sabato 31 maggio 2014

La strana coppia Trapattoni-Pizzul in Brasile con Fiat e Leo Burnett


Fiat si affida all’inedita coppia formata dall’allenatore Giovanni Trapattoni e dal telecronista sportivo Bruno Pizzul per la nuova campagna multisoggetto, realizzata dall’agenzia Leo Burnett sotto la direzione creativa esecutiva di Alessandro Antonini e Francesco Bozza. Sviluppata su tv, stampa, radio e web, la campagna è on air dai primi giorni di maggio e annuncia il prolungamento da parte di Fiat degli eco-incentivi governativi per l’acquisto di vetture green. Nella creatività, che porta la firma di Davide Boscacci (Group Creative Director) e Marco Gucciardi (Creative Director), vediamo le due icone del calcio italiano a Rio de Janeiro dove, travolti dai colori, dal ritmo e dai volti del Brasile, si rendono interpreti di gag esilaranti che mettono in risalto la loro passione calcistica e spontanea allegria. Diretto dal regista Giuseppe Capotondi per la casa di produzione Mercurio Cinematografica e girato sulla spiaggia di Copacabana, lo spot presenta le promozioni Fiat che per tutto maggio garantiscono un contributo almeno equivalente al massimo degli incentivi statali. Infatti, nel caso un cliente sia interessato a un modello su cui esiste già una promozione superiore a quello dell’incentivo, ovviamente avrà diritto all’offerta più vantaggiosa. In questo modo anche chi non riuscisse ad accedere all’eco-bonus statale potrà scegliere, fino al 31 maggio, la propria vettura Fiat alimentata a metano o GPL beneficiando di un contributo offerto dal brand e dai concessionari presenti in Italia. Il legame tra il marchio Fiat e il mondo del calcio, in particolare con la Nazionale, parte dal 2000 quando, in qualità di partner tecnico, il gruppo Fiat ha iniziato a seguire gli Azzurri nel loro cammino verso i Campionati del mondo in Giappone e Corea (2002) e in Sud Africa (2010), oltre che agli ultimi due Campionati Europei: in Austria e Svizzera (2008) e Polonia e Ucraina (2012). Oggi, l’avventura sui campi da calcio continua come Top Sponsor degli Azzurri ormai prossimi al Mondiale 2014 in Brasile, un Paese importante per Fiat Chrysler Automobiles.
(Fonte: www.pubblicitaitalia.it - 8/5/2014)

venerdì 30 maggio 2014

FCA e web (2): il "Mopar Owner Center" premiato con il Media Key Interactive Award


Un premio per il “Mopar Owner Center”. Alla nuova piattaforma web dedicata ai servizi post vendita è andato il premio speciale “Editor’s Choice” della 15esima edizione del Media Key Interactive Award. Il premio italiano dedicato al web e alla comunicazione interattiva attribuisce i riconoscimenti alla creatività e all’innovazione tecnologica on-line, coinvolgendo agenzie web e di comunicazione oltre a esperti di marketing. Il Media Key Interactive Award prevede diverse aree, dai Siti web agli Strumenti digitali, dalle Nuove categorie alle Categorie speciali, per un totale di 26 categorie, mentre la giuria è composta da esperti e opinion leader nell’ambito della rete e delle nuove tecnologie, da esperti di comunicazione, account manager e giornalisti. Il Mopar Owner Center, sviluppato dall’agenzia Domino, ha ricevuto il riconoscimento come vincitore della categoria “Energia e Trasporti” per la gestione del servizio clienti on-line e per i servizi innovativi forniti. La nuova piattaforma post vendita integrata offre un insieme completo di informazioni e contenuti per Fiat, Alfa Romeo, Lancia, Jeep and Abarth e rappresenta un canale di comunicazione efficace tra Mopar e i propri clienti, con due livelli di navigazione: uno “pubblico” e uno “privato”, con dati di accesso personali. Il primo livello è una grande vetrina sui componenti originali e sulle possibilità di personalizzazione dei veicoli e degli accessori del gruppo Fiat Chrysler Automobiles, mentre nel secondo, dopo aver effettuato l’accesso, è possibile trovare consigli personalizzati e informazioni aggiornate come, ad esempio, piani di manutenzione in base al numero di km percorsi, equipaggiamento dell’auto, libretto di uso e manutenzione e un’utile agenda online. Il Mopar Owner Center è raggiungibile dalla home page del sito web di ogni marchio del Gruppo attraverso il collegamento “Servizi e assistenza” o direttamente cliccando sul pulsante “my” seguito dai vari brand.
(Fonte: www.repubblica.it - 24/5/2014)

giovedì 29 maggio 2014

FCA e web (1): Fiat è il brand più citato


E' il marchio Fiat, tra i brand dell'automotive, il più discusso in assoluto in rete. Una supremazia confermata anche su Twitter, con il profilo dell'azienda guidata da Marchionne primo per numero di follower. Questo e altri dati emergono dall'indagine firmata da Blogmeter attraverso la piattaforma proprietaria Online Reputation. Se dai brand si passa ai modelli di auto, la musica non cambia. L'antica e intramontabile Alfa Romeo Giulietta non conosce rivali sul web, mentre su Facebook la pagina che performa meglio è quella di Audi Italia. E sempre su Twitter va segnalata l'impresa di Peugeot Italia, primo per interazioni ricevute. Il marchio Fiat è quindi al centro delle discussioni degli utenti online, ma non sempre le citazioni le sono favorevoli. Sotto questo aspetto i brand più apprezzati sono quelli asiatici, Hyundai e Kia. L'indagine di Blogmeter, che ha preso in considerazione i primi tre mesi del 2014, ha analizzato le discussioni online su 40 brand, 350 modelli e 11 tematiche legate al mondo dell'automotive, per un totale di oltre 950 mila messaggi pubblicati su più di 6.600 fonti tra social network, forum, blog, siti di news, ecc. Tramite il motore proprietario di analisi semantica (Text Mining) di cui sono provviste le piattaforme Blogmeter, sono state individuate oltre 300 mila espressioni di sentiment, positive o negative, legate ad un brand o ad un modello oggetto dell'analisi. Inoltre, grazie alla piattaforma proprietaria Social Analytics sono stati analizzati 65 profili social (pagine Facebook o profili Twitter) gestiti dai brand, per un totale di oltre 2 milioni e 700 mila interazioni tra like, post, commenti, condivisioni, tweet, retweet, favorite e follow. E' interessante notare come il 50% del buzz complessivo legato al settore provenga dai social network, il 34% dai forum (qui si concentrano maggiormente le discussioni a carattere tecnico), mentre i blog producono più contenuti rispetto ai siti di news (oltre il 6% delle discussioni complessive) ma raccolgono più commenti. Fiat si laurea come il brand più discusso in assoluto con quasi 190 mila citazioni nel trimestre. La maggior parte dei messaggi (circa il 70%) hanno riguardato temi corporate, primo fra tutti la fusione con l'americana Chrysler che ha portato alla nascita di un nuovo gruppo, la Fiat Chrysler Automobiles, settimo produttore mondiale di automobili. Ma proprio questa importante operazione ha diviso gli utenti italiani della rete: in particolare hanno suscitato una certa criticità la dismissione, da parte di Fiat, della catena produttiva italiana e il cambio della sede legale e fiscale, due aspetti che alla fine hanno portato la Casa del Lingotto a diventare il brand meno apprezzato del campione con il 52% delle espressioni di sentiment negative. Il secondo brand automotive più discusso in Italia, con oltre 73 mila citazioni, è BMW, mentre al terzo posto, con 66 mila citazioni, troviamo Volkswagen. I brand più apprezzati sono però quelli coreani: Hyundai, con il 77% di opinioni positive e Kia con il 73%. Ambedue sono apprezzati per la garanzia di 5 e 7 anni, il favorevole rapporto tra qualità e prezzo e il design sportivo dei SUV. Per quanto riguarda invece il modello più discusso in assoluto, l'Alfa Romeo Giulietta si impone con oltre 24 mila citazioni, seguita dalla Volkswagen Golf a quota 20 mila e dalla Fiat 500 con 19 mila citazioni; mentre quelli più apprezzati sono due nuovi modelli prodotti da Peugeot e Nissan, rispettivamente la 308 (con il 74% di opinioni positive) e la Qashqai (69% di sentiment positivo). Su Facebook è la pagina di Audi Italia quella che performa meglio grazie al seguito maggiore dell'intero panel (circa 850 mila fan) e con il maggior numero di interazioni ricevute nel periodo di analisi: oltre 400 mila. Citroen Italia si posiziona al secondo posto sia per engagement (più di 182 mila interazioni complessive nel trimestre) che per numero di fan (768 mila), ed è anche la pagina che ha pubblicato più contenuti (589 post nei tre mesi). Volkswagen Italia è invece la pagina che cresce di più con oltre 82 mila fan acquisiti nel trimestre esaminato e anche quella che produce i post più engaging del periodo. Anche su Twitter infine, ritroviamo ancora il brand Fiat, il cui profilo registra più follower in assoluto (oltre 48 mila), ma va specificato che è l'unico del panel ad essere internazionale in quanto viene gestito in doppia lingua (italiano/inglese). Se invece cerchiamo il profilo italiano più seguito in assoluto il palmares va attribuito a quello di Seat italia con oltre 22 mila follower, mentre sul versante engaging svetta Peugeot Italia con più di 5.200 interazioni ricevute tra citazioni spontanee, retweet, reply e favorite.
(Fonte: www.corrierecomunicazioni.it - 8/5/2014)

