piuttosto che accettare il «put», Wagoner lo comprò, versando a Marchionne oltre 1,5 miliardi di euro per uscire dalla Fiat. Quindi oggi Fiat compra Chrysler proprio 10 anni dopo la data prevista per cedere la stessa Fiat a General Motors. Corsi, ricorsi e un paio di considerazioni. La prima è sul lavoro di Marchionne: la Fiat italiana bruciava miliardi di cassa 10 anni fa e continua a bruciarli oggi. Ma l'ad del Lingotto ha invertito del tutto il senso di un'alleanza americana: da Detroit che nel 2004 doveva mangiarsi Torino, a Torino che 10 anni dopo si prende Detroit. La seconda riguarda il futuro trasferimento della sede Fiat in U.S.A.: è nelle cose, ma a decidere sarà l'ad della Fiat, non quello di General Motors come avrebbe dovuto essere già da 10 anni.
(Fonte: www.ilgiornale.it - 8/1/2014)

giovedì 16 gennaio 2014

Salone di Detroit: Marchionne a tutto campo


Il ritorno al "dna" dell'Alfa Romeo, ma anche il debutto dell'ibrido negli States con un nuovo minivan Chrysler. A Detroit, l'ad di Fiat-Chrysler Sergio Marchionne ha risposto alle domande dei giornalisti stranieri definendo le priorità del dopo-acquisizione.
Il quartier generale - Marchionne è tornato sulla scelta della sede del Gruppo, confermando che il tema, assieme al nome e agli aspetti organizzativi, verrà affrontato durante il cda del prossimo 29 gennaio. Una decisione non semplice: "Dobbiamo essere molto attenti nell'individuare il nostro quartier generale", ha detto l'ad, sottolineando che il Gruppo opera ormai in tutto il mondo. Optare per gli U.S.A., o l'Italia, o altrove, resta comunque una decisione "del board". Eppure, lo stesso Marchionne riconosce il dilemma: se da un lato, infatti, Chrysler ha tutto il suo peso economico, con gli U.S.A. a fare da sponda privilegiata per "attirare capitali", l'anima italiana, "per la sua storia e le capacità tecniche, ha il diritto di amministrare Ferrari e Alfa Romeo". Insomma, il nodo non sarà semplice da sciogliere.
Il Biscione - Molto più chiara, invece, è la "visione" del percorso che dovrebbe portare alla consacrazione di Alfa Romeo come marchio premium. Marchionne immagina vetture "leggere, incredibilmente belle e dai motori eccezionali: lavoriamo con discrezione – ha detto l'ad – Dobbiamo tornare al dna del marchio". E a un giornalista-appassionato, che chiedeva più dettagli, Marchionne ha risposto così: "Avremo un portafoglio nuovo di zecca. Nel 2015 faremo tante Alfa quante ne potrà comprare". Da Fiat non si deriverà più nulla, mentre per i propulsori Marchionne ha confermato che sarà utilizzato il "know how Ferrari". Infine, essenziali per l'esportazione dei gioielli del Biscione saranno i mercati di U.S.A. e Cina.
I minivan ibridi - Pur restando scettico sull'elettrico ("abbiamo la 500 venduta in California, perdiamo 14 mila dollari ogni volta che ne vendiamo una", è il leit motiv), Marchionne ha spiegato che ibrido ed emissioni zero sono "strategici" per il mercato U.S.A.: non a caso, il 2016 sarà l'anno in cui il Gruppo introdurrà le tecnologie ibride sui veicoli a stelle e strisce. "Stiamo individuando i modelli più appropriati, saranno minivan". Il primo, questo è già certo, avrà il simbolo Chrysler. Lontana l'Europa: Marchionne non vede sinergie tra la tecnologia ibrida e i segmenti più piccoli diffusi nel vecchio continente. L'investimento previsto in U.S.A., comunque, è di oltre un miliardo di dollari, anche se non è ancora stato deciso dove si terrà la produzione.
Wrangler e Jeep - Oltre alla rinascita dell'Alfa, l'altro obiettivo che Marchionne ritiene fondamentale per il 2014 è "l'internazionalizzazione di Jeep: dobbiamo portarla ovunque nel mondo", Cina, Brasile. "Abbiamo bisogno di una quota di mercato più ampia nel segmento D – ha sottolineato l'ad – La Cherokee ce la può fare, i numeri di dicembre sono incoraggianti e impiegheremo molte risorse per il suo posizionamento". Altro tema "caldo", la Wrangler: "Ne ho una – ha detto Marchionne – Ridisegnarla è la cosa più pericolosa che si possa fare. Dobbiamo aggiornare stile e design, ma senza toccare i fondamentali o stravolgere la natura del veicolo". Le decisioni, in merito, verranno prese nei primi mesi del 2014, ma per le nuove implementazioni serviranno un paio d'anni.
Il diesel negli U.S.A. - Per Marchionne, l'anno decisivo sarà il 2018. E per il suo successo negli States, l'ad intende usare al meglio il know how di Fiat, "storicamente un grande sviluppatore di motori diesel: la tecnologia è fenomenale, mi piace, siamo continuamente al lavoro per migliorarla anche sotto il profilo ambientale", ha aggiunto il manager.
Gli orizzonti - Insomma, per l'ad c'è molto da fare, anche se rispetto ai "tempi bui" del 2008-2009, oggi l'industria automotive U.S.A. è "un mondo completamente diverso: due dei tre colossi erano quasi morti e ora sono tornati con una nuova leadership. Per noi è stato un viaggio di 5 anni con risultati fenomenali: dobbiamo proteggere ciò che abbiamo e non possiamo sbagliare". In ogni caso, il futuro resta nebuloso: "Ora stiamo bene, sicuramente sopravviveremo – conclude Marchionne – ma se nel medio-lungo termine ci troveremo in un range ideale ancora non mi è chiaro. Puoi essere piccolo e bellissimo se vendi Ferrari, non berline di larga diffusione. È come essere un pesciolino in un mare di squali".
(Fonte: www.quattroruote.it - 13/1/2014)

mercoledì 15 gennaio 2014

Fiat-Chrysler: caccia a un nuovo partner?