mercoledì 28 maggio 2014

Fiat 124 Sport Spider: il ritorno del mito


Dici Fiat e pensi alla 500, alla Panda, alla Uno, alla Punto, in generale ad automobili tutte casa-supermercato-ufficio, magari con qualche tocco di glamour qua e là ma pur sempre pratiche e tendenzialmente piccole. Eppure, Fiat è stata anche altro: anni gloriosi che solo chi ha i capelli bianchi può ricordare. Un nome a caso? 124 Sport Spider, che non a caso a Torino - o a Londra, a Detroit, ad Amsterdam, insomma dove vengono o verranno prese le decisioni per Fiat Chrysler Automobiles in futuro - hanno deciso quasi definitivamente di rispolverare per la piccola due posti scoperta che nascerà sulla base meccanica della futura Mazda MX-5. In Fiat dunque non sono scesi a compromessi e, per il ritorno in un segmento in cui domina la passione, hanno deciso di allearsi con i padri della spider più amata al mondo, la “Miata”.
FIAT-MAZDA, L’ALLEANZA CHE NON TI ASPETTI - Motore anteriore e trazione posteriore: l’erede della Fiat 124 Sport Spider che debutterà il prossimo anno avrà tutte le carte in regola per esaltare gli appassionati della guida e se anche voi state pensando che l'identikit era perfetto per la rinascita del Duetto dell'Alfa Romeo... Beh, non siete gli unici. Pare però che Harald Wester, n°1 dei Marchi Alfa Romeo e Maserati, abbia caldeggiato a Marchionne l'utilizzo del brand Fiat perché l'Alfa Romeo si preferisce tenerla legata all'Italia a 360 gradi, dal design alla progettazione, dall'assemblaggio alla sede: difficile dunque far passare per Made in Italy un prodotto concepito in Giappone. Avete dubbi? Date un’occhiata alla storia della gestione Fiat di Alfa Romeo. Oltre a questo, optando per la Fiat 124 Spider al posto dell'Alfa Romeo Duetto, in FCA si tengono aperta una possibilità con Abarth: si parla già di una versione ben più velenosa di quella standard, con il marchio dello Scorpione sul cofano. Quando si dice: due piccioni con una fava.
SPIDER ITALIANA DI SUCCESSO - In realtà la rinascita di un modello storico e per certi versi leggendario come la Fiat 124 Sport Spider deve rispettare una serie di parametri irrinunciabili come la sportività semplice e genuina, l’italianità riconoscibile al primo sguardo e finiture degne di un’auto da corsa. Così era infatti la prima Fiat 124 Sport Spider, quella nata nel 1966 con il pianale accorciato della nota Fiat 124 berlina a quattro porte. La compatta scoperta con capote in tela lunga meno di quattro metri era all’inizio dotata di un evoluto motore bialbero quattro cilindri di 1,4 litri e 90 CV che la spingeva fino ai 170 km/h, ma la sua costante evoluzione l’ha portata negli anni ad accrescere la cilindrata a 1.6, 1.8 e 2 litri anche Volumex da 135 CV nella Spidereuropa, l’ultima versione prodotta da Pininfarina fino al 1985. Al suo fianco ha fatto la storia dell’automobilismo sportivo la Fiat 124 Abarth Rally, purosangue da corsa con 128 CV che è riuscita a vincere due Campionati europei rally (1972 e 1975) e ad arrivare per quattro volte seconda nel mondiale (1972-75).
200.000, QUASI TUTTE PER GLI U.S.A. - Della Fiat 124 Sport Spider sono stati prodotti in totale 198.120 esemplari, 170.720 dei quali destinati al mercato U.S.A. Per l’epoca si tratta di numeri molto interessanti, soprattutto nell’ottica di un prodotto italiano che ha avuto un successo epocale oltreoceano, dove però è ancora ricordata per la sua facile tendenza alla ruggine. Le 1.013 unità della Fiat 124 Abarth Rally sono state invece tutte vendute in Europa e qui hanno consolidato il mito delle sportivette italiane, agili, leggere e scoperte come la 124, con il marchio dello Scorpione o senza.
(Fonte: www.omniauto.it - 25/5/2014)

martedì 27 maggio 2014

Marchionne agli americani: “Non comprate la Fiat 500e”


“Spero che non compriate la 500 elettrica, perché ogni volta che ne vendo una perdo 14.000 dollari. Sono abbastanza onesto da ammetterlo”. Lo ha detto l’amministratore delegato di FCA, Sergio Marchionne, mercoledì scorso durante una conferenza a Washington. Parole che mai ci si aspetterebbe di sentire dal capo di un’azienda, soprattutto visti gli sforzi che l’industria dell’auto sta facendo per convincere i consumatori a compare le varie Volkswagen, Renault, Nissan a batterie. Ma l’uscita del manager italo- canadese, in realtà, è soltanto la riproposizione di un suo vecchio cavallo di battaglia: da anni, Marchionne sostiene che produrre auto elettriche sia antieconomico. Solo che questa volta l’ha detto in maniera così eclatante che la battuta ha fatto il giro del mondo. Secondo Marchionne, tutte le Case (ad eccezione della Tesla) vendono le elettriche in perdita. In California, Fiat-Chrysler è costretta a commercializzare la versione elettrica della 500 – che vende lì e solo lì, e soltanto perché non può farne a meno – ad un prezzo inferiore al costo di produzione. Perché? Le leggi locali impongono a tutti i costruttori che una certa percentuale delle loro vendite sia composta da veicoli “zero emissioni allo scarico“, pena la revoca della licenza di vendita nello Stato. E la California è uno Stato importante, che conta per circa un decimo dell’intero mercato statunitense. Per rispettare la legge, quindi, la Fiat non solo deve avere a listino un modello elettrico, ma deve anche riuscire a piazzarlo ad un prezzo competitivo, a costo di rimetterci del denaro: la 500e – così si chiama – è in vendita 32.300 dollari, ma grazie a sconti vari e incentivi il prezzo si abbassa a 19.300 dollari, appena 2.000 in più rispetto alla versione a benzina. La Fiat non comunica i dati di vendita del modello, ma Marchionne ha detto: “Ne venderò il minimo necessario, non una di più. Se vendessimo solo elettriche”, ha aggiunto Marchionne, “dovrei tornare a Washington a chiedere un prestito: saremmo in bancarotta”. Purtroppo per lui, però, la California non è un caso isolato: alla marcia ecologista si stanno unendo altri sette Stati (per un totale del 23% del mercato U.S.A.) che condividono l’obiettivo comune di raggiungere il 15% di auto elettriche sul totale delle auto nuove entro il 2025. Ancora prima che le normative imponessero di investire nell’elettrificazione, in realtà, la Fiat mostrava una certa sensibilità sull’argomento: nel 1990, per esempio, andò in vendita la Panda Elettra. Ma oggi la casa punta soltanto sul miglioramento dei motori a combustione interna e, al massimo, sul gas. Durante la presentazione-fiume del piano quinquennale 2104-2018, lo scorso 6 maggio a Detroit, l’unica slide che, fra le centinaia di diapositive proiettate, riguardasse l’elettrificazione recitava laconicamente: “la strategia di FCA è di introdurre l’elettrificazione per soddisfare le normative e dove si prevede la domanda dei clienti”, seguita da una considerazione sull’elettrificazione “sovraesposta sui mezzi d’informazione”. E basta. Modelli in arrivo? A parte la 500e, è prevista nel 2016 una versione ibrida di minivan per gli Stati Uniti, niente più. Del resto, l’ad di FCA l’ha detto anche al Salone di Ginevra a inizio marzo: per lui, l’elettrico non ha futuro. Quella di Marchionne, però, è una voce fuori dal coro. Vuoi per una questioni d’immagine, vuoi perché oggi, almeno con gli ibridi, i soldi si fanno, tutti gli altri principali gruppi automobilistici mondiali hanno già in produzione modelli elettrificati. Forse sarà meno “sincero” di Marchionne, ma l’amministratore delegato del gruppo Volkswagen, Martin Winterkorn, ha parlato pochi giorni fa dell’elettrificazione come “dell’alba di una nuova era” e il numero uno di Renault-Nissan, Carlos Ghosn, che pure ha dovuto rivedere al ribasso le sue stime di vendita, si sta giocando la faccia con un investimento di quattro milardi nel settore delle elettriche. Senza contare che il maggior mercato mondiale, la Cina, ha deciso di supportare l’installazione di fabbriche di auto elettriche e plug-in. Certo, la strada da fare è ancora tanta: oggi la rete di ricarica pubblica è ancora poco ramificata e le auto elettriche, senza incentivi, non sono competitive in termini di prezzo e prestazioni, come dimostrano gli scarsi volumi di vendita. Ma gli investimenti tecnologici si fanno sul lungo termine e Marchionne non può non saperlo: se Fiat-Chrysler lascia campo libero agli altri, corre il rischio di trovarsi irrimediabilmente in ritardo fra qualche anno, quando la tecnologia sarà matura. Allora, a meno che i suoi colleghi non siano dei visionari, viene un dubbio: che Sergio pensi molto ai soldi che la Fiat può fare adesso, e molto poco che a quello che accadrà quando lui sarà in pensione.
(Fonte: www.ilfattoquotidiano.it - 25/5/2014)

lunedì 26 maggio 2014

Elkann: "Il valore di Exor è cresciuto del 400% in 5 anni"


«In cinque anni abbiamo fatto crescere il valore di Exor del 400%, un aumento pari a dieci volte quello dell'indice Ftse Mib della Borsa di Milano». John Elkann - presidente di Exor - ha tutti i motivi per essere soddisfatto quando elenca, aprendo l'assemblea dei soci, gli eventi principali dei cinque anni trascorsi da quando la holding quotata della famiglia Agnelli (di cui la G. Agnelli & C. controlla il 51,4% del capitale) è nata dalla fusione di Ifi e Ifil. «Abbiamo semplificato il nostro portafoglio, vendendo investimenti piccoli come Alpitour e valorizzando i più rilevanti come Intesa Sanpaolo o Sgs; Fiat ha visto lo spinoff dei capital goods, che ha portato alla creazione di Cnh Industrial, e l'alleanza con Chrysler». L'assemblea ordinaria Exor, che si è tenuta allo stabilimento Maserati di Grugliasco, ha approvato i conti 2013, la relazione sulla remunerazione e ha autorizzato un nuovo piano di riacquisto di azioni proprie; Exor ha già in portafoglio quasi il 10% del capitale, per un controvalore (ai prezzi attuali) di circa 750 milioni di euro. A cinque anni dalla nascita Exor è ora più ricca, ha consolidato la posizione di Fiat (con Chrysler) e di Cnh Industrial senza sborsare un euro, ha incassato la maxiplusvalenza di Sgs e si ritrova ora con una liquidità lorda di due miliardi e mezzo di euro. Cosa farne? Per ora i fondi sono stati investiti «con l'obiettivo di salvaguardare il capitale», con un rendimento che «nel 2013 è stato pari all'1,9%». A parte il buy back, per il quale è stata rinnovata l'autorizzazione ma che «non è conveniente ai prezzi attuali», all'orizzonte restano «uno/due grandi investimenti», anche se «non abbiamo fretta». Ecco l'identikit dei potenziali obiettivi: «Potrebbero essere aziende con radici europee o americane, ma globali; più probabilmente nel settore dei servizi, che richiede un minor impiego di capitali rispetto a Fiat o a Cnh Industrial». Non è escluso un aumento della quota nella società editrice del britannico "The Economist", che finora ha dato più di una soddisfazione: «è una delle poche aziende di media che sta andando molto bene nonostante la crisi: ha aumentato i profitti da quando siamo entrati noi e anche il dividendo, che assicura un rendimento superiore al 6 per cento». Gli altri investimenti di Exor, a cominciare da Fiat, non hanno secondo Elkann bisogno del sostegno dell'azionista. I piani di Fiat "sono considerati finanziabili con l'attuale struttura del capitale"; "i target sono credibiili e il piano non è velleitario. Per realizzarlo non c'è bisogno di un terzo partner", ha detto Elkann rispondendo alla domanda su una possibile alleanza di Fiat Chrysler in Asia. Parlando da uno stabilimento del gruppo Fiat, il presidente del gruppo ha approfittato per rilanciare i progetti del Lingotto nel nostro Paese: "La componente italiana di Fca è importante e ha potenzialità di sviluppo prima inimmaginabili se non avessimo costruito un grande gruppo con Chrysler". Anche Rcs, in cui Fiat ha una quota del 20,55%, "non necessità di nuovi capitali". Quanto alla polemica con Diego Della Valle, il presidente Exor ha detto che "Della Valle è uomo pratico che guarda al sodo: ha visto che il valore del suo investimento è salito rispetto all'aumento di capitale, e credo si sia messo l'anima in pace". Il presidente Exor ha detto di vedere positivamente l'investimento in Rcs da parte di Urbano Cairo. Niente mezzi freschi, infine, neppure per la Juventus. Elkann ricorda con soddisfazione che "è dagli anni 30 che non vinceva tre scudetti di fila" ma chiarisce che la squadra dovrà ritentare l'assalto europeo con i mezzi che ha ora: "La volontà di avere una rosa di giocatori al top si deve conciliare con i vincoli di bilancio". Elkann ha aggiunto che "i casi di Atletico Madrid e Borussia Dortmund dimostrano che i soldi non sempre fanno la differenza. La capacità organizzativa, la grinta e anche la fortuna aiutano". La Juventus, del resto, "ha in Europa uno degli organici più importanti". E il prossimo calciomercato? "Se ne parlerà dopo i mondiali". «In cinque anni abbiamo fatto crescere il valore di Exor del 400%, un aumento pari a dieci volte quello dell'indice Ftse Mib della Borsa di Milano». John Elkann - presidente di Exor - ha ripercorso con soddisfazione, aprendo l'assemblea dei soci, i cinque anni trascorsi da quando la holding quotata della famiglia Agnelli è nata dalla fusione di Ifi e Ifil. Exor (di cui la G. Agnelli & C. controlla il 51,4% del capitale), ha vissuto cinque anni molto intensi: «Abbiamo semplificato il nostro portafoglio, vendendo investimenti piccoli come Alpitour e valorizzando i più rilevanti come Intesa Sanpaolo o Sgs; Fiat ha visto lo spinoff dei capital goods, che ha portato alla creazione di Cnh Industrial, e l'alleanza con Chrysler». Dal punto di vista societario, ha aggiunto Elkann, Exor ha semplificato il capitale - con la conversione delle azioni di risparmio e privilegiate in ordinarie - e ridotto i costi di funzionamento. In più la Juventus ha vinto 3 scudetti: «Era dagli anni 30 che non vinceva tre campionati di fila!». L'assemblea ordinaria Exor, che si tiene allo stabilimento Maserati di Grugliasco, è convocata per approvare i conti 2013, la relazione sulla remunerazione e per autorizzare un nuovo piano di riacquisto di azioni proprie; Exor ha già in portafoglio quasi il 10% del capitale, per un controvalore (ai prezzi attuali) di circa 750 milioni di euro. Nel corso dell'assemblea, Elkann ha risposto a una serie di domande di azionisti, analisti e anche studenti dall'Università di Torino. A una domanda sulla gestione dell'elevata liquidità (2,5 miliardi di euro), ha risposto che i fondi sono stati investiti «con l'obiettivo di salvaguardare il capitale», con un rendimento che «nel 2013 è stato pari all'1,9%». Il presidente ha difeso l'investimento nell'Economist: «È piccolo sul totale, e la società è fra le poche nel settore dei media che sta andando bene». Quanto ai Paesi emergenti, «è meglio - ha detto - investire sulla Cina tramite la presenza di Fiat che non acquistare direttamente». Ribadita infine la disponibilità a fornire nuove risorse ai piani di sviluppo di Fiat, piani che però «sono considerati finanziabili con l'attuale struttura del capitale».
(Fonte: www.ilsole24ore.com - 22/5/2014)

domenica 25 maggio 2014

FCA e libri (2): "Made in Torino?"


Ottimisti o pessimisti che siano, i mutevoli luoghi comuni si basano spesso su falsi miti che l’analisi di Fiat-Chrysler aiuta a mettere in discussione. Il futuro dell’industria nei Paesi industriali è possibile, ma si basa su strategie e scelte molto precise che è bene avere molto chiare.
LA QUESTIONE DEL COSTO DEL LAVORO - Il primo falso mito è che il principale parametro di costo sia il salario e che l’unico modo per competere con i Paesi emergenti sia abbassare la remunerazione e limitare altri benefici del lavoro. Certamente tutte le nuove economie industriali hanno mosso i primi passi da attività ad alta intensità di lavoro (abbigliamento, calzature ecc.) e mano d’opera abbondante e a basso costo ha garantito un formidabile vantaggio competitivo iniziale. Se a ciò si aggiungono regole meno stringenti, minori vincoli ambientali, una difesa più limitata dei diritti di proprietà intellettuale, abbondanti sussidi pubblici ed un mercato interno in rapida espansione, abbiamo abbastanza elementi per spiegare la spettacolare crescita della manifattura in paesi come la Corea del Sud, Singapore e più tardi la Cina e l’India.
COME SI DECIDE LA LOCALIZZAZIONE - Teorie e studi empirici di commercio internazionale e geografia economica mettono in evidenza invece come la localizzazione delle attività industriali segua vie complicate che possono solo in parte essere influenzate dal costo di fattori di produzione come il lavoro, da tasse basse o da regole poco stringenti. Elementi come la dimensione del mercato, le economie di scala, i costi di trasporto, le preferenze dei consumatori, le economie di agglomerazione, le conoscenze tecnologiche interagiscono con il costo dei fattori nel determinare la geografia delle attività industriali. Questo vale soprattutto per attività integrate geograficamente come tipicamente è l’automobile.
I VANTAGGI COMPETITIVI - Questa combinazione di elementi genera nel tempo vantaggi competitivi che sono difficili da smantellare e sono dunque profondi. Vantaggi che dipendono dalla disponibilità sul territorio di servizi, infrastrutture e forza lavoro specializzata. Per questa ragione si continuano a produrre automobili negli Stati Uniti, in Germania o in Italia; l’Italia, la Germania e gli Stati Uniti continuano ad essere i maggiori esportatori di macchinari industriali; molte imprese in industrie tradizionali come il tessile riescono comunque a sopravvivere in paesi ad alto costo del lavoro come l’Italia o la Francia.
IL COMANDAMENTO DELLA PRODUTTIVITA’ - Insomma, le economie mature non possono fondare la propria competitività sul basso costo del lavoro o su un deterioramento delle condizioni dei lavoratori. La ristrutturazione dell’industria dell’auto americana nel 2009 ha anche implicato tagli considerevoli ai salari e ai benefici per i lavoratori delle Big Three. Ma, come abbiamo visto, questi avevano raggiunto livelli insostenibili, anche in confronto ad altri produttori sul territorio americano. Anche se la concorrenza dai Paesi emergenti certamente mette sotto pressione i lavoratori delle economie industriali, ciò non implica e non può implicare un deterioramento significativo nelle condizioni dei lavoratori. La competitività in questi Paesi deve essere rafforzata riducendo l’incidenza del costo del lavoro in altri modi, soprattutto aumentando la produttività ed il valore aggiunto dei prodotti finiti.
IL SECONDO FALSO MITO - Il secondo falso mito è che ci sia una semplice strategia low cost sostenibile per la sopravvivenza della manifattura nei paesi avanzati. Contenere i costi è ovviamente fondamentale. Nella produzione automobilistica, normalmente questa preoccupazione si traduce in un’ossessione per la scala. Come abbiamo visto, questo è uno dei razionali fondamentali di FCA: abbattere i costi fissi attraverso una crescita dei volumi. Senza l’accordo né Fiat né Chrysler avevano molte possibilità di sopravvivere da sole per insufficienza di scala. Non basta aumentare le automobili costruite. È necessario razionalizzare la gamma dei prodotti offerti accorpandoli in famiglie sufficientemente omogenee da condividere molti elementi in comune, senza tuttavia sacrificare la differenziazione richiesta dal mercato. Come già fatto da molti concorrenti, Fiat e Chrysler insieme possono ottenere scala e varietà di modelli adeguate razionalizzando e combinando le piattaforme.
IL PENDOLO QUALITA’/COSTI - Ma anche scala e varietà da sole non bastano. Occorre qualità, quello che permette ad un’azienda di generare maggiore valore aggiunto, vendendo più auto ad un dato prezzo o facendo pagare un prezzo maggiore per un dato costo di produzione. Come Chrysler, Fiat e molti altri produttori hanno imparato sulla propria pelle, non c’è prezzo abbastanza basso a compensare la cattiva qualità di un’automobile. La compressione dei costi non funziona se implica bassa qualità e poca varietà in un contesto in cui gli investitori devono poter essere ripagati e i lavoratori devono poter mantenere standard di vita adeguati in un quadro regolatorio sofisticato (in termini di norme ambientali, regolamentazione dei prodotti, politica della concorrenza ecc.).
L’ESEMPIO DI RENAULT CON DACIA - Mettere in atto questa strategia alta è essenziale per imprese che operano in economie mature. Una strategia bassa, che riduca drasticamente i costi senza investimenti adeguati in qualità, sarebbe un suicidio, costantemente superata al ribasso da imprese dei paesi emergenti. Il che determinerebbe inevitabilmente la chiusura o il trasferimento di buona parte delle attività industriali nei paesi a basso costo del lavoro. Le imprese che perseguono una strategia «bassa» con successo, come Renault con Dacia, basano le loro produzioni low cost nei paesi emergenti. Certo, in molti settori, dove è possibile frammentare la produzione geograficamente e costruire catene del valore globali, è anche possibile che la produzione di alcuni componenti o l’assemblaggio vengano delocalizzati. Ma questa opzione spesso consente di mantenere e rafforzare le attività a più alto valor aggiunto nei paesi avanzati.
IL TERZO FALSO MITO - Il terzo falso mito è che la macchina sostituirà completamente l’uomo e che solo fabbriche completamente automatizzate sopravviveranno in paesi ad alto costo del lavoro. Per ora le macchine non possono sostituire completamente gli uomini. Come abbiamo visto, anche nella produzione di automobili, uno dei settori con il più elevato contenuto di tecnologia. Ovviamente c’è stata un’automazione fortissima dai tempi delle fabbriche-città come Mirafiori o River Rouge della Ford, ma l’assemblaggio delle automobili continua comunque a richiedere diverse operazioni manuali che le macchine non sono in grado di replicare.
IL QUARTO FALSO MITO - Il quarto ed ultimo falso mito riguarda la politica economica e l’idea che per sostenere la manifattura sia necessario preservare lo status quo. Abbiamo visto chiaramente nel caso dell’automobile che durante crisi e recessioni, soprattutto se prolungate come quelle degli ultimi anni, c’è naturalmente la preoccupazione per chi decide la politica economica di evitare la perdita irreversibile della massa critica industriale e dei vantaggi competitivi «profondi» per non trovarsi fuori dai giochi al momento dell’eventuale ripresa. Molto spesso questa preoccupazione si traduce nell’obiettivo di mantenere a tutti i costi i livelli occupazionali di ogni singola impresa anche nel breve periodo. Questo approccio, per quanto comprensibile, perde di vista il fatto che non tutte le imprese, anche in uno stesso settore e anche nello stesso momento storico, hanno lo stesso destino. Ridurre capacità in eccesso chiudendo attività deboli e inefficienti, per quanto doloroso, può servire a ridimensionare l’industria a livelli contingenti compatibili con la domanda finale e con i guadagni di produttività che tecnologia e innovazione, anche organizzativa, permettono di raggiungere. Questo è un processo che può essere salutare, in quanto libera risorse per una futura crescita più vigorosa.
(Fonte: www.formiche.net - 6/5/2014)

sabato 24 maggio 2014

FCA e libri (1): "American Dream"