Il grande risultato è centrato, ma non ci si può certo riposare. Incassato l’acquisto di Chrysler a condizioni senza dubbio favorevoli, al salone casalingo di Detroit Sergio Marchionne anticiperà le future mosse. Alcuni passaggi sono scontati, altri un po’ meno. Ma tutti sono di fondamentale importanza. Archiviato l’imminente closing dell’accordo con Veba, si lavorerà per l’ambita fusione e poi per la quotazione a Wall Street. Come ha dimostrato l’operazione CNH, modellare l’azienda sullo scenario globale può accrescere il valore e questo è un obiettivo strategico non solo degli azionisti. È sicuramente questo il lavoro più rilevante fatto da Marchionne. Prima dello scoppio dell’ultima grande crisi in America (era il 2008) che poi ha avuto le ripercussioni peggiori in Europa e, soprattutto, in Italia, il valore dell’azione Fiat con tutte le attività di CNH già in pancia era sceso ad appena 3,5 euro. Oggi, dopo 5 anni in cui quasi tutto nel nostro paese è precipitato, il titolo vale circa il doppio senza contare la scorporata Industrial (prima si chiamava Fiat ora CNH) che a New York capitalizza oltre 20 miliardi di dollari (circa 15 miliardi di euro). Marchionne non potrà certo sottrarsi al nuovo piano industriale triennale, con tanto di ennesimo programma di rilancio Alfa. Il timoniere del Lingotto ha dimostrato che quasi sempre centra gli obiettivi dichiarati, ma dove con più frequenza non è stato preciso è nel rispetto dei target produttivi (le famose 300 mila Alfa e 100 mila Lancia l’anno). Ogni volta, però, è riuscito abilmente a spostare i riflettori, cambiando le carte in tavola o, addirittura, lo scenario: gettandosi sulla Chrysler nella primavera del 2009 è chiaro che il futuro sarebbe stato diverso da quello ipotizzato. E anche questa volta il manager potrebbe tirare fuori una mossa a sorpresa. Con l’incorporazione di Auburn Hills il Lingotto è diventato il settimo costruttore del mondo. I 4 milioni di veicoli l’anno è un target ormai alle spalle, il prossimo ipotizzato per competere con gli altri giganti del settore è di 6 milioni. Un’asticella difficile da raggiungere con l’assetto attuale, come sarebbe stato impossibile far diventare Fiat un player globale senza Chrysler, un’avventura che pochi altri avrebbero avuto il coraggio di affrontare. Ecco quindi che torna in ballo l’ipotesi di una nuova alleanza o, più difficile, di un’acquisizione. Anche perché rivali ben più grandi si sono mossi in questa direzione per potenziare le sinergie e coprire nel modo migliore lo scacchiere globale e non dipendere dalle fasi down dei singoli mercati (nell’ultimo periodo hanno volato Cina e America, che ha spinto Chrysler, e ha pianto l’Europa). Nell’assemblea degli azionisti in occasione dei risultati finanziari 2012, Marchionne aveva ipotizzato la probabile conquista di Chrysler entro l’anno spiegando come sarebbe avvenuta e accennando alle mosse successive. Per mettere le mani su Auburn Hills l’investimento non sarebbe stato ingente ed era sufficiente la liquidità disponibile. Poi però nella ristrutturazione dell’azienda non aveva affatto escluso, forse per ridurre il debito che ora appare consistente, un eventuale aumento di capitale o la dismissione di asset non strategici (aveva blindato la Ferrari). Fiat ha abbastanza le mani libere poiché non ha complessi accordi di collaborazione in atto. C’è quello con Ford per la produzione della Ka in Polonia che probabilmente si concluderà e quello per i commerciali con PSA che è stato ridimensionato con l’uscita da Sevel Nord. Potrebbe crescere l’intesa con Mazda che è da sola, ha una buona presenza in Oriente e con la quale c’è l’accordo per produrre ad Hiroshima la futura spider. Fra le signore libere c’è anche la più grande Suzuki (è leader in India) dopo il fallimento delle nozze con Volkswagen. Ma Marchionne parla spesso con i cinesi per recuperare il tempo perduto nel grande Paese e, come dimostrano le trattative di Dongfeng con PSA, i cinesi sono ormai pronti ad uscire dal loro mercato per diventare protagonisti sul palcoscenico globale.
(Fonte: http://motori.ilmessaggero.it - 4/1/2014)