Il giorno prima la presentazione del piano industriale 2014-2018 ad Auburn Hills con obiettivi ambiziosissimi e grandi promesse di modelli e investimenti, e soprattutto con gli analisti che si erano affrettati ad alzare il target price delle azioni Fiat. Il giorno dopo, alla prima prova della Borsa, il tonfo a Piazza Affari: prima una sospensione per eccesso di ribasso e poi una chiusura drammatica, con le quotazioni scese in un giorno di 11 punti percentuali. Perché tanta sfiducia sul titolo FCA? I motivi sembrano tre: una semplice volontà di realizzo, dopo un anno di forte crescita; una bocciatura della trimestrale, chiusa con perdite pesanti, anche se prevedibili dopo l'investimento per l'acquisto delle quote rimanenti di Chrysler da parte di Fiat. Ma è l'ultimo possibile motivo a meritare maggiore attenzione: è stato anche un rifiuto del piano industriale 2014-2018? «Uno degli elementi per spiegare il calo è che in questo piano gli analisti si aspettavano più dettagli – risponde Aurelio Nervo, presidente dell'associazione dei componentisti dell'automotive Anfia -. In più c'è qualche preoccupazione: la crescita prevista per Jeep è estremamente alta e gli investimenti richiesti elevatissimi. Ci sono perplessità. La trimestrale ha poi influenzato il giudizio. Si sconterà per qualche giorno questa perplessità, poi la situazione si stabilizzerà». A sintetizzare le perplessità ci pensa Marco Cobianchi, autore del libro “American Dream: così Marchionne ha salvato la Chrysler e ucciso la Fiat” (edizioni Chiarelettere). «L'idea di saturare gli impianti italiani è un atto di fede. Dobbiamo credere che in Italia ci saranno 400mila Alfa Romeo, 200mila Jeep, più le altre novità annunciate. Ma la storia gioca contro Marchionne: è il nono piano industriale nei suoi dieci anni alla Fiat e gli 8 piani precedenti sono stati realizzati al 50 per cento. Inoltre Marchionne non prevede di distribuire dividendi: così l'unico motivo valido per investire in FCA è credere, appunto con un atto di fede, che riesca a realizzare il piano. Infine una considerazione: ha annunciato che non ci saranno aumenti di capitale, anche se da 15 anni gli azionisti non investono un euro, pur avendo comprato un colosso internazionale come Chrysler». Le considerazioni sull'esclusione di un aumento di capitale vanno di pari passo a quelle sui debiti. «Nel 2013 – continua Cobianchi - il debito totale del gruppo Fiat-Chrysler era di 30 miliardi, di cui 20 a carico della Fiat, un numero enorme. Quando Marchionne dice che investirà 55 miliardi (o 50) in cinque anni, la domanda è: dove diavolo li andrà a prendere, visto che non farà un aumento di capitale?». A suscitare le speranze maggiori, per il sistema industriale italiano, è stato l'annuncio che ci saranno 5 miliardi di investimenti per il marchio Alfa Romeo, tutti concentrati in Italia, dove saranno prodotti i 7-8 modelli che saranno sviluppati nel prossimo quinquennio. Anche su questo punto Cobianchi invita alla cautela: «Nel 2010 Marchionne annunciò che nel 2014 sarebbero state prodotte 500mila vetture Alfa Romeo. Il numero scese nel 2011 a 400mila unità, nel 2012 a 300mila. La realtà è che nel 2013 sono state prodotte 75mila Alfa. Nessuno dubita della buona fede di Marchionne, ma la storia è un'altra». Per lo scrittore e giornalista economico di Panorama la palla ora va nelle mani dei politici. «Il governo deve interloquire con Fiat per sapere se c'è bisogno di un intervento pubblico. Non vorrei che succedesse come con lo stabilimento di Termini Imerese: Marchionne aveva fatto capire due anni prima che andava chiuso e la politica ha dato l'impressione di accorgersene solo quando l'impianto è stato effettivamente chiuso. Se il governo dice che questo piano funziona, mi fa piacere. Ma i governi si sono sempre fidati dei piani precedenti e il risultato è che a Mirafiori si lavora 3 giorni al mese. E vorrei anche far notare che - a differenza di quanto dice Marchionne - in 10 anni sono stati dati alla Fiat 1,7 miliardi solo di cassa integrazione. Per 6 dei 10 anni alla guida di Fiat di Marchionne ci sono stati incentivi alla rottamazione». Le preoccupazioni dell'autore di “American Dream” sono solo in parte condivise dagli industriali che si dovranno rapportare con la Fiat. A partire da Aurelio Nervo dell'Anfia. «Indubbiamente ci sono degli elementi buoni nel piano - commenta -. La focalizzazione su brand internazionali, come Jeep e Alfa, è estremamente positiva. Non avrei visto altrettanto bene un generico piano di aumento delle piattaforme». In particolare, per l’Italia, continua, «un grosso impatto lo avrà lo sviluppo della piattaforma Alfa: 5 miliardi di euro sono un investimento molto forte, che darà un impulso all'innovazione. Il fatto che Alfa sia un brand internazionale (prodotto solo in Italia e venduto in tutto il mondo, ndr) crea opportunità per i fornitori per farsi conoscere a livello globale e stringere accordi anche con altri produttori, come già molti dei fornitori stanno facendo». Rispetto al passato, secondo il presidente dei componentisti, ci sono due motivi per essere ottimisti: «il piano precedente – commenta – aveva trovato un mercato estremamente negativo in Europa e si trovava di fronte il problema ancora aperto dell’acquisizione di Chrysler. Si accantonò quindi l'idea di investire su nuovi modelli. Ora il quadro è diverso». A mancare, tuttavia, per Nervo è «il dettaglio su quando e dove si faranno gli investimenti. Inoltre non ci sono prospettive di crescita di volume per il marchio Fiat. Oggi Fiat produce 260mila auto in Italia; con le 400mila Alfa, le Jeep e le Maserati arriveremo sulle 700-750mila vetture: meglio di oggi, ma la cifra è lontanissima dai quasi due milioni di qualche anno fa, e rimane distante dai volumi di Spagna, Francia e soprattutto Germania». Qualche informazione in più sugli sviluppi in Italia li dà Giacomo Cacciabue, Global Key Account Manager di Kostal, multinazionale della meccatronica per l'automotive che ha una delle sue sedi a Rivoli (Torino) e che vede Fiat tra i principali committenti. «Dai commenti che ho colto, non c'è nulla di molto nuovo rispetto alle voci che si erano raccolte in Fiat – spiega -. Come Kostal stiamo lavorando per un componente su un nuovo modello Alfa. In gergo si è chiamato finora “progetto Giorgio”». Per Cacciabue «c'è stata la conferma che ci saranno vetture con contenuti a bordo vettura. Noi sulla nuova Alfa stiamo predisponendo un impianto molto più ricco rispetto a quelli realizzati per Lancia o Fiat Panda, su una qualità allineata a quella di Bmw e Audi. Se pensiamo che il SUV di Maserati avrà come target la Porsche Cayenne, si capisce di cosa si sta parlando». Quanto agli impianti, riassume il manager, a Mirafiori ci saranno un paio di modelli Alfa Romeo e il SUV Maserati. Cassino, che oggi produce la Giulietta, la Bravo e la Delta, dovrebbe diventare uno stabilimento completamente Alfa Romeo. Melfi avrà la Jeep Renegade e la 500X. La ex Bertone di Grugliasco (Torino) continuerà a produrre Maserati. Pomigliano terrà la Panda; storicamente è uno stabilimento Alfa Romeo e si può ipotizzare un'inversione di produzione con Cassino». Molto limitate sono invece le informazioni sul nuovo modello di fascia C (quello della Volkswagen Golf, per intenderci), che dovrebbe sostituire la Fiat Bravo. Quello che di certo non convince Cacciabue è la notizia, anticipata dalla stampa specializzata di uno scorporo di Alfa Romeo da FCA. «Se a Mirafiori arriveranno il SUV Maserati e alcuni modelli Alfa, pare impossibile scorporare e poi vendere l'Alfa Romeo, perché la produzione sarebbe troppo legata a quella di altri marchi».
(Fonte: www.linkiesta.it - 8/5/2014)

venerdì 23 maggio 2014

Jeep (2): Bill Zheng sul design del Cherokee


La nuova Jeep Cherokee non è solo il primo SUV 4x4 ad utilizzare il pianale Compact U.S. Wide derivato da quello dell’Alfa Romeo Giulietta e il cambio automatico 9 marce. Dalla sua la Cherokee di quinta generazione ha anche uno stile innovativo e “di rottura” rispetto alla recente tradizione del marchio. Quel frontale appuntito, quelle proporzioni affusolate e basse da station wagon e quei gruppi ottici anteriori su tre livelli hanno un po’ spiazzato il pubblico più tradizionalista di Jeep, che si ritrova solo nel motivo anteriore delle classiche sette feritoie. Per conoscere qualcosa di più sul design e la genesi stilistica della nuova Jeep Cherokee abbiamo incontrato Bill Zheng, Senior Design Manager di Chrysler Group che ci ha raccontato alcuni segreti dell’ultima nata.
Mr. Zheng, ci parli del design di nuova Cherokee...
"Lo stile è stato creato prendendo spunto dalle diverse aree geografiche degli Stati Uniti, con il preciso intento di creare qualcosa di totalmente nuovo, un’auto iconica a grande diffusione che non ripetesse nulla di quanto fatto in precedenza. L’idea di base era quella di dare una svolta alla tradizione creando un SUV che fosse attuale oggi come fra sei anni. Il risultato è questa Cherokee che è al tempo stesso un’icona dell’identità Jeep e una novità che sperimenta una certa libertà formale".
Quali sono gli elementi presi dalla storia dello stile Jeep?
"Le forme classiche sono quelle della calandra “a cascata” con griglia a sette elementi, i passaruota trapezoidali che lasciano spazio alle ruote di affrontare neve, fango o sabbia e il padiglione dalla forma fluida e raccordata che si sposa con i generosi scivoli inferiori ben visibili sulla versione Trailhawk. L’insieme offre già al primo colpo d’occhio l’impressione che con la nuova Cherokee si possa affrontare ogni tipo di percorso, senza titubanze o compromessi; io stesso ho guidato per circa sette mesi uno dei primi esemplari prodotti, apprezzando gli ampi angoli d’attacco e di uscita che non fanno rimpiangere la Wrangler o le Cherokee precedenti".
Quanto di europeo c’è in queste nuove forme?
"Già all’inizio del processo di definizione dello stile il gruppo di lavoro che coordino ha preso in considerazione i gusti e le esigenze dei mercati globali. Un esempio di questo approccio è quello della colorazione esterna, che in mercati come l’Europa e la Cina i clienti vogliono estesa interamente ai paraurti. Una soluzione con molte parti in plastica non verniciata come ad esempio quella della Trailhawk potrebbe essere percepita come “economica” e per questo motivo gli allestimenti Limited e Longitude hanno paraurti in tinta e un’immagine più premium. In pratica abbiamo creato una dualità all’interno della gamma Cherokee, una doppia anima per l’utilizzo più rude in fuoristrada e per quello più cittadino e stradale".
Può spiegarci la soluzione del frontale con fari su tre livelli?
"La migliore spiegazione la troviamo nella versione Trailhawk dove l’elemento centrale che ospita abbaglianti e anabbaglianti è nascosto nella fascia nera del paraurti e lascia ampia visibilità alle luci diurne superiori, una sottile fascia luminosa a LED in stile “Star Wars”. I fendinebbia in basso sono gli unici di forma circolare e creano un’alternanza con le due luci sovrastanti che abbandona la tradizione dei grandi fari rotondi Jeep e si rivolge ad un pubblico più ampio, giovane e meno nostalgico".
Un accenno all’abitacolo...
"Gli interni di nuova Jeep Cherokee sono il risultato di una progettazione pensata per i mercati globali, con ispirazioni da ogni parte del mondo, in particolare Cina e paesi asiatici. Le forme trapezoidali dell’esterno sono riprese poi nella console centrale che ospita il grande display e nel pannello di controllo della climatizzazione, elementi già presenti sulla Grand Cherokee e ripresi dai primi modelli Jeep. Il mondo della natura e quello animale ha invece suggerito il profilo delle bocchette di aerazioni laterali, simili nella forma alle ali di un’aquila e integrate in armonia con il resto dell’abitacolo".
(Fonte: www.omniauto.it - 28/4/2014)

giovedì 22 maggio 2014

Jeep (1): le 3 ragioni del successo europeo


Gli ultimi dati di aprile sulle immatricolazioni auto in Europa fanno emergere un dato molto interessante per il Gruppo Fiat-Chrysler (FCA): il vero e proprio exploit di vendite di Jeep. I risultati commerciali del noto marchio automobilistico americano sono infatti aumentati sensibilmente in tutti i principali mercati europei: in Italia del 58,8 per cento, in Germania del 23,7 per cento, in Francia addirittura del 131,9 per cento. E ancora, nel Regno Unito del 44 per cento e in Spagna del 5,1 per cento. Ma le buone notizie non finiscono qui. Dall’inizio dell’anno Jeep ha superato infatti la soglia delle 10mila immatricolazioni, con un aumento rispetto allo stesso periodo del 2013 del 27,5 per cento. In attesa poi del contributo alle vendite che arriverà dalla piena commercializzazione della Nuova Cherokee, presentata lo scorso mese alla stampa internazionale, la Grand Cherokee si è confermata ancora una volta tra le auto più vendute del suo segmento. L’ammiraglia di casa Jeep in aprile ha infatti aumentato le registrazioni dell’88 per cento rispetto allo stesso mese del 2013, e dall’inizio dell’anno le vendite sono cresciute del 58,5 per cento. Fin qui i numeri, che in maniera molto eloquente danno il segno di una tendenza ben precisa: la Jeep in Europa piace. Per capire però le ragioni di questo amore scoppiato così all’improvviso, abbiamo chiesto l’opinione dell’economista Giuseppe Berta, profondo conoscitore del mercato automotive. “Innanzitutto – spiega il professore della Bocconi – non bisogna dimenticare che in Europa il mercato dell’auto è ormai di pura sostituzione. Questo significa che i consumatori hanno il coltello dalla parte del manico e per poterli avvicinare e convincere può essere importante puntare su un marchio che rappresenta tutto sommato una novità, come Jeep appunto”. Un’affermazione tanto più vera se si pensa che nell’immaginario di tantissimi europei, la Jeep è ancora legata al mito della camionetta militare. In realtà oggi è un brand che propone vetture di altissimo livello e pregio, che potrà dunque fare del suo carico di novità commerciale un’utile leva di successo. Ma gli assi nella manica del marchio americano non finiscono qui. “In Europa – continua Berta – si lavora in maniera sempre più intensa sulle nicchie di mercato che, nonostante numeri assoluti bassi, economicamente possono rendere tantissimo. In questo senso Jeep è ancora una volta perfetta, perché si rivolge appunto ad un segmento molto ristretto di consumatori”. Dunque, effetto novità e ricerca della nicchia di mercato: tutte caratteristiche a quanto pare ben chiare nella testa di Marchionne. “Non a caso – continua Berta – nel piano industriale di Fca, recentemente presentato a Detroit, i punti forti per il futuro erano rappresentati proprio da Jeep e Alfa Romeo. A testimonianza che l’ad del Lingotto ha deciso di puntare con convinzione su questi due marchi”. Tra i quali esiste però una differenza sostanziale, che rappresenta poi un terzo punto di forza di Jeep in Europa. “Mentre per Alfa Romeo – sottolinea infatti l’economista della Bocconi – c’è ancora un futuro tutto da immaginare, con ben 8 modelli nuovi da realizzare, Jeep invece è un marchio che è già immediatamente spendibile, con modelli nuovi già presentati e dunque subito commercializzabili”. Insomma, un mix di condizioni ideali, che fanno del brand americano un possibile outsider del mercato europeo. Con grande soddisfazione di noi italiani, visto che lo stabilimento di Melfi dovrà diventare la base per la produzione di modelli Jeep per l’Europa, con programmi commerciali che parlano di 200mila esemplari da realizzare da qui al 2018.
(Fonte: http://economia.panorama.it - 16/5/2014)

mercoledì 21 maggio 2014

Fiat 500X (2): primi dettagli del frontale


Un muletto della Fiat 500X, basata sulla stessa piattaforma della Jeep Renegade, è stato fotografato in Italia durante alcuni collaudi su strada. Rispetto alle immagini pubblicate lo scorso aprile, le differenze sono davvero limitate: i cerchi di lega hanno un diverso disegno ed è leggermente differente la camuffatura del lunotto e del paraurti posteriore. Sono più interessanti, tuttavia, le inedite immagini del frontale della vettura, che forniscono qualche indizio circa lo stile deciso dai vertici della Fiat per rendere il nuovo modello indissolubilmente legato alla famiglia 500. Tra le plastiche protettive possiamo scorgere un taglio di cofano e gruppi ottici che richiama proprio alla capostipite della gamma, mentre il paraurti frontale sembra protendersi in avanti in maniera simile alla 500L. La 500X potrebbe essere presentata in anteprima il prossimo 4 luglio per poi "sfilare" in versione definitiva al Salone di Parigi 2014.
(Fonte: www.quattroruote.it - 5/5/2014)

martedì 20 maggio 2014

Fiat 500X (1): prime foto delle lamiere


La foto arriva direttamente dalle linee produttive dello stabilimento Sata di Melfi. Dopo la Jeep Renegade, ormai pronta a invadere il mercato dell’auto, anche la Fiat 500X scalda i motori. Il debutto è fissato per il prossimo 4 luglio, una data simbolo dato che la primissima 500, la Cinquecento, venne presentata proprio il 4 luglio 1957. Ora il Gruppo Fiat Chrysler Automobiles ha rilasciato alcune foto ufficiali che mostrano il corpo vettura della Fiat 500X in fase di assemblaggio alla Sata. Se si guarda con attenzione alle immagini, si può notare sullo sfondo il corpo di una Jeep Renegade, cosa piuttosto logica dato che le due auto vengono assemblate nel medesimo stabilimento su due linee parallele. Le linee tipiche della Fiat 500 sono state per quanto possibile mantenute, anche se la Fiat 500X risulta più larga della citycar torinese: questa foto ci dà un’idea di quale sarà il risultato finale, anche se qualche modifica di minore importanza potrebbe essere apportata all’ultimo momento.
(Fonte: www.nuovadelsud.it - 18/5/2014)

lunedì 19 maggio 2014

Harald Wester: un tedesco per il rilancio di Alfa Romeo


Dicono che il suo motto sia 'meno è meglio'. Perché è uno di quegli ingegneri fanatici della semplificazione, uno di quelli che pensano che riducendo la complessità dei sistemi che governano l'automobile si guadagni in affidabilità e si possano concentrare gli sforzi sul miglioramento della qualità. Harald Wester, 56 anni da Linz, Germania, è il tedesco che combatte i tedeschi. È l'uomo al quale Sergio Marchionne ha affidato il compito più delicato nel piano quinquennale della nuova Fiat Chrysler. E, se riuscirà nella mission, sarà certamente nella rosa di coloro che potranno aspirare, non prima del 2018, a succedere al manager con il maglioncino. Chi lo conosce bene rivela che 'il successo nel rilancio della Maserati lo ha reso anche più sciolto nella comunicazione'. Tedesco preciso e schivo non era certo, ai suoi inizi nel gruppo Fiat, uno di quei manager che compaiono spesso sui giornali. Eppure il suo curriculum è di tutto rispetto. Inizia (ovviamente) in Volkswagen e a 33 anni diventa responsabile della divisione ricerche e prototipi. A 37 anni trasloca in Audi. Ma tre anni dopo, nel gennaio del 1999 arriva a Maranello, a dirigere la divisione sviluppo prodotto della Ferrari. Sono i mesi che precedono l'era Schumacher. Quell'anno il Cavallino vince il titolo costruttori che mancava dal 1983. Wester non si occupa di corse ma di auto stradali, di gran turismo, che sono poi uno dei tanti modi con cui a Maranello trasformano il mito della Formula 1 in denaro contante. Progetta supercar per un pubblico molto esigente, lontano anni luce dal popolo che affolla i concessionari delle utilitarie. Wester sviluppa gran turismo per tre anni. Poi, con una scelta a sorpresa, nel 2002 migra alla Magna di Herbert Demel, a preparare la nuova Saab turbo. Gli analisti della stampa specializzata insorgono: 'Che qualcuno decida di abbandonare la Ferrari in un periodo di successi come questo pare impossibile. Eppure accade', scrive Quattroruote. Con Demel, Wester ha in comune gli inizi della carriera in Vw e Audi e la passione per l'ingegneria dei motori. Pochi mesi dopo l'ingresso di Wester in Magna è Demel a fare il percorso inverso, chiamato dall'amministratore delegato di Fiat dell'epoca, Giuseppe Morchio, a guidare l'auto del Lingotto. Ma la permanenza in sella di Demel dura poco, in un periodo in cui, come è stato detto, 'gli amministratori delegati in Fiat entrano ed escono come i clienti degli alberghi nella porta girevole'. Effettivamente è un periodo piuttosto turbolento ai vertici della casa di Torino. Le banche stanno a guardare un'azienda sull'orlo del fallimento in attesa di spartirsene le spoglie con una specie di spezzatino che avrebbe disgregato la più grande azienda privata italiana. Morchio non sfugge al destino dei suoi predecessori e lascia a giugno del 2004. Una delle prime mosse del nuovo amministratore delegato, Sergio Marchionne, è quella di richiamare in Fiat auto Harald Wester e nominarlo responsabile dell'area tecnica. Pochi mesi dopo, a febbraio del 2005, Marchionne prende in mano anche la guida di Fiat auto sostituendo Demel. Così, in pochi mesi, l'ingegnere di Linz diventa uno dei principali collaboratori del manager italo-canadese. La collaborazione tra due manager con le idee molto precise sul da farsi è fatta di confronti e scontri. Wester viene dalla scuola Ferrari e in Fiat è sempre stato abituato a lavorare con una certa autonomia rispetto alla casa madre. Un tratto che è emerso anche martedì scorso, in occasione della presentazione del piano Alfa Romeo: 'Abbiamo pensato che per ritrovare il dna del marchio del Biscione fosse necessario affidare il compito a un gruppo di duecento ingegneri che andassero oltre le scelte compiute da Fiat su Alfa Romeo negli anni precedenti'. Perché uno dei tratti dell'ingegnere tedesco è la franchezza. Nella presentazione di Detroit dice con chiarezza quel che molti alfisti sostengono da anni: 'Dopo l'acquisizione da parte di Fiat nel 1987, su Alfa sono stati commessi diversi errori'. Non è difficile veder scorrere nella mente i modelli incriminati: su tutti l'Arna, un'auto brutta e squadrata nata dalla collaborazione con i giapponesi della Nissan, eredità della gestione Iri. Ma non è molto migliore il giudizio di Wester sull'ammiraglia 166, 'un tentativo di alfizzare la Fiat Croma'. La critica arriva, sia pur meno dura, a coinvolgere anche i modelli più recenti, come la Brera, in ogni caso giudicati distanti dal dna Alfa. Quel dna che da anni Wester va cercando negli esperimenti e nelle prove preparati nei capannoni segreti dove si costruisce l'identità futura del marchio del Biscione. Come se la rinascita del brand milanese dovesse avvenire al termine di un processo separato, a lungo tenuto nascosto, alla conclusione di una sorta di rito celtico fatto di alambicchi, distillati e metalli incandescenti lavorati nell'oscurità. Gelosia del proprio lavoro, timore dello spionaggio industriale? Forse c'è anche tutto questo a spiegare il modo di procedere dell'ingegnere si Linz. Ma c'è soprattutto la voglia di vincere una sfida complicata per diverse ragioni. Una sera del 2010, in una cena a Pebble Beach, vicino a Monterrey, lo aveva confessato al suo commensale: 'Il fatto di dover contrastare la concorrenza di costruttori tedeschi, per me è uno stimolo in più'. Perché è chiaro che se Wester vincerà la sua sfida, a farne le spese saranno Audi, Bmw e Mercedes. Proprio per questa ragione il Ceo di Alfa e Maserati non può fallire, per questa ragione non può fare tentativi. Deve sparare a colpo sicuro. Un primo importante risultato lo ha ottenuto con il marchio Maserati. Ha scommesso su una fabbrica che da sette anni era ferma, la ex Bertone di Grugliasco, vicino a Torino. E l'ha trasformata in una autentica macchina da soldi. Con il successo di Quattroporte e, soprattutto, della più economica Ghibli (un prezzo base di 'soli' 65 mila euro), Maserati sta fornendo un contributo decisivo per risanare i conti del versante europeo di Fca. Al punto che, forse anche prima delle vendite del nuovo Suv Levante che arriverà alla fine del 2015, il marchio del tridente potrebbe compensare da solo le perdite del Lingotto nel vecchio continente. La sfida di Alfa è più complicata di quella di Maserati. Lo sa Wester e lo sa Marchionne. Insieme hanno trascorso gli ultimi 24 mesi a preparare e scartare in successione diversi modelli prima di trovare la gamma convincente per il pubblico mondiale. L'ingegnere di Linz ha cominciato a fare la spola tra Torino, Detroit e Modena (il quartier generale di Maserati) per definire scelte progettuali e precisare dettagli. Solo quando i nuovi modelli Alfa usciranno dai capannoni segreti ed entreranno nelle show room dei concessionari, si capirà quante possibilità ha di essere vinta la scommessa del Biscione. Per il momento Wester deve far fronte allo scetticismo degli analisti, gli stessi che anni fa non credevano alle possibilità di rinascita del Tridente. Oggi che lo stabilimento Maserati di Grugliasco deve ricorrere al turni di notte per far fronte alle commesse da tutto il mondo, Wester deve fronteggiare le ironie sull'Alfa: 'Avete delle previsioni molto ottimistiche, ingegner Wester', ha premesso martedì a Detroit un analista americano. Proseguendo così: 'Per convincere i clienti ad acquistarli, pensate di mettere sui nuovi modelli Alfa Romeo la signora Robinson?'. La signora Robinson, Anne Bancroft, non c'è più e Dustin Hoffmann non ha più l'età per girare capelli al vento sullo spider Duetto disegnato da Pinifarina. Ma la domanda dell'analista non rivela solo scetticismo: tradisce anche l'aspettativa degli americani per il ritorno di quello che considerano un marchio mitico. Tocca a Wester, l'ingegnere tedesco con l'accento modenese, non deludere l'attesa.
(Fonte: www.repubblica.it - 12/5/2014)