martedì 14 gennaio 2014

Intervista di Marchionne: le reazioni dei sindacati


"Abbiamo atteso per sei anni frasi come quelle dell'intervista di oggi di Marchionne: è una buona notizia, adesso ci aspettiamo nel piano di aprile che ci sia realmente un rilancio e soprattutto ci siano gli investimenti sui vari stabilimenti". Così il segretario generale della Uilm, Rocco Palombella, commenta intervenendo al Giornale Radio Rai l'intervista di Ezio Mauro a Sergio Marchionne, pubblicata stamane da Repubblica. Opinioni differenti rispette a quelle del responsabile auto della Fiom, Michele de Palma, che sulle dichiarazioni del manager italo-canadese spiega: "Non cambia nulla e non dà certezze, serve una convocazione urgente da parte del governo". Più duro ancora Maurizio Landini, segretario generale della Fiom che parla di "film già visto" con "fabbriche fantasma" perché "non possiamo diventare la repubblica delle banane dove si impara quello che fanno le fabbriche dalle interviste sui giornali". "Le variabili che avevamo prima sono confermate oggi", continua de Palma. "Nulla è certo e bisogna credere per atto di fede alle parole di Marchionne. Non è chiaro quali prodotti usciranno dagli stabilimenti italiani, non è chiaro da dove verranno prese le risorse per investire negli stabilimenti italiani e comunque Marchionne alla fine dice 'salvo il fatto che il mercato permetta la possibilità di venderle'", argomenta in supporto del suo scettiscmo. Posizione condivisa da Roberto Di Maulo della Fismic, che parla dei progetti di Marchionne dicendo: "Non ci sorprendono affatto, in quanto nell'incontro del 30 ottobre del 2012 ci venne illustrato il nuovo piano industriale Fiat orientato alla riconversione degli stabilimenti italiani alla produzione di auto di lusso. Tutto quello che" il manager dice oggi "era chiaro fin da allora". Improntato all'ottimismo è invece il commento di Giuseppe Farina, segretario generale della Fim-Cisl: "E' positivo che l'ad di Fiat abbia confermato gli impegni sugli investimenti negli stabilimenti italiani e sul rientro a lavoro di tutti i lavoratori Fiat". "L'intervista - aggiunge Farina - conferma anche l'importanza degli accordi sindacali fatti nel Lingotto, che hanno permesso gli investimenti in italia e dato forza al progetto d'integrazione con Chrysler, dando vita ad un gruppo automobilistico leader nei mercati mondiali, che nei fatti rappresenta la più importante acquisizione industriale mai fatta da un impresa italiana". Il segretario generale Raffaele Bonanni ha aggiunto: "Ci fa piacere che Marchionne abbia confermato la scelta positiva di puntare sul rilancio del marchio Alfa negli stabilimenti italiani e sul rientro progressivo al lavoro di tutti i lavoratori". Il sindacato continuerà "a incalzare Marchionne sul mantenimento degli impegni produttivi in tutti i siti italiani". Luigi Angeletti della Uil chiede che Fiat acceleri "la produzione dei nuovi modelli, che da tempo sta già preparando, e ridefinisca il piano industriale concentrandolo sulle city car e sulle auto dei segmenti più alti. Per far ciò, dovrà implementare le produzioni e saturare gli stabilimenti italiani". Secondo Palombella della Uilm, "finora ci sono state troppe ore di cassa integrazione e troppe perdite economiche per i lavoratori e troppe incertezze", ma "questa intervista sgombra il campo da una serie di preoccupazioni che continuano ad assillare i lavoratori e anche il sindacato che, come il nostro, ha investito su questo percorso". Per Palombella è positiva in particolare la prospettiva di legare al rilancio dell'Alfa la fabbrica di Cassino: "E' un bene spostarsi sui modelli premium, ci aspettiamo che per Cassino ci siano modelli di alta gamma, Cassino ha bisogno di essere rilanciato, ci aspettiamo che i 16 modelli annunciati nel 2011 trovino la possibilità di essere realizzati" ha detto. Non piacciono invece alla Uilm i riferimenti alla sede legale e alla quotazione del nuovo gruppo Fiat-Chrysler: dalle parole di Marchionne si conferma la tesi che la quotazione principale sarà a New York, mentre il manager pare sminuire il tema dell'italianità della sede legale declassandola a "questione che ha un valore puramente simbolico, emotivo". "Questa è la parte un po' buia dell'intervista - spiega Palombella - perché noi ci aspettiamo che il cuore pulsante continui a rimanere in Italia, non sono d'accordo sul fatto che la sede centrale e legale possa spostarsi a seconda dei mercati e della borsa, il centro di direzione e di ricerca deve rimanere in Italia, questo è un punto che non condividiamo" ha concluso. Prosegue intanto anche stamattina la protesta gli operai dell'ex stabilimento Fiat di Termini Imerese, che si sono ritrovati davanti ai cancelli della fabbrica in provincia di Palermo, chiusa da due anni, per decidere ulteriori forme di protesta dopo il blocco di ieri dell'autostrada A19. Le tute blu, che il 30 giugno vedranno scadere la cassa integrazione chiedono che si riapra il tavolo con il Ministero e che la Fiat consideri la possibilità di rilanciare lo stabilimento siciliano.
(Fonte: www.repubblica.it - 10/1/2014)

lunedì 13 gennaio 2014

Intervista di Ezio Mauro (la Repubblica) a Marchionne: "Ecco il futuro di Fiat-Chrysler"