domenica 18 maggio 2014

Piano FCA e Italia (2): certezze e incognite


Il piano industriale quinquennale di Fiat-Chrysler illustrato a Detroit da Sergio Marchionne è la sua squadra è molto ambizioso, non facile da realizzare. E il manager lo ha accompagnato con una promessa: «È vero, è ambizioso e coraggioso. Impegnativo. Rimarrò alla guida di FCA ancora 5 anni per portarlo a compimento». Il precedente impegno, preso a gennaio al salone di Detroit, era di continuare a fare l’a.d. di Fiat-Chrysler ancora 3 anni. All’epoca, però, anche il piano doveva durare un triennio. Ai delfini non resta che attendere e qualcuno si avvicinerà alla pensione. Ma la figura del manager italo-canadese è troppo importante per sviluppare i programmi di un gigante da lui inventato e concretizzato in poco tempo. Forse c’è anche un fatto personale: l’orgoglio di centrare i nuovi obiettivi perché i target precedenti (quelli del 2010) non sono stati raggiunti. Il mercato, in ogni caso, nell’ultimo periodo ha lo stesso apprezzato (il valore dell’azione è raddoppiato in meno di un anno) vista la rapidità della fusione e i costi con cui è stata realizzata. Gli sviluppi del business da qui al 2018 evidenziano dove Marchionne intende indirizzare la società e quali siano le prospettive dei singoli mercati. Ancora una volta l’incremento del fatturato dovrà arrivare soprattutto dall’America, ma questo consentirà di far ripartire e portare a piena capacità anche i 16 impianti europei che oggi viaggiano poco sopra il 60% del potenziale con una produttività inadeguata. Marchionne si occupa direttamente della gallina della uova d’oro, la regione Nafta (Nord America) che attualmente è la cassaforte del Gruppo, quella che genera i veri profitti. Dopo il grande recupero effettuato dal 2009 in termini di share, e con un mercato risalito a livelli record (quest’anno negli States le vendite totali torneranno a quota 16 milioni), la corsa da queste parti poteva sembrare al traguardo. Invece è questa l’area che per FCA crescerà di più (ancora +48% nel quinquennio), passando da 2,1 a 3,1 milioni di veicoli l’anno. Visto che le vendite totali sicuramente non cresceranno altrettanto, sarà necessario conquistare ulteriore quota, non facile in un supermarket maturo e dove altri importanti rivali (Volkswagen) hanno l’obiettivo di migliorare le posizioni. Salvaguardate le fabbriche e rilanciata la progettazione in Europa, Marchionne sembra credere meno dal punto di vista commerciale alla regione Emea (Europa, Medio Oriente e Africa) nonostante le vendite nella UE sono attese al rialzo dopo anni di tracollo (da oltre 18 milioni di veicoli nel 2007 a poco più di 13 lo scorso anno). In quest’area la crescita per FCA sarà di 400 mila unità (da 1,1 a 1,5 milioni di immatricolazioni), metà delle quali fuori dal Vecchio Continente (solo 100 mila in Italia e altre 100 mila negli altri Paesi dell’Unione). L’America Latina (Latam) attraversa una fase di difficoltà, ma FCA che è leader (23% del mercato in Brasile) e vuole continuare a crescere di 400 mila unità (+220 mila Fiat, +180 mila Jeep) passando (nel 2015 partirà la fabbrica di Pernambuco) dalle 900 mila consegne del 2013 ad 1,3 milioni del 2018. Infine Apac (Asia-Pacifico), il mercato più grande del pianeta e quello dove la crescita in percentuale per il Lingotto sarà più vigorosa: in Cina si passerà dalle 130 mila unità dello scorso anno alle 850 mila del 2018, in India dalle appena 10 mila unità a 130 mila. In Cina Jeep sarà il primo brand, seguito da Fiat (entrambe avranno fabbriche), ma si faranno spazio anche le Alfa rigorosamente made in Italy. Anche qui il mercato totale continuerà a crescere (quasi a doppia cifra nel trimestre, a fine anno sono attese 24 milioni di consegne), ma moltiplicare per oltre sei i volumi non sarà affatto facile. Dal punto di vista dei brand quello che crescerà di più è Jeep (da 735 mila a 1,9 milioni) che affiancherà Fiat (da 1,5 a 1,9 milioni), ci sarà il grande ritorno di Chrysler (da 350 mila a 800 mila), l’assestamento di Dodge e la rinascita dell’Alfa Romeo (da 74 mila a 400 mila). Marchionne è coraggioso, ma anche diffidente, soprattutto nei confronti delle vendite di auto nella vecchia Europa. L’ad vuole riportare tutte le 16 fabbriche europee di FCA alla massima capacità, ma continua a credere poco nella ripartenza del mercato delle quattro ruote da questa parte dell’Atlantico. Nonostante questo in 5 anni abbia perso 5 milioni di veicoli e quello italiano si sia quasi dimezzato (quindi ci sono concrete speranze di ripresa). Solo una piccola parte dei significativi margini di crescita dei brand del Lingotto che più producono nel vecchio continente avrà infatti ripercussioni di rilievo sulle vendite nell’Unione Europea.In questa “region” entro il 2018 Fiat-Chrysler dovrebbe vendere 100 mila vetture in più in Italia e altrettante negli altri 27 paesi dell’UE e nei 3 EFTA. Ecco quindi che diventano fondamentali le esportazioni in altre aree geografiche, ipotesi peraltro prevista dalla strategia primum, ma che con il “piano” appare esasperata. Produrre dove si vende è un approccio che il settore automotive ha metabolizzato da anni. Le fabbriche sul posto coinvolgono i clienti, riducono i costi ed evitano le tasse a volte molto salate. C’è da gestire inoltre i rapporti fra le valute che, in questa fase, non aiutano la causa. Nel programma quinquennale, in realtà, ci sono i target di vendita di tutti i marchi e più o meno i modelli che verranno prodotti, ma non è specificato dove. Genericamente Alfredo Altavilla, il numero uno della divisione Emea di FCA, ha dichiarato che, quando nel 2018 tutte le fabbriche del Continente saranno a pieno regime, il 40% della produzione verrà esportata. Obiettivo assai ambizioso, soprattutto se l’Euro continuerà ad essere così forte non solo rispetto al dollaro. Se il piano andrà in porto, però, ci saranno grandi vantaggi per il nostro paese poiché gli impianti italiani sono quelli che più aumenteranno la capacità utilizzata (attualmente è di poco superiore al 50%). I programmi di Mirafiori e Cassino non sono stati specificati, ma è chiaro che queste due fabbriche saranno la base del rilancio Alfa Romeo. Le Maserati e le Alfa, infatti, saranno tutte "Made in Italy", i target prevedono 400 mila unità delle seconde, 75 mila delle prime. Va valutato che si tratta di modelli premium, alcuni di costo elevato che generano fatturati generosi e ritorni significativi. Soltanto per Maserati nel 2018 sono previsti ricavi per 6 miliardi di Euro, con profitti di oltre mezzo miliardo, visto che il ritorno dovrebbe essere superiore al 10% (così già è attualmente). Le 400 mila Alfa porteranno al nostro Paese un volume d’affari ancora più elevato, ma in questo caso servono tutti i 5 miliardi di investimenti che rischiano di pesare sul debito e sulla liquidità. Il Tridente ha dimostrato di poter tenere un’andatura veloce, già ora le 3.500 vendite al mese sono quasi tutte fuori dai nostri confini (come per Ferrari) e la maggior parte in paesi extraeuropei (U.S.A. e Cina in testa). Per Alfa Romeo la sfida è più dura, anche perché saranno modelli importanti, ma di fascia meno elevata (non sono previsti motori 8 cilindri). Circa 150 mila unità l’anno del Biscione dovranno andare in Nord America, altrettante rimarranno in Europa, con quelle italiane che saranno meno della metà. Delle altre 100 mila buona parte finirà in Cina dove la strategia Alfa del “full Made in Italy” non prevede ci sia una fabbrica. Fuori dall’Europa dovranno finire anche buona parte delle Jeep Renegade e 500X costruite a Melfi, la cui produzione totale potrebbe avvicinarsi alle 400 mila unità l’anno. Continueranno ad attraversare l’Atlantico anche le 500L prodotte nello stabilimento serbo vicino Belgrado. Tutta da definire invece la mission di Tychy in Polonia visto il ridimensionamento di Lancia (anche della Ypsilon), ma sicuramente l’impianto ospiterà alcune delle 8 novità Fiat per Emea (a Pomigliano dovrebbe esserci un secondo modello Panda per saturare l’impianto). Val di Sangro continuerà a produrre i commerciali, anche di nuova generazione. Nel 2018, quindi, saranno tornati tutti al lavoro (con vantaggi per il potere d’acquisto e risparmi per la cassa integrazione) i 5.400 dipendenti di Mirafiori, i 4.500 di Pomigliano, i 5.500 di Melfi, 2.800 di Maserati (Modena e Grugliasco), i 3.800 di Cassino e i gli oltre 6 mila di Sevel (tutti occupati anche nelle officine FPT di Termoli, Pratola Serra e Cento).
(Fonte: www.ilmessaggero.it - 9/5/2014)