Dottor Marchionne, la settimana scorsa Fiat si è comprata l'intera Chrysler, ha cambiato dimensione e identità e lei non ha ancora detto una parola. Cosa succede?
"Quel che dovevo dire l'ho scritto il giorno dopo la firma ai 300 mila dipendenti del gruppo, insieme con John Elkann. Adesso dobbiamo soltanto lavorare perché questo sogno che abbiamo realizzato, e che io inseguivo dal 2009, si metta a camminare, anzi a correre, e produca i suoi effetti".
Si ricorda come è incominciato tutto?
"Sì. Avevamo un accordo tecnologico con Chrysler, un'intesa di minima, e mi sono accorto che non serviva a niente, perché non produceva risultati di qualche rilievo né per Fiat né per gli americani. È stato allora che l'idea ha cominciato a ronzarmi per la testa. Un'idea, non un progetto. Diceva così: o tutto o niente. O posso entrare nella gestione e prendermi la responsabilità delle due aziende, oppure perdiamo tempo".
E poi?
"Poi è arrivato il piano. La chiami fortuna, istinto, visione, quel che vuole. Resta il fatto che in quel momento di crisi spaventosa abbiamo visto nei rottami dell'industria automobilistica americana la possibilità di far rinascere una grande azienda in forma completamente diversa. E l'America ha creduto nelle nostre idee e ci ha aperto le porte".
Vuol dire che soltanto in America sarebbe stata possibile un'operazione di questo tipo?
"Dico che per tante ragioni storiche e culturali noi europei siamo condizionati dal passato, l'idea di chiuderlo per far nascere una cosa nuova ci spaventa. Da loro no: c'è una disponibilità quasi naturale verso il cambiamento, la voglia di ripartire".
Meno vincoli e meno dubbi?
"Se porti un'idea nuova, in Italia trovi subito dieci obiezioni. In America nello stesso tempo trovi dieci soluzioni a possibili problemi. E poi è arrivato Obama".
Che ha creduto subito al suo progetto?
"Aveva l'obiettivo di salvare quelle aziende. La nostra fortuna è stata di poter trattare direttamente con il Tesoro, con la task force del Presidente, non con i creditori di Chrysler, come voleva la vecchia logica. Se no, oggi non saremmo qui".
L'amministrazione vi ha sempre sostenuti?
"Abbiamo scoperto che il nostro piano era più prudente del loro. Ma la seconda fortuna è stata che il mercato è ripartito prima del previsto, gli U.S.A. oggi sono tornati a produrre 15 milioni di veicoli, la cura che abbiamo fatto a Chrysler funziona, noi ci siamo, tanto che Jeep non ha mai venduto tante macchine come nel 2013, cioè 730 mila".
Questo basta per mettere Chrysler al riparo?
"Guardi che in America il mercato c'è ma è difficile, la competizione è durissima. Ma nelle vendite retail lo scorso anno Chrysler è cresciuta negli U.S.A. più degli altri due big, Ford e Gm. Siamo il quarto produttore americano, perché in mezzo si è infilata Toyota. Quindi c'è molta strada ancora da fare, ma siamo in cammino. E meno male che l'istinto aveva visto giusto nel 2009, perché un'occasione così si presenta una volta sola nella vita: non accadrà mai più".
Un piccolo non potrà mai più comprare un grande grazie alla crisi?
"Abbiamo sfruttato condizioni irripetibili. È vero che normalmente il sistema americano è capace a digerire la bancarotta e a assicurarti le condizioni finanziarie per ripartire, perché il Chapter 11 negli U.S.A. ti lava la macchia del fallimento. Ma quando siamo arrivati noi il sistema digestivo delle banche si era bloccato, ed ecco che abbiamo potuto negoziare direttamente con il governo, cosa mai accaduta prima".
Un negoziatore più facile perché politicamente interessato al risanamento aziendale?
"Mica tanto facile. Continuavano a dirmi che Fiat doveva metterci la pelle, cioè i soldi. Ho avuto la faccia tosta all'inizio di dire no. Avevamo studiato bene le ceneri dell'automobile americana, sapevamo che il rischio era altissimo. Se vuoi, rispondevo, metto in gioco la mia pelle, vale a dire reputazione e carriera, ma Fiat no. Nemmeno un euro".
Perché hanno accettato?
"Tenga conto che stiamo parlando della tragedia del 2009, quando i manager uscivano per strada con gli scatoloni perché le aziende chiudevano, quando la quota di mercato di Chrysler era precipitata al 6 per cento, non so se mi spiego. Certo, ogni tanto mi arrivava un messaggio dal mio partner al Tesoro: secondo te, questa rotta si sta invertendo? Bene, si è invertita. Abbiamo restituito al governo U.S.A. tutti i soldi che aveva messo in Chrysler, 7 miliardi e mezzo di dollari, abbiamo ripagato tutti e dopo l'accordo con Veba non dobbiamo più niente a nessuno. A questo punto, ci siamo comprati il resto dell'azienda. Chrysler ha trovato un partner".
Direi un padrone, no?
"Direbbe male. La nostra non è una conquista, è la costruzione di un insieme. Ho scritto una lettera riservata al Gec, il Group Executive Council, cioè gli uomini che gestiscono il Gruppo, e ho detto che quello di Fiat-Chrysler è per me un sogno di cooperazione industriale a livello mondiale, ma soprattutto un sogno di integrazione culturale tra due mondi".
Non vi sentite padroni di Chrysler, dunque?
"Qualcosa di più, di meglio. Abbiamo creato una cosa nuova. E da oggi il ragazzo americano che lavora in Chrysler quando vede una Ferrari per strada può dire: è nostra. Poi, certo, se quando sono arrivato qui mi avessero detto che saremmo diventati il settimo costruttore del mondo, mi sarei messo a ridere. Capisco anche che in questi anni qualcuno ci abbia preso per pazzi. Per fortuna gli azionisti hanno creduto nel progetto e lo hanno appoggiato. John è venuto subito a Detroit, ha capito il potenziale dell'operazione e l'ha sostenuta fino in fondo".
Lei sa che su questo successo americano c'è il sospetto che sia stato costruito a danno dell'Italia, delle sue fabbriche e dei suoi operai. Cosa risponde?
"Che è vero il contrario. Questa operazione ha riparato Fiat e i suoi lavoratori dalla tempesta della crisi italiana ed europea, che non è affatto finita. Non solo: ha dato la possibilità di sopravvivere all'industria automobilistica italiana in un mercato dimezzato. Altrimenti non ce l'avremmo più. E invece potrà ripartire con basi, dimensioni e reti più forti".
Lei dopo la firma è ottimista, ma proprio oggi il Financial Times le fa notare che 4,4 milioni di vetture prodotte da Fiat-Chrysler sono appena la metà di Toyota, e l'accusa di essere un abile negoziatore ma non un costruttore, un uomo d'automobili. Come si difende?
"Se adesso che ho Chrysler valgo mezza Toyota, quale sarebbe il mio valore senza l'America? Quanto alle automobili, al salone di Detroit 2011 abbiamo presentato 16 nuovi modelli tutti insieme. E aspettiamo il nuovo piano Alfa Romeo, per favore, prima di parlare".
Però Moody's non ha aspettato, e ha già minacciato il downgrade Fiat per i troppi debiti e la poca liquidità dopo l'acquisto di Chrysler. Chi ha ragione?
"Capisco il loro ragionamento, ma ricordo che nel 2007 arrivammo a zero debiti, prima che scoppiasse quel bordello nei mercati. Bisognerà vedere con il piano di aprile dei nuovi modelli dove si posizionerà il debito. Io non sono preoccupato, proprio no".
Ma la strada maestra nelle vostre condizioni non sarebbe un aumento di capitale?
"Sarebbe una distruzione di valore. Ci sono metodi, modelli diversi e innovativi per finanziare gli investimenti".
Come il convertendo da un miliardo e mezzo di cui si parla?
"Lasci stare le cifre. Ma il convertendo potrebbe essere una misura adatta".
In un passato recente con il convertendo i banchieri italiani si sentivano già padroni di Fiat, non ricorda?
"Ricordo, anche perché quando venivano al Lingotto mancava solo che prendessero la misura delle sedie. Invece la verità è che siamo qui, pronti a ripartire, ma abbiamo bisogno di soldi per finanziare la ripartenza. Le sembra un discorso troppo esplicito, troppo poco italiano?"
No, se lei però mi dice dove quoterete la nuova società.
"Fiat è quotata a Milano. Poi, andremo dove ci sono i soldi. Mi spiego: dove c'è un accesso più facile ai capitali. Non c'è dubbio che il mercato più fluido è quello americano, quello di New York, ma deciderà il Consiglio di amministrazione. Io sono pronto anche ad andare a Honk Kong per finanziare lo sforzo di Fiat-Chrysler".
Come si chiamerà la nuova società?
"Avrà un nome nuovo".
Quando avverrà la fusione?
"Spero subito, con l'approvazione del Consiglio al dividendo Chrysler di 1,9 miliardi. A quel punto il processo è chiuso, si può partire".
E dove sarà la sede della nuova società?
"Lo decideremo, anche in base alla scelta di Borsa, ma mi lasci dire che è una questione che ha un valore puramente simbolico, emotivo. La sede di Cnh Industrial si è spostata in Olanda, ma la produzione che era qui è rimasta qui".
Lei dovrebbe capire dove nascono certe preoccupazioni. Quando è arrivato in Fiat si producevano un milione di auto in Italia, due milioni dieci anni prima, oggi appena 370 mila su un totale di 1,5 milioni di auto vostre. Come si può aver fiducia nel futuro dell'auto italiana in queste condizioni?
"Se ritorniamo al punto in cui Fiat doveva investire in controtendenza in questi anni di mercato calante, io non ci sto, perché se posso scegliere preferisco evitare la bancarotta. Peugeot ha investito, e oggi si vede che i soldi sono usciti, ma il mercato non c'è. In più bisogna tener conto che le auto invecchiano, e un modello lanciato (e non comprato) durante la crisi sarà vecchio a crisi finita, quando i consumi possono ripartire. No, la strada è un'altra".
Quale, dopo le promesse mancate di Fabbrica Italia?