sabato 17 maggio 2014

Piano FCA e Italia (1): così diventeremo una piattaforma per l'export


Alfa Romeo, Maserati e Ferrari. La triade del lusso targata Fiat-Chrysler è quella che in misura maggiore dovrà garantire un nuovo e inedito ruolo agli stabilimenti italiani del gruppo - dove rimarrà anche parte della produzione a marchio Fiat e arriverà quella di Jeep - e far diventare il nostro Paese, come dice l’amministratore delegato Sergio Marchionne, un «hub per le esportazioni». Un ruolo che, se verrà rispettato nei prossimi cinque anni, avrà anche come effetto il ritorno della piena occupazione in Italia. «Garantiremo la piena occupazione a Mirafiori e negli altri stabilimenti», ha detto l’a.d. martedì sera negli Stati Uniti, alla presentazione del piano industriale 2014-2018. E ha aggiunto anche che «Fiat non manderà a casa nessuno dei suoi dipendenti italiani». Non è un passaggio scontato, almeno per quel che riguarda la grande industria manifatturiera, quello di un’Italia che diventi piattaforma per l’export. Da noi, come è noto, si esportano benissimo e in quantità moda, alimentare e anche una certa meccanica, ma finora l’alto di gamma della produzione automobilistica che è andato all’estero - Ferrari prima di tutto e da un anno e mezzo anche Maserati - lo ha fatto con altissime percentuali di esportazione su numeri assoluti che rimangono però abbastanza bassi. Nel nuovo piano industriale l’opportunità italiana del gruppo, quella che anche il presidente John Elkann ha sottolineato come uno dei frutti positivi della fusione Fiat-Chrysler, nasce proprio dalla possibilità di coniugare la vocazione a fabbricare prodotti di alta gamma con i grandi numeri. L’obiettivo è di 400 mila Alfa prodotte nel 2018 con otto nuovi modelli tutti «Made in Italy» (il primo uscirà nel 2015 da Cassino) e di una produzione Maserati addirittura quintuplicata a 75 mila unità affiancando a due degli attuali modelli altre quattro vetture, con il SUV Levante presto in produzione a Mirafiori; Ferrari dovrebbe rimanere invece stabile a 7000 auto annue per mantenere un «effetto scarsità» tipico dei beni di lusso. Numeri ottenuti grazie alla dimensione integrata di Fiat e Chrysler insieme. La taglia globale di FCA significa infatti sia la possibilità di sfruttare piattaforme comuni per modelli di marche diverse, sia una rete distributiva che permette ad esempio di ipotizzare la vendita di 100-150 mila Alfa Romeo l’anno sul mercato nordamericano. Del resto «produrre in Italia è conveniente - dice Marchionne - perché gli stabilimenti ci sono già e i costi di trasporto nei vari Paesi del mondo nei segmenti premium non incidono molto sul prezzo finale». Assieme ai tre marchi del lusso la vocazione all’export degli stabilimenti italiani si dovrà vedere anche a Melfi, che a regime dovrebbe produrre 200 mila Jeep Renegade e 180 mila 500x, destinate in grandissima parte alle vendite all’estero, e attraverso altri modelli Fiat sulla cui collocazione fra gli stabilimenti italiani Marchionne non si è per ora sbilanciato. Se la scommessa per l’Italia è questa, con il corollario della piena occupazione, è ovvio che anche il sindacato la veda con grande interesse. «Le premesse per il futuro del gruppo sono positive» dice il segretario generale della Uil Luigi Angeletti e «la cosa importante è che vogliono investire, creare nuovi modelli e raggiungere quegli obiettivi di produzione che garantiscono la piena occupazione». Più prudente la posizione di Maurizio Landini, il segretario generale della Fiom, che riecheggia anche alcuni dubbi del mercato azionario: «Siamo di fronte all’annuncio di un nuovo piano la cui credibilità, alla luce di quanto avuto nel passato, va realmente confrontato e verificato».
(Fonte: www.lastampa.it - 8/5/2014)

venerdì 16 maggio 2014

Museo Alfa Romeo: Franceschini sollecita la riapertura entro un anno per Expo 2015


Un'accelerata. È quella che potrebbe arrivare dal Ministero per la riapertura del Museo Storico dell’Alfa Romeo. A due giorni dall’annuncio da Detroit dell’amministratore delegato di Fiat Chrysler, Sergio Marchionne sul rilancio del Marchio del Biscione, la notizia da Montecitorio è un’altra di quelle buone. Il ministro dei Beni culturali Dario Franceschini «ha sollecitato la direzione regionale della soprintendenza a proseguire il percorso di concertazione con la proprietà e le amministrazioni locali e ad adottare i più opportuni provvedimenti che consentano di ottenere l’obiettivo, da tutti condiviso, della riqualificazione del prestigioso museo e della sua riapertura al pubblico in tempo per l’Expo». L’ha reso noto Ilaria Borletti Dell’Acqua, sottosegretario ai Beni culturali, rispondendo all’interpellanza dei deputati Pd Eleonora Cimbro e Roberto Rampi. Sarebbe giusto che la strada per il rilancio del Biscione passasse anche da qui, dove si producevano le più belle auto di tutti i tempi, come l’Alfa 6 con il suo motore, il 6 cilindri in alluminio, denominato il «violino di Arese» e dove ora di quel glorioso passato resta solo il Museo. È cancellata la vocazione industriale dell’area: sulle ceneri della fabbrica abbandonata sta sorgendo un Iper fra i più grandi d’Europa. La corsa verso il 2015 è all’ultimo respiro. «L’impegno del ministero è molto positivo», commentano Cimbro e Rampi. «Viene riaperto l’iter per la costituzione di un tavolo urgente che vede coinvolti il ministero, appunto, la Regione Lombardia, gli enti locali e la Soprintendenza in modo da risolvere tutte le problematiche collegate al vincolo cui è sottoposto il sito museale. Siamo soddisfatti, come deputati lombardi vigileremo affinché questo obiettivo venga raggiunto nei prossimi mesi perché rappresenta un’occasione da non perdere. Facendo tesoro dell’insegnamento che viene dalla storia dell’Alfa Romeo occorre dare un’accelerata». Il braccio di ferro in corso tra Fiat e Soprintendenza (con tanto di ricorso al Tar) frena le speranze. "Sarebbe una grande occasione per rilanciare la tradizione industriale del made in Italy, oltre a rappresentare il potenziale volano della riqualificazione dell’area ex Alfa Romeo. Fiat si è dichiarata assolutamente disponibile", sottolinea Cimbro. Al ministro i deputati hanno chiesto che il tavolo straordinario sia convocato, proprio a Milano, a Rho dove ha sede il Museo, chiuso dal 2011.
(Fonte: www.ilgiorno.it - 9/5/2014)

giovedì 15 maggio 2014

Chrysler e Lancia: strade già separate?