"Ecco un'altra differenza tra Italia e America. Là quando cambiano le carte si cambia gioco, tutti d'accordo, qui avrei dovuto mantenere gli investimenti anche quando il mercato è sparito. No, la nostra strategia è uscire dal mass market, dove i clienti sono pochi, i concorrenti sono tanti, i margini sono bassi e il futuro è complicato".
Uscire dal mercato tradizionale Fiat per andare dove?
"Nella fascia Premium, prodotti di alta qualità, con concorrenza ridotta, clienti più attenti, margini più larghi. In fondo abbiamo marchi fantastici e per definizione Premium, come Alfa Romeo e Maserati. Perché non reinventarli?".
E perché non lo avete fatto?
"E lei, mi scusi, che ne sa? Sa di Maserati a Grugliasco, dove lavora gente in guanti bianchi a scegliere le rifiniture in pelle per andare sui mercati del mondo. Ma non sa che in capannoni-fantasma, mimetizzati in giro per l'Italia, squadre di uomini nostri stanno preparando i nuovi modelli Alfa Romeo che annunceremo ad aprile e cambieranno l'immagine del marchio, riportandolo all'eccellenza assoluta".
Allora perché non lo avete fatto prima?
"Mi servivano due cose: la capacità finanziaria, e oggi finalmente Chrysler come utili e come cassa mi copre le spalle, e un accesso al mercato mondiale. Oggi se mi presento con Alfa Romeo negli U.S.A. ho una rete mia di 2.300 concessionari capaci di portare quelle auto dovunque in America, rispettandone il dna italiano".
Dunque mi pare di capire che non venderà Alfa Romeo ai tedeschi, è così?
"Se la possono sognare. E credo che la sognino, infatti. Alfa Romeo è centrale nella nostra nuova strategia. Ma come la Jeep è venduta in tutto il mondo ma è americana fino al midollo, così il dna di Alfa Romeo dev'essere autenticamente tutto italiano, sempre, non potrà mai diventare americano. Basta anche coi motori Fiat in Alfa Romeo. Così come sarebbe stato un errore produrre il suv Maserati a Detroit: e infatti resterà a casa".
E cosa sarà degli altri marchi?
"Fiat andrà nella parte alta del mass market, con le famiglie Panda e Cinquecento, e uscirà dal segmento basso e intermedio. Lancia diventerà un marchio soltanto per il mercato italiano, nella linea Y. Come vede la vera scommessa è utilizzare tutta la rete industriale per produrre il nuovo sviluppo di Alfa Romeo, rilanciandola come eccellenza italiana".
Lei parla di modelli, parliamo di lavoro. Questa strategia come si calerà negli impianti che oggi sono fermi, o girano con la cassa integrazione, aumentando l'incertezza italiana nel futuro?
"Senza una rete di vendita nei mercati che tirano fare Maserati, ad esempio, non servirebbe a nulla. Adesso Chrysler ci ha completato gran parte del puzzle, soprattutto nell'area cruciale U.S.A.-Canada-Messico, dove oggi possiamo entrare con gli stivali mentre ieri dovevamo presentarci con le scarpe da ballerina".
Non è che nell'acquisto Chrysler c'è per caso una clausola di protezione dell'occupazione e della produzione americana?
"Neanche per sogno: sarebbe una cosa tipicamente italiana, che là non è venuta in mente a nessuno".
Parliamo allora delle fabbriche italiane. Quando e come ripartiranno?
"Ecco il quadro. Nel polo Mirafiori-Grugliasco si faranno le Maserati, compreso un nuovo suv e qualcos'altro che non le dico. A Melfi la 500X e la piccola Jeep, a Pomigliano la Panda e forse una seconda vettura. Rimane Cassino, che strutturalmente e per capacità produttiva è lo stabilimento più adatto al rilancio Alfa Romeo. Mi impegno: quando il piano sarà a regime la rete industriale italiana sarà piena, naturalmente mercato permettendo".
Sta dicendo che finirà la cassa integrazione eterna per i lavoratori Fiat?
"Sì, dico che col tempo - se non crolla un'altra volta il mercato - rientreranno tutti".
Scommettendo su Alfa Romeo e sulle auto Premium lei scommette sul dna italiano dell'auto: ma ha ancora corso nel mondo, con la crisi del nostro Paese?
"La capacità italiana di produrre sostanza e qualità, di inventare, di costruire è enormemente più apprezzata all'estero che da noi. Il carattere dell'automobile italiana esiste, eccome. Tutto ciò è una ricchezza da cui ripartire. Noi siamo pronti. Ma se continuiamo a martellarci i piedi, invece di puntare al meglio, finirà anche questa storia".
Ma cos'è il meglio, in un Paese che perdendo il lavoro sta perdendo anche la coscienza delle sue potenzialità, dei doveri e dei diritti?
"È aprirsi al mondo, trovarsi spazio nel mondo, non chiudersi in casa, soprattutto quando intorno c'è tempesta. Fiat ci prova. Ho scritto ai miei che possiamo concorrere a dare forma e significato alla società del futuro. Anche per me arriverà il giorno di lasciare. Ma intanto, dieci anni dopo, è una bella partita".
(Fonte: www.repubblica.it - 9/1/2013)

domenica 12 gennaio 2014

Ruggeri: "Chapeau alla famiglia Agnelli"


Stavo scrivendo un pezzo su Fiat-Chrysler e arriva la notizia, a Capodanno (!), dell'accordo Chrysler-Veba. Per trasparenza verso i lettori, riporto tra virgolette quanto avevo scritto poche ore prima, quindi le mie successive reazioni. «Avete notato? Da qualche mese, salvo brevi cenni nei supplementi economici di Corriere e di Repubblica, non si parla più di Fiat-Chrysler, Sergio Marchionne raramente si palesa. Mi chiedo: tecnica negoziale o oggettiva difficoltà? Una curiosità: mentre il rapporto della stampa italiana con Marchionne è improntato all'affetto (lo vedono come un affidabile orso marsicano), di contro i media specialistici americani, WSJ e Automotive News, via via sono diventati acidi verso di lui. Chissà perché. Da osservatore indipendente (seppur sempre innamorato della mia Fiat Auto, entrata in coma vigile fin dagli anni '90 e tale rimasta) mi sono posto una serie di domande, senza trovare risposte convincenti.
1. Sergio Marchionne fra 5 mesi compirà 10 anni di permanenza al vertice di Fiat, un periodo perfetto, persino per un investitore (risibile) come me, per assegnare meriti e demeriti. Sono stati 10 lunghi anni di dominio assoluto divisi in due periodi: il primo, maggio 2004-marzo 2009, in cui Fiat fu sola, il secondo, aprile 2009-inizio 2014, in cui ci fu Chrysler. Quando Marchionne arrivò, nel maggio del 2004, il titolo valeva 5,74, subito rivelò straordinarie capacità negoziali versus GM e le Banche coinvolte nel «convertendo» e portò a casa l'intera posta. In verità, noi analisti ci dimenticammo di sottolineare che parte del successo doveva essere ascritto a Paolo Fresco per come aveva concepito quei contratti (era un mago, riconosciuto internazionalmente). Nel febbraio del 2009, il primo ciclo quinquennale si concluse per Marchionne con una mazzata: il titolo Fiat scende a 3,54 rispetto ai 5,74 euro del suo arrivo, e il bond venne declassato a «spazzatura» (lo è tuttora): cinque anni buttati. Ma, due mesi dopo, riceve dalle mani di Obama la Chrysler, una bambina molto malata, rifiutata da tutti i costruttori mondiali, quindi dotata di un sontuoso corredino. Lui l'alleva con perizia, e oggi è una giovane donna, all'apparenza robusta. Nel frattempo, scorpora Iveco e CNH, creando valore, mentre Fiat Auto è giunta a possedere il 58,5% di Chrysler, e vale 5,9 euro. La prima domanda è: quanto vale la parte Europa e Brasile del titolo Fiat Auto? A quali criticità, questa, sta andando incontro? Assorbe o no cassa? Ha ancora significato parlare di 6 milioni di auto all'anno (e poi quali auto?), e così via?
2. Il contratto Chrysler prevedeva che Fiat Auto acquistasse, a condizioni predeterminate, il 41.5% di Chrysler in carico al Fondo sindacale Veba. Gli esperti sostengono che Veba abbia un disperato bisogno di quei quattrini per coprire perdite pregresse, che Fiat Auto abbia un'impellente bisogno dell'intera quota per potersi impossessare della cassa Chrysler, eppure nulla avviene. Persino il giudice chiamato a sciogliere il nodo del prezzo per oltre un anno ha fatto melina e la fa tuttora. Perché? I primari Advisor chiamati a valutare Chrysler hanno indicato una forcella fra 10-16 miliardi di dollari. Anche prendendo 10, quindi valutando il pacchetto Veba 4,25 miliardi, perché Marchionne non pare accettare tale prezzo, minimo di mercato? Si stanno affastellando una serie di «perché», incomprensibili a noi laici.
3. Un'altra domanda: «A questo punto, non sarebbe più corretto parlare di Chrysler-Maserati anziché di Fiat-Chrysler?» Dopo la scomparsa del marchio Lancia per mancanza di modelli esisterà ancora, a termine, il marchio Fiat? La 500 si è creata una sua nicchia di «lusso minimale», viene prodotta fuori dell'Italia, vive di vita propria. Gli altri modelli ispirati alla filosofia «vecchia Fiat» (grandi volumi di auto «povere» per mercati e segmenti di popolazione «poveri») sono ormai assenti. Ha ancora un significato oggi il marchio Fiat? Cosa produrranno i suoi stabilimenti italiani? Da dieci anni ci chiediamo: «che sarà del marchio Alfa Romeo»? Dopo svariati piani industriali, uno all'anno, la risposta è sempre la stessa: «In primavera si saprà». E ora c'è il rilancio del marchio Maserati. Ma cosa si intende per «Maserati»: Porsche o Audi? Sono cose diverse, per posizionamento, clienti, volumi, fatturati. Momento curioso per Fiat, nulla sappiamo della trattativa con Veba, nulla dei prodotti e dei marchi, nulla del Brasile, di come colà Fiat potrà difendere la propria leadership di quota, quando i grandi investimenti cha sta facendo VW diventeranno operativi. Senza informazioni impossibile fare analisi. Anche l'acquisto della quota Veba risponde agli shareholder, solo in parte ai problemi degli stakeholder.
4. Il 2014 sarà l'anno ove tutte queste domande troveranno una risposta: ho provato a fare varie simulazioni, ma le variabili sono troppe per cui ho desistito. In quel magico 2009, dopo tre fallimenti in 50 anni di Chrysler, Obama pensò che «assegnandola» a Fiat avrebbe risolto per sempre i suoi problemi. In quei giorni il Governo italiano e noi cittadini (persino Rifondazione Comunista) ci innamorammo di Sergio Marchionne, tutti gonfiammo il petto per la prossima conquista dell'America, per i nostri motori «verdi» grazie al MultiAir. Noi liberali poi, ci eccitammo di fronte all'approccio di Marchionne verso la Fiom, l'uscita da Confindustria la vivemmo come un definitivo cambio di paradigma, credemmo al sontuoso progetto da 20 miliardi detto «Fabbrica Italia». Su come andò a finire, meglio stendere un velo».
Da poche ore sappiamo che, con un colpo da maestro, mentre noi brindavamo (chissà poi a che cosa) Sergio Marchionne lavorava e acquisiva il 41,5%, pagandolo una cifra modesta, con modalità «para- umilianti» per il venditore. Perché? Era errata la valutazione degli Advisor di 10-16 miliardi? Quelli di Veba sono alla canna del gas? Oppure non credono al futuro di Chrysler e pensano che sia meglio monetizzare? Non lo sapremo mai. Comunque sia, l'obiettivo prioritario di impossessarsi della «cassa» di Chrysler è riuscito. Almeno a una delle domande di cui sopra oggi abbiamo una risposta: sappiamo quanto vale Chrysler e, per differenza, la borsa ci dirà quando vale Fiat Auto. Aspettiamo solo alcuni mesi, quando l'euforia odierna scemerà. Riconosciamo fin d'ora agli Agnelli il sacrificio fatto: come Exor, hanno venduto un gioiello come SGS per pagare il cash a Veba, come Fiat, hanno «girato» a Veba il dividendo straordinario di loro spettanza. Chapeau! Noi (risibili) shareholder siamo felici, e ringraziamo Marchionne: in questi giorni di euforia, se vogliamo, possiamo passare alla cassa e monetizzare. Nei prossimi mesi capiremo come andrà ai nostri amici stakeholder. Ma è un altro film, ben più complesso. Questo è il momento di festeggiare. Ai debiti, agli investimenti per i nuovi modelli (i modelli «tedeschi» ereditati stanno invecchiando), agli stabilimenti italiani, alle valutazioni di Moody's post acquisizione, ci penseremo da domani, gli shareholder rimasti e gli stakeholder costretti.
(Fonte: www.italiaoggi.it - 3/1/2014)