Il 6 maggio 2014 il CEO di Fiat Chrysler Automobiles, Sergio Marchionne,  a Detroit ha presentato il Piano FCA 2014-2018 lanciando un massiccio piano di investimento per il brand Alfa Romeo dopo ventotto anni di gestione discutibile che ha portato ad un decremento delle unità prodotte oggi rispetto al 1986, anno dell’acquisizione. Alfa Romeo nel 1986 ha prodotto 168.074 unità e 233.643 nel 1990 per passare alle 113.800 del 1996, alle 213.638 del 2001 per chiudere con le 74 mila unità del 2013. Plausi per il nuovo ambizioso piano che porterà FCA a produrre ben 7 milioni di unità nel 2018: prevista gamma rinnovata per Alfa Romeo, Maserati, Jeep, Dodge, Chrysler e ovviamente Fiat. Strabiliante il piano di rilancio di Maserati, che sino ad oggi ha centrato tutti gli obiettivi previsti con la Ghibli e la Nuova Quattroporte. La grande assente è Lancia, la storica casa piemontese nata nel 1906 ad opera di Vincenzo Lancia, pilota ed imprenditore. Il brand torinese si è sempre distinto per l'innovazione tecnica sin dalla sua nascita sia sulle vetture che sugli autocarri. Vincenzo Lancia fu anche cofondatore della carrozzeria Pininfarina nel 1930 e diede pieno appoggio alla costruzione dell’Autodromo di Monza, pista divenuta storica con la F1 a partire dagli anni Cinquanta. Fu lui a porre la prima pietra nel 1922.
Ricordiamo ora qualche doveroso primato tecnico "Made in Lancia":
1) 1907 – la Lancia Alpha ha alcune finezze tecniche tra cui l’assale anteriore realizzato in acciaio scatolato invece che pieno, il tutto fatto per alleggerire l’auto, oltre ad avere una grande potenza specifica con regimi di rotazione del motore molto elevati;
2) 1912 – Lancia 1Z è il primo autocarro della casa torinese equipaggiato con motore 5.000 quattro cilindri da 70cv e verrà impegnato con successo in Africa nella guerra di Libia e dopo del 1915 anche durante la Prima Guerra Mondiale;
3) 1913 – la Lancia Theta presenta il primo impianto elettrico integrato nella vettura;
4) 1918 – Lancia realizza un motore ad otto cilindri a V di 45 gradi ed è il primo al mondo ad avere il basamento fuso in un solo blocco e albero a gomiti con dodici manovelle, sei delle quali angolate di 40 gradi rispetto alle altre;
5) 1922 – la Lancia Lambda anticipa due svolte tecniche fondamentali nel mondo dell’auto: debuttano su questo modello la scocca portante e le sospensioni a ruote indipendenti;
6) 1933 – la Lancia Augusta è la prima berlina al mondo (quindi vettura a guida interna) con carrozzeria monoscocca;
7) 1937 – la Lancia Aprilia introduce la ricerca aerodinamica con un cx impensabile per quei tempi (0,47) ed oltre alle quattro sospensioni indipendenti sulle quattro ruote i freni posteriori hanno i tamburi montati all’attacco dei semiassi all’uscita del differenziale e non sistemati sulle ruote;
8) 1950 – la Lancia Aurelia è la prima auto con motore 6 cilindri a V di 60 gradi e con il cambio sull’asse posteriore in blocco con il differenziale:
9) 1953 – Lancia con la D50 debutta in Formula 1 e come sempre propone soluzioni tecniche inedite per i tempi: motore 8 cilindri a V disposto non in linea leggermente inclinato verso sinistra per consentire all’albero di trasmissione  di passare a fianco del sedile del pilota e non sotto lo stesso, per permettere di abbassare il baricentro della  vettura nei confronti della concorrenza. Lancia è stata la prima in F1 ad avere le sospensioni interne alla scocca. La Lancia D50 pesava 620 kg rispetto ai 690 kg della Mercedes W196, ai 670 delle Maserati e i 650 delle Ferrari. La morte del pilota Alberto Ascari porterà Lancia al ritiro dall’attività agonistica, ma cederà tutto alla Ferrari che vincerà il titolo iridato nel 1956 con la Lancia-Ferrari D50;
10) 1960 – la Lancia Flavia porta al debutto il motore boxer e l’adozione dei dischi sulle quattro ruote oltre all’adozione della trazione anteriore;
11) 1971 – la Lancia 2000 è la prima vettura ad utilizzare l’iniezione elettronica;
12) 1972 – La Lancia Fulvia Coupè HF vince il Campionato Mondiale Costruttori Rally;
13) 1974-1975-1976 – La Lancia Stratos HF vince tre campionati mondiali costruttori rally;
14) 1979 – La Lancia Delta vince il premio Auto dell’Anno 1980;
15) 1983 – la Lancia 037 vince il Mondiale Rally;
16) 1985 – la Y10 porta al debutto il piccolo ed innovativo motore FIRE;
17) 1987-1992 – in questi sei anni l'imbattuta Delta HF 4WD domina nel Mondiale Rally, dopo Fiat preferisce puntare l’attività agonistica su Alfa Romeo acquisita nel 1986 (anche per la Delta non si ferma l’innovazione, tra cui ricordiamo l’adozione del differenziale centrale con giunto viscoso Ferguson ed il differenziale posteriore Torsen);
18) 1989 – la Y10 Selectronic porta al debutto il cambio a variazione continua e frizione elettromagnetica;
19) 1989 – la Delta HF integrale 16v porta al debutto l’Abs a sei sensori ed il sistema di trazione con tre differenziali.
20) 2002 – la Lancia Thesis presenta soluzioni innovative in pieno stile Lancia: Key-Less System, il tetto apribile a celle fotovoltaiche, il freno di stazionamento elettrico, i sedili elettrici comfort con ventilazione e massaggio, il cruise control adattativo e le sospensioni a controllo elettronico dello smorzamento.
A partire dagli anni Novanta il Gruppo Fiat ha attuato una politica strategica su Lancia che la portò al declino, dopo i brillanti anni Ottanta che con Y10, Delta, Prisma, Thema e il successo nei Rally le avevano fatto raggiungere il massimo splendore anche in ambito commerciale. Il merito di tutti questi successi lo si deve all’Ingegnere Vittorio Ghidella che purtroppo nel 1988 il Lingotto sostituisce con Cesare Romiti che non vuole continuare ad investire risorse nel settore auto. I modelli targati Romiti: Dedra, K e Nuova Delta del 1993 portano alla perdita di molte quote di mercato in Italia ed all’estero facendo diventare di fatto i tedeschi leader nel segmento E che i modelli Fiat Croma, Lancia Thema ed Alfa 164 avevano combattuto poco prima a testa alta con grande successo. Solo la Y che debutta nel 1995 che sostituisce la innovativa Y10 riesce a reggere le sorti economiche del brand. Una luce per Lancia si intravede nel 2002 quando assume la responsabilità del Marketing di Lancia (marchio di cui è stato nominato responsabile nel giugno 2004) Luca De Meo, che è artefice della splendida versione 2003 della Ypsilon uscita di scena nel 2011, della Musa e della concept Fulvia Coupè del 2007 che riaccende i riflettori sullo storico marchio torinese. Nel frattempo Luca De Meo ricoprirà altri prestigiosi incarichi in Fiat Auto, da Fiat ad Alfa Romeo, ma lascerà il Lingotto nel 2009 per andare in Germania con il Gruppo Volkswagen. La Ypsilon e la Musa riescono ad incrementare le quote di mercato in Italia ed in Europa riuscendo ad ottenere grande riscontro commerciale soprattutto tra i giovani ed il pubblico femminile. Purtroppo la Musa uscirà di scena nel 2012 senza avere una erede, la Ypsilon uscirà di scena nel 2011 per fare posto alla Nuova Ypsilon a 5 porte. Nel 2006 la berlina di lusso Lancia di segmento D Lybra, offerta con carrozzeria berlina e station wagon, uscirà di scena senza avere eredi. I lancisti, che iniziavano a vedere la luce con Ypsilon e Musa, sono nuovamente traditi. Nel 2008 debutterà la Delta che, pur essendo una vettura molto valida e  avendo delle motorizzazioni adeguate, non riesce a sfondare del tutto e ad oggi non sembra prevista una erede. Nel 2009 Fiat firma un accordo strategico con il Gruppo Chrysler che porterà alla fusione il 29 gennaio 2014 dando vita a Fiat Chrysler Automobiles. Per Lancia si parla di un destino incrociato con Chrysler, ma a gennaio 2014 cominciano le docce fredde quando Marchionne dal Salone di Detroit, dopo aver presentato la nuova berlina Chrysler 200 (basata sull’italianissima piattaforma dell’Alfa Romeo Giulietta), dichiara che non arriverà in Europa perché per questo tipo di vetture non c’è mercato: "Non ne venderemmo abbastanza per giustificare l’investimento", affermò il CEO di Fiat Chrysler Automobiles. Ennesima doccia fredda per i lancisti europei, già duramente colpiti dal non aver avuto una degna erede della Lybra nel 2006. Nel frattempo l’aver importato dagli U.S.A. i modelli Chrysler 300, Voyager e 200 cabrio, che saranno ribattezzati in Europa come Lancia Thema, Lancia Voyager e Lancia Flavia, porta dal 2011 al 2013 a risultati commerciali molto al di sotto delle aspettative. Solo la Ypsilon riesce a reggere il confronto con la concorrenza ed i numeri sono dalla sua parte. Il 30 ottobre 2012 Sergio Marchionne dichiara a Taormina riguardo al marchio Lancia: "Il brand è morto: non tornerà quello di una volta. Valorizzeremo solo la Ypsilon, l’unico modello economicamente sostenibile, il resto della gamma ha appeal limitato fuori dall’Italia. Dobbiamo abbandonare l’illusione che il brand ritorni ad essere quello di un tempo". Le parole del top manager italo-canadese pronunciate nel 2012 annunciavano forse quello che sarebbe successo, però si è cercato fino alle fine di sperare in una inversione di strategia sebbene il momento economico non sia dei più felici per investire in Italia ed in Europa. Quindi la Lancia del domani sarà monoprodotto e la Ypsilon sarà l’unica ad essere commercializzata. Gli attuali possessori di Delta e Lybra se vorranno continuare ad acquistare una berlina o una confortevole station wagon Lancia non potranno più farlo. Lancia resterà solo in Italia. Nel 2004 il Gruppo Fiat era ad un passo dal fallimento: dopo dieci anni Fiat si è ripresa, ha acquisito il Gruppo Chrysler portando il nuovo player Fiat Chrsyler Automobiles ad essere il settimo costruttore a livello globale con obiettivi ambiziosi per il 2018. Peccato che in questo quadro globale non ci sia lo spazio anche per Lancia. Dopo i prodigiosi anni Ottanta, una politica strategica di continua innovazione dei prodotti esistenti avrebbe portato ad un ulteriore incremento della produzione automobilistica riuscendo a contrastare marchi emergenti come Audi che oggi combatte ad armi pari con Bmw e Mercedes. Purtroppo, anche essendoci un grande know-how, si decise una lenta agonia per un brand che meritava ben altro.
(Fonte: www.zeroventiquattro.it - 12/5/2014)

mercoledì 14 maggio 2014

Giappone: la stampa rilancia l'ipotesi di un accordo FCA-Mazda (o Suzuki)


I giornali giapponesi fanno il tifo per un accordo tra Mazda o Suzuki e il gruppo Fiat-Chrysler. A citare le indiscrezioni su possibili accordi futuri è il quotidiano giapponese Nihon Keizai Shimbun. Fiat, spiega il quotidiano, starebbe studiando accordi commerciali per dare maggiore spinta alle vendite in Asia. In particolare il maggiore candidato resterebbe Mazda, che ha appena archiviato l'accordo decennale con Ford, mentre Suzuki resterebbe un'eventualità, anche se la casa giapponese ha attualmente in essere un accordo con Volkswagen.
(Fonte: http://carlofesta.blog.ilsole24ore.com - 8/5/2014)

martedì 13 maggio 2014

Fiat 500 Plus: nel 2016 l'erede della Punto


La futura erede della Fiat Punto si chiamerà probabilmente "500 Plus" e sarà costruita a Tichy in Polonia, nello stabilimento che ora produce la 500, la consorella Ford Ka e la Lancia Ypsilon. Lo afferma l'autorevole Automotive News Europe in un articolo a firma di Luca Ciferri. Per adeguare l'impianto (Ford non ha rinnovato l'impegno con il gruppo italo-americano) FCA metterà sul piatto investimenti per quasi 800 milioni di dollari. La vettura arriverà nel 2016. La nuova Punto farà, dunque, parte del category brand "500" e di fatto sarà una versione a cinque porte, allungata e allargata del cinquino lanciato il 4 luglio del 2007. Sarà basata sulla piattaforma Small e sarà lunga circa 3,8 metri. Da sottolineare che Fiat aveva deciso di non sostituire la Punto (costruita a Melfi, dove dal mese prossimo sarà assemblata la Jeep Renegade e, successivamente, la "gemella diversa" Fiat 500X) e di non presidiare il fronte delle compatte 5 porte di segmento B. In realtà, come più volte annunciato, Fiat ha deciso di portare avanti un brand "semi-premium", quello 500 appunto, che garantisce più appeal e margini. E Fiat, come si legge nell'articolo di Automotive News Europe, ha disperatamente bisogno di un modello nuovo in quest'area dove dominano case come VW con la Polo, Ford con la Fiesta, Peugeot con la 208 e Renault con la Clio. Tutte auto nuove o rinnovate, che hanno dato grandi soddisfazioni ai rispettivi costruttori. Fiesta è prima nelle vendite con quasi 300mila unità vendute nel 2013 contro le quasi 104mila Punto targate lo scorso anno, con un calo del 22% rispetto al 2012.
(Fonte: www.motori24.ilsole24ore.com - 8/5/2014)