sabato 11 gennaio 2014

Fiat-Chrysler e la sfida a Italia e UE


La fusione Fiat-Chrysler ripropone un tema già sollevato a proposito della siderurgia: in Italia, e in Europa, c’è o non c’è esigenza di una politica industriale? In effetti, nonostante dal 2007 a oggi il peso del manifatturiero sul valore aggiunto è passato dal 22% al 15%, il termine stesso “politica industriale” sembra essere diventato una locuzione da non utilizzare in un salotto dove ci sono signore. Basti pensare che, paradossalmente, l’ultimo documento di politica industriale è stato presentato dal Governo al Parlamento quando il Presidente del Consiglio era il socialista Craxi e il Ministro dell’Industria (allora si chiamava così) il liberale Altissimo. C’è stato anche un tentativo quando il Ministero (diventato delle Attività produttive) era guidato dal liberale Marzano; non credo, però, che giunse mai alla stadio di indirizzo di Governo da dibattere in Parlamento. In effetti, dalla riforma costituzionale del 2001, in Italia non c’è neanche un referente chiaro di politica industriale in quanto le competenze sono divise tra Stato e Regioni (nonché ovviamente le due Province autonome). Da anni, sulla politica industriale grava un pregiudizio, ben caratterizzato in un saggio sul governo dell’industria in Italia da Giuliano Amato, un socialista e un giurista, nel lontano 1976: quello secondo cui la mano pubblica, invece che indirizzare l’industria, sarebbe “impicciona” e “pasticciona”. È un pregiudizio antico. Il 23 settembre ricordavamo, sulla scorta del saggio di Elio Cadelo e Luciano Pellicani (Contro la Modernità: le radici della cultura anti-scientifica in Italia), come nell’Ottocento, quando la cultura scientifica si affermava in Europa e Nord America (avendo come corrispettivo il “positivismo”), in Italia si rispose trasformando (mi si consenta il termine) la teologia in “idealismo” e dando un forte primato agli studi classici. I “modernizzatori”, sotto il profilo intellettuale, e i promotori dell’industria manifatturiera (in un’Italia sostanzialmente agraria) vennero costretti all’emigrazione: Guglielmo Ferrero, Gaetano Salvemini, Giuseppe Peano, Raffaele Petazzoni, Federigo Enriques, Giovanni Vailati, Vito Volterra e via discorrendo. Un fenomeno analogo a quello attuale: le università americane (specialmente quelle tecnologiche) sono piene di ricercatori e docenti italiani ai quali le “nostrane” hanno sbarrato la porta. Lo descrivono bene Sebastiano Bavetta (università di Palermo) e Pietro Navarra (università di Messina) nel saggio Il Vantaggio delle Libertà dove producono, tra l’altro, dati interessanti sulla riduzione dei rendimenti marginali di quel progresso tecnologico, che è stato la linfa della manifattura in Italia. Manca, però, da anni un dibattito politico di livello sulla opportunità e desiderabilità o meno di cercare, in un’Europa sempre più integrata e in un’economia sempre più globalizzata, di andare, specialmente, in certi comparti, verso “campioni” non “nazionali” ma “europei”, con la vocazione di diventare player mondiali, giocando da protagonisti non da comprimari. L’operazione Fiat-Chrysler, sotto questo profilo, sembra spiazzare tutti poiché, prima ancora che inizi la trattativa per la Transatlantic Partnership, dà una dimensione atlantica (più che italiana o europea) a un settore portante come la metalmeccanica. Un dibattito vero e proprio - si badi bene - è molto limitato a livello europeo, dove la politica industriale è vista essenzialmente come politica della concorrenza. È invece molto vivo da anni, quale che sia la parte politica dell’inquilino dell’Eliseo e la connotazione del Governo, nella vicina Francia, là dove nel XV secolo è nato la Stato-Nazione, dove il senso di patriottismo nazionale è molto forte e dove vige ancora la tradizione colbertista (dal nome del ministro dell’Economia di Luigi XIV) di proteggere (nel limite consentito dagli accordi internazionali) la produzione e la cultura nazionale. Nel 2005 il Raport Beffa (dal nome del Presidente e Amministratore Delegato della Compagnie Saint Gobain, Jean-Louis Beffa, a cui l’Eliseo lo aveva commissionato) gettò un sasso nello stagno: proponeva di individuare, con i maggiori partner europei, “campioni industriali europei” con cui sostituire (anche tramite aggregazioni transnazionali) “campioni nazionali” ormai sulla via del tramonto. Sono cambiati, più di una volta, il Capo dello Stato e la maggioranza all’Assemblea nazionale francese. Un nuovo documento, il Rapport Gallois - altro noto industriale a riposo - è sul tavolo di François Hollande, che lo ha commissionato lo scorso ottobre: anche in quanto dal 2005 è stata somministrata unicamente aspirina, il documento afferma che la Francia avrà difficoltà a far fronte alla competizione mondiale (e forse pure a restare uno dei leader nell’eurozona) se non mette in atto una “terapia shock”: liberalizzazione del mercato del lavoro, riassetto della previdenza e della sanità, sgravi tributari ai settori produttivi, abbandono dei veri o presunti “campioni nazionali” in favore di “campioni europei” e via discorrendo. Il Consiglio di analisi economica della Presidenza della Repubblica francese propone un “triangolo” per un’efficiente ed efficace politica industriale “europea”: politica della concorrenza, politica della tecnologia e politica del commercio internazionale. Non mancano esempi di “campioni europei” (dall’Airbus alla STmicroelectronics). Notevoli passi sono stati fatti, più che nel manifatturiero, nel campo dei servizi finanziari (dalle banche alle assicurazioni). La strada, però, è tutta in salita a ragione di resistenze sia di management che di lavoratori (di imprese che potrebbero diventare parte di “campioni europei”). Al ministero dello Sviluppo economico si ragiona a lungo su questi temi, con la preoccupazione, però, che entrare a fare parte di “campioni europei” potrebbe implicare una posizione minoritaria negli organi di governo e di gestione. Il tema non è nell’agenda di governo e nelle priorità espresse dal segretario del partito di maggioranza relativa, Matteo Renzi. Tuttavia, la fusione Fiat-Chrysler, per le sue dimensioni atlantiche prima che nazionali o europee, dovrebbe indurre a fare una riflessione.
(Fonte: www.ilsussidiario.net - 6/1/2014)

venerdì 10 gennaio 2014

Chrysler 200: anteprima delle foto ufficiali


Una fuga di immagini. Così in pochi minuti i siti Internet di mezzo mondo hanno potuto diffondere, con diversi giorni di anticipo, le fotografie della Chrysler 200 nuova generazione, quell'auto che non solo si prepara a diventare la grande vedette del North American International Auto Show di Detroit - in assenza di altre novità di spicco da parte dei 'Big Three' U.S.A. - ma che potrebbe anche identificarsi con una importante fase di rilancio di Fiat-Chrysler in tutto il mondo ed in un segmento, quello delle berline medie, che è tra i più attivi commercialmente. Da queste immagini - che svelano non solo un design esterno moderno, personale e molto appagante, ma anche un abitacolo assolutamente innovativo, con finiture e soluzioni degne dei modelli premium - si può infatti comprendere come questo modello, assieme alle sue probabili derivazioni firmate da altri brand del Gruppo (primo fra tutti quello della Lancia), abbia la potenzialità per attaccare ad armi pari una fascia di mercato davvero importante. Negli U.S.A., ad esempio, la Chrysler 200 andrà a competere nel segmento 'entry-luxury' con modelli come la Chevrolet Malibu, la Ford Fusion, la Honda Accord, la Nissan Altima, la Toyota Camry e la Volkswagen Passat, oltre che con le coreane Hyundai Sonata e Kia Optima. Ed in Europa la 200 e le sue 'derivate' potranno sfidare i migliori prodotti in questa fascia di mercato dei costruttori tedeschi e francesi. Secondo le indiscrezioni pre-salone la nuova Chrysler 200 deriva meccanicamente dalla recentissima Jeep Cherokee, a sua volta nata sulla piattaforma modulare Compact US Wide su cui sono state costruite Alfa Romeo Giulietta, Dodge Dart e Fiat Viaggio/Ottimo, e dovrebbe essere commercializzata nel mercato U.S.A. dalla metà del 2014 con il motore a benzina 4 cilindri 2.4 da 184 Cv (già adottato per la Dart) e parallelamente con il Pentastar V6 3.2 da 271 Cv. Entrambe queste unità dovrebbero essere accoppiate alla nuova trasmissione automatica a 9 rapporti sviluppata con ZF, mentre la trazione sarà anteriore con la potenzialità tecnica di una eventuale opzione a quattro ruote motrici.
(Fonte: www.ansa.it - 9/1/2014